martedì 30 settembre 2008

Nuoro: vuole aiutare il figlio malato, ma resta a Badu e Carros


Agi, 30 Settembre 2008


"Un detenuto barese, ristretto da nove anni a Nuoro, chiede il trasferimento a Taranto per sottoporsi agli esami di compatibilità indispensabili per un eventuale trapianto di midollo in favore del figlio affetto dalla sindrome di Marfan, una malattia rara, poco conosciuta, e da altri gravi disturbi. Nonostante le istanze presentate, l’interessamento del garante dei detenuti di Nuoro, e l’ineccepibile comportamento rieducativo durante la detenzione e nei diversi giorni di permesso ottenuti, non ha ancora ricevuto alcuna risposta dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero di Giustizia". Ne dà notizia la consigliera regionale socialista Maria Grazia Caligaris (Ps), componente della Commissione "Diritti Civili", che ha ricevuto un nuovo disperato appello di Giandonato Sciacovelli che sta scontando una pena definitiva a 30 anni di carcere.


(nell'immagine) Teresa Sciortino - "Maschere"


domenica 28 settembre 2008

Sassari: sit-in degli agenti davanti al carcere di San Sebastiano


La Nuova Sardegna, 27 settembre 2008


Carichi di lavoro troppo pesanti, aggressioni da parte dei detenuti, carenza di personale femminile, sono solo alcuni dei problemi che sono stati denunciati dal Sappe Sardegna, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, che per lunedì prossimo ha organizzato un sit-in di protesta davanti alla Casa Circondariale di San Sebastiano, per sensibilizzare le autorità ministeriali e l’opinione pubblica sulle problematiche dell’istituto.


Il Sappe invita alla manifestazione tutto il personale penitenziario di Sassari "per dimostrare e rendere note le difficoltà operative in cui versa la struttura sarda". Tra le situazioni che "mettono seriamente a repentaglio l’ordine e la sicurezza", si legge nella nota diffusa nei giorni scorsi dalla segreteria provinciale del Sappe, ci sono i "carichi di lavoro particolarmente onerosi e stressanti per il personale del corpo".


Ma anche "episodi di aggressione da parte della popolazione detenuta - aggiunge la segreteria -; la carenza di personale femminile, che si riflette soprattutto sulla vigilanza e sui controlli durante i colloqui; il ricorso nella sezione femminile a personale maschile, a causa di una permanente insufficienza di colleghe, non in grado di coprire tutti i turni di servizio; l’apertura di un reparto di degenza, realizzata senza la concertazione con le organizzazioni sindacali che comporta una integrazione di almeno quindici unità del corpo; una riorganizzazione delle attività lavorative e dei servizi che richiedono un adeguamento, ormai indifferibile, del personale; una particolare attenzione alla portineria e ai relativi dispositivi ausiliari, all’armeria, alla porta carraia, alla sala regia, alle perquisizioni".


(nell'immagine) Nemo nox "Lion Roaring at Moon"

venerdì 26 settembre 2008

Lettere: Sassari; il "San Sebastiano" è in condizioni disastrose


La Nuova Sardegna, 26 settembre 2008


Sono un detenuto della casa circondariale di San Sebastiano che parla a nome di tutti i detenuti, mi chiamo Alberto Campus alias "Albertone" e voglio scontare la mia pena con dignità e riguardo. Se l’istituto penitenziario lo permettesse. Vorrei vivere qui dentro senza prendere malattie a causa dei gravi problemi igienico-sanitari della struttura, fare la doccia come i comuni mortali senza dover "litigare" con gli agenti penitenziari per via delle regole che cambiano ogni qualvolta c’è il cambio di guardia. I nostri materassi e i cuscini sono una vergogna solo a vederli perché deteriorati e con macchie di chissà quale genere.


Potrei continuare così all’infinito perché di cose che non vanno, qui dentro, c’è ne sono davvero parecchie. Il mangiare non è adeguato all’80% della popolazione detenuta che soffre di diverse malattie epatiche. Il vitto, quando non si prende quello che passa l’amministrazione, lo prepariamo in 5 metri quadri che sono disposti così: bagno alla turca (ma credo che se lo vedessero i turchi cambierebbero subito il nome al sanitario) allestito a cucina e deposito alimentare.


Prendo come esempio il mio caso: vengo privato di essere un cattolico credente che ha sempre frequentato la chiesa del suo quartiere (la domenica) con grande rispetto perché la sala dove viene celebrata la santa messa è chiusa da diverso tempo. Secondo esempio: ho fatto presente ai medici responsabili dell’istituto penitenziario di aver bisogno di una visita allergologa per via del 72% di ustioni di terzo grado che ho in tutto il corpo ma a oggi non si è ancora visto nessun specialista.


Abbiamo ricevuto una visita da parte dei Radicali per esporre i problemi all’interno della struttura e sembra fatto apposta perché gran parte dei detenuti, me compreso, non si trovava nelle celle perché usufruiva dell’ora d’aria mattutina. Volevo esporre in prima persona questi problemi alla direttrice alla quale ho fatto domanda, ma ancor oggi non ho avuto occasione di poterci parlare sicuramente per i suoi notevoli impegni lavorativi.

Alberto Campus


(nell'immagine) Chloe Shuff "I love miro also"

martedì 23 settembre 2008

Cagliari: malato terminale "compatibile" con regime carcerario


Agi, 20 Settembre 2008

"Il centro clinico di Buoncammino, contrariamente a quanto sostengono i medici della struttura, può accogliere adeguatamente un detenuto, ammalato in fase terminale, al quale non sono praticabili cure. L’ordinanza dei giudici della sezione penale feriale della corte d’appello di Cagliari è di quelle che fanno riflettere e lasciano perplessi".


Lo sostiene il consigliere socialista Maria Grazia Caligaris (PS), componente della Commissione Diritti Civili, dopo aver letto le motivazioni con cui è stata rigettata l’istanza dell’avv. Fernando Vignes per il ricovero, in un’adeguata struttura sanitaria esterna, di Antonino Loddo, affetto dalla malattia di Charcot-Marie Tooth che ha raggiunto "uno stadio avanzato, irreversibile". "È possibile che gli aspetti relativi alla "pericolosità sociale" di un cittadino ancora in attesa di sentenza definitiva, siano - sottolinea Caligaris - elemento esclusivo nella valutazione di una vicenda umana che travalica il tipo di reato, per quanto grave possa essere?


Non siamo di fronte ad una richiesta di scarcerazione facile con il presunto reo che possa reiterare i reati di traffico, detenzione e spaccio di ingenti quantità di sostanze stupefacenti che gli vengono addebitati. È possibile che non si tenga conto che il detenuto in fase terminale è padre di un bimbo in lotta per sopravvivere dopo il trapianto di midollo e che la vicinanza dei familiari in una struttura sanitaria può essere più assidua ed efficace che non le visite in carcere con i disagi che comportano".


(nell'immagine) Joan Miró "gatto frustrato dal volo di un uccello"

sabato 20 settembre 2008

Riflessioni dopo la rivolta dei migranti nel Cpa di Elmas

Dopo la rivolta dei migranti nel Cpa di Elmas, dopo i quattro casi di tubercolosi che aprono la strada ad un rischioso pericolo di malattie infettive, dopo la protesta dei sindacati di polizia Coisp e Siulp, che denunciano costanti violazioni delle norme sulla sicurezza, mi chiedo quale sia la reale natura del Cpa di Elmas, siamo sicuri che questo centro rispetti gli standard richiesti e previsti negli ordinari Cpa? Siamo sicuri che non sia solo una galera speciale per migranti?

A detta dei sindacati, il Cpa di Elmas, è un ambiente fatiscente e privo delle più elementari norme igieniche, di conseguenza, ne dovremmo dedurre che anche le condizioni di vivibilità della struttura da parte dei migranti siano precarie e difficili. I parlamentari del Pd, Pes, Melis, Schirru e Calvisi, che hanno visitato il centro nei primi giorni di Settembre, non hanno fatto un analisi seria e corretta delle condizioni dei diritti umani e civili dei migranti del centro. Di fatto hanno promosso la funzionalità di questo centro dichiarando che "le condizioni della struttura "sembrano" all'altezza degli standard previsti da altre strutture nazionali".

Questo centro rappresenta solo una galera. Perchè non possiamo legare la dimensione dell'accoglienza e della solidarietà, con la dimensione della restrizione della libertà personale e la limitazione dei diritti dei migranti. Ritengo che il movimento di Cagliari, le associazioni e i singoli cittadini sensibili alla questione dei diritti dei migranti, su questo centro, dovrebbero cominciare un percorso di discussione e analisi critica.

Roberto Loddo

Associazione 5 Novembre "Per i Diritti Civili"

(nell'immagine) Joan Miró "risveglio al mattino"

Rivolta dei migranti nel Cpa di Elmas


da Sardegna Oggi
Giovedì, 18 settembre 2008

Una manifestazione di protesta, con danneggiamento delle strutture, è avvenuta ieri notte nel Centro di prima accoglienza (Cpa) di Elmas. Ad attuarla un folto gruppo di immigrati extracomunitari tenuti a bada da Polizia e Carabinieri intervenuti in tenuta antisommossa. La protesta si è conclusa dopo più di un'ora. La situazione è ora tornata alla normalità e sono già una decina le denunce per danneggiamento, mentre è in atto un programma di trasferimenti degli immigrati nei centri della Penisola.

La manifestazione di protesta, iniziata durante la notte poco prima dell'una, è durata sino alle 3 e grazie all'intervento di carabinieri e polizia la situazione è tornata alla normalità verso le 5. Il secondo piano del Cpa di Elmas, che ospitava 87 clandestini algerini, è inagibile: sono state infrante le finestre, i tavoli, le porte,lanciati nel vuoto i materassi, devastata l'infermeria dalla quale sono stati portati via strumenti e farmaci.

Il Cpa di Elmas è un Centro di prima accoglienza e di soccorso per i clandestini, ma poi questi devono essere trasferiti nella penisola, ed è quello che hanno chiesto con la protesta di questa notte gli algerini che non vogliono restare, se non per pochi giorni, in Sardegna.

Sono già una decina le persone denunciate con l'accusa di danneggiamento per la rivolta. Sono stati individuati dagli agenti della Polizia di Stato grazie anche alle immagini delle videocamere di sorveglianza situate nel secondo piano della palazzina all'interno dell'aeroporto militare Elmas. Per altri 15 sarebbero già pronti, invece, i provvedimenti di espulsione dal territorio italiano. Intanto si sta definendo il programma di trasferimenti verso altri centri della Penisola degli 87 immigrati algerini che hanno partecipato ai disordini. Una dozzina partono nel tardo pomeriggio per essere trasferiti nelle vicinanze di Roma, mentre un altro gruppo di 25 partirà domani con destinazione Bari.

Intanto il Sindacato italiano appartenenti alla polizia (Siap) con il segretario nazionale, Massimo Zucconi Martelli, chiede “con urgenza di chiarire la situazione del Cpa di Elmas dove lavorano solo otto operatori delle Forze dell'Ordine, a fronte di oltre un centinaio di immigrati presenti”. “Era quasi ovvio attendersi che fatti simili potessero verificarsi - afferma - occorrerebbe una task force con non meno di 50 uomini sul posto pronti ad intervenire e reagire in situazioni come quella che si è verificata questa notte”.

(nell'immagine) Joan Miró "Carnevale di Arlecchino"

mercoledì 17 settembre 2008

Cagliari: Buoncammino è affollato, 100 detenuti oltre capienza

La Nuova Sardegna, 17 settembre 2008

È allarme a Buoncammino. L’ennesimo allarme. Il livello di guardia è stato superato più volte negli ultimi sei mesi: il carcere è sovraffollato e l’effetto indulto è svanito da tempo. Oggi le presenze sono quattrocentoventi contro una disponibilità massima di trecentoventi detenuti. Aumentano i detenuti, con una media quotidiana di sei arrivi, mentre resta immutato il numero degli agenti di polizia penitenziaria. Il vuoto nell’organico ha raggiunto il tetto preoccupante di ottanta unità in meno.


A sollevare il caso, ancora una volta, sono stati i sindacati interni, che hanno chiesto un incontro urgente all’Amministrazione regionale penitenziaria. Anche la direzione del carcere non nasconde le difficoltà di gestione: nelle celle da quattro sono adesso rinchiusi fino a otto detenuti. Una situazione disumana accentuata dal fatto che Buoncammino è un carcere vecchio dove è impossibile realizzare spazi di riabilitazione.


Ormai è chiaro: da ogni parte si guardi il mondo carcerario è al limite del collasso. Una delle cause dell’allarme di questi giorni è soprattutto dovuto alla situazione sanitaria dei detenuti. Moltissimi sono tossicodipendenti e tanti sono afflitti da una doppia patologia: tossicodipendenza e disturbi psichici, miscela esplosiva che rischia di travolgere gli ultimi argini e non può essere contrastata da una struttura carceraria e medica da sempre sottodimensionata rispetto alla popolazione carceraria.


Ogni giorno, a questo punto, le emergenze da affrontare a Buoncammino non sono soltanto quelle della sicurezza interna, ma anche di come Buoncammino può garantire ai detenuti, visto l’attuale sovraffollamento, quel minimo di vivibilità e salute. Adesso i sindacati e la stessa direzione del carcere aspettano una risposta dall’Amministrazione penitenziaria regionale. Risposta - ed è questo la parte più forte della denuncia - che non può essere rinviata oltre.


(nell'immagine) Joan Miró "Hermitage"

martedì 16 settembre 2008

Migranti: tubercolosi nel Centro di Accoglienza di Cagliari



Sardegna Oggi, 16 settembre 2008

Il sindacato di Polizia Coisp ha scritto al Questore di Cagliari per denunciare la situazione che gli agenti vivono nel Centro di prima accoglienza di Cagliari dove si sono registrati casi di Tbc.


"Abbiamo provato ad affrontare la situazione in modo realistico - ha sottolineato il Coisp - consapevoli che chiedere la chiusura del Centro, dopo il provvedimento d’autorità del prefetto Morcone, in relazione all’emergenza nazionale, sarebbe stato utopistico. Tuttavia non è possibile rinunciare alla salvaguardia della salute del personale impegnato nel trattamento dei clandestini. Il primissimo intervento è stato indirizzato alla distribuzione di guanti in lattice e mascherine: la risposta dei responsabili locali dell’Amministrazione è stata che non dovevamo creare allarmismo".


"Oggi, con il senno del poi, anche i Dirigenti più scettici, forse, hanno capito l’importanza della prevenzione", ha aggiunto il Sindacato che ha anche proposto la trasformazione del Cpa in Cei ("valida alternativa la struttura della scuola di Polizia Penitenziaria di Monastir") perché la collocazione logistica del Centro di Elmas "è da ritenersi fra le più infelici del panorama nazionale".


L’allarme per poliziotti a rischio malattie infettive viene lanciato dal Siulp (Sindacato italiano unitario lavoratori di polizia). "Si sono riscontrati - segnala il segretario generale del Siulp, Felice Romano - quattro casi di tubercolosi tra gli ospiti del centro di accoglienza di Elmas (Ca). In chiara violazione delle norme sulla sicurezza, centinaia di poliziotti sono stati costretti ad operare a stretto contatto con gli immigrati, in un ambiente fatiscente e privo delle più elementari norme igieniche. Ora tutti i poliziotti in servizio presso quel centro sono da oggi sottoposti a visita medica, per accertare un eventuale contagio".


"Sarebbe ora il caso - prosegue il sindacato - che il ministro Brunetta comprendesse che il lavoro del poliziotto comporta l’esposizione quotidiana anche a rischi di questo genere: ci dica cosa intende fare del suo decreto anti fannulloni se questo viene applicato integralmente agli operatori della polizia di Stato, nel caso in cui alcuni poliziotti risulteranno ammalati di tubercolosi". Il Siulp annuncia quindi una mobilitazione generale finalizzata all’intervento dell’Amministrazione della P.S. sui centri di accoglienza onde valutare se la situazione di Elmas possa ripetersi in altre realtà territoriali.

lunedì 15 settembre 2008

il carcere uccide i detenuti e il personale penitenziario


di Barbara D’Amico

www.rivistaonline.com, 15 settembre 2008

Quella penitenziaria è una realtà fatta di turni, ore d’aria, visite controllate. E storie che spesso non finiscono sulle prime pagine dei giornali. Come i tanti suicidi che ogni anno si consumano dietro le sbarre, fenomeno in crescita e preoccupante poiché a morire per mano propria non sono solo i condannati ma anche i componenti della polizia carceraria.


Secondo i dati pubblicati dal Ministero di Grazia e Giustizia, al 30 giugno 2008 la popolazione carceraria italiana ammonta a circa 55 mila unità su tutto il territorio nazionale - in aumento costante ogni anno - e la penuria di strutture è tale da aver costretto il Governo a proporre, come l’ultimo escamotage, il disegno di legge sui braccialetti anti-fuga: attraverso il controllo a distanza i detenuti potrebbero scontare la pena domiciliarmene o in altre strutture, scongiurando il sovraffollamento negli istituti detentivi, tra le prime cause di suicidio. Prima ancora, nel 2007, l’introduzione dell’indulto aveva permesso una drastica riduzione del numero di detenuti che dai 61 mila del 2006 erano scesi a circa 44 mila: ma gli effetti sono stati precari e l’alto tasso di recidiva, tra chi aveva beneficiato del provvedimento, è coinciso con un rapido ripopolamento di case circondariali e strutture di sicurezza.


Scorrendo i dati e le statistiche annuali stilate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, dal Consiglio d’Europa e dal Ministero di Giustizia, emerge il volto del detenuto medio italiano. Più della metà della popolazione carceraria è composta da uomini in età compresa tra i 20 e i 50 anni; il numero di donne, in proporzione, resta basso e per ogni 17 mila detenuti uomini si possono contare circa 1000 detenute donne. Dei 55 mila in carcere, circa 39 mila sono stranieri e il 40% delle condanne ha avuto come causa reati contro la persona o il patrimonio. Giovane età, diversità culturale, incidenza di reati violenti: senza strutture adeguate questo mix potrebbe spiegare perché, solo nel 2007, si siano registrati 45 suicidi e come mai dal 1980 se ne contino ben 1.365, con una punta massima nel 2001 (69 casi) e una punta minima nel 1990 (23 casi).


A rivelarlo è una ricerca condotta dal quotidiano del carcere di Padova "Ristretti Orizzonti" sulla base di dati europei ed italiani e trasfusa nel dossier Morire di carcere: documento scottante, mai reso pubblico dagli organi statali e balzato fuori su pressione del partito dei Radicali. I numeri sono tutt’altro che bassi: in Irlanda, nel 2005, si registrarono 4 suicidi mentre da noi ne venivano accertati 57 e lo stesso può dirsi confrontando i dati con Grecia, Ungheria, Polonia e altri paesi europei. Solo la Francia sembra avvicinarsi alle statistiche nostrane.


Ma il dato più interessante riguarda il tasso di suicidio tra i componenti della polizia penitenziaria. Dal 1997 sono ben 67 i suicidi accertati (7 solo lo scorso anno) con una media percentuale di morti dell’1.32% per ogni 10 mila componenti del corpo di polizia. Del fenomeno se ne parla poco, o affatto. Tanto è sconosciuto da non essere ancora entrato tra gli ordini del giorno dei lavori parlamentari. Difficile accertare i motivi delle morti, non essendovi al momento ricerche che provino il nesso di causalità con le condizioni di lavoro.


Inoltre, sia il dossier che i dati relativi alla popolazione carceraria non tengono conto dei centri di permanenza temporanea (Cpt), spesso trasformati in vere e proprie carceri. È possibile, allora, immaginare una carenza di strumenti e strutture tali da gravare la condizione degli impiegati dell’amministrazione detentiva: ascolto psicologico, incentivi economici, diversificazione delle mansioni non sembrano poter contare su investimenti adeguati. E, infatti, sempre in base ai dati del Ministero, il costo annuo dell’impianto penitenziario italiano ammonta a 2.869 milioni di euro: una cifra contenuta, e che purtroppo incontra difficoltà nell’essere soddisfatta annualmente in Finanziaria.

giovedì 11 settembre 2008

Cagliari: a Buoncammino 430 detenuti, il carcere è al collasso


Redattore Sociale - Dire, 11 settembre 2008


Progettato per accogliere 320 detenuti, le presenze superano quota 430. Turni massacranti per gli agenti penitenziari. Il sindacato Sappe chiede per tutta la Sardegna almeno 350 nuovi poliziotti.

Superata la soglia massima tollerabile: il carcere di Buoncammino è al collasso. Progettato per ospitare massimo 320 detenuti, le celle del penitenziario di Cagliari possono arrivare ad accoglierne 410. Ma "da sette mesi siamo sempre sopra quota 430 - spiega il direttore Gianfranco Pala - quando è possibile cerchiamo di trasferire qualche gruppetto nelle colonie penali di Mamone, Isili e Is Arenas, ma ci sono comunque cinque o sei nuovi arrivi praticamente tutti i giorni".


E mentre in tutta Italia riemerge il problema delle carceri sovraffollate, a Cagliari c’è chi fa i conti con la carenza degli spazi ormai da mesi, dividendo in sette celle da quattro, con una matematica che diventa sempre più flessibile per consentire di trovare un posto ai cinque o sei arrivi giornalieri.

"Siamo arrivati ai livelli del periodo pre-indulto, anzi in alcuni casi siamo già oltre - denuncia Angelo Tedde, segretario regionale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe) - con troppi detenuti e pochi agenti si è costretti a ridurre i posti di servizio, venendo meno in alcuni casi anche la sicurezza dell’istituto.


A Buoncammino non c’è solo una carenza di spazi, ma anche di organico: servirebbero dai settanta agli ottanta agenti in più. Lo scorso gennaio, infatti, ho consegnato all’ex capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) una dettagliata relazione sulla situazione degli istituti sardi, dove l’organico accertato necessario è di almeno altre 350 unità". Carcere di massima sicurezza al centro della città, tanto è vero che non è mai evaso nessuno, Buoncammino è considerato però un penitenziario di transito: solo sei gli ergastolani, mentre altri trecento hanno pene che oscillano dall’anno ai 30 anni. Alta è anche la percentuale delle persone che ci restano solo per qualche giorno, magari arrestati in flagranza di reato e tenuti in custodia cautelare sino all’interrogatorio col magistrato.


"Dei nuovi arrivi giornalieri - chiarisce Pala - più della metà non resta che per pochi giorni". Esclusa la via di un nuovo indulto, si torna a parlare di bracciale elettronico: un segnalatore per accertare costantemente la posizione del detenuto rimesso in libertà. "Si parla da anni di questi braccialetti che non sono certo una novità - prosegue Tedde - per quanto ci riguarda siamo favorevoli, naturalmente facendo una giusta selezione sui soggetti, per evitare che escano di prigione persone pericolose". Non boccia l’ipotesi nemmeno il direttore Gianfranco Pala: "Se hanno fatto degli esperimenti e offre buone garanzie di sicurezza - sintetizza - potrebbe essere una soluzione per sfoltire il numero dei detenuti". Contrari, anzi contrarissimi, i volontari dell’associazione "5 novembre per i diritti civili".


"È una forma di violenza persino maggiore rispetto ad altre soluzioni - chiarisce il portavoce Roberto Loddo - già sperimentato, non solo è fallimentare, ma anche incompatibile con i diritti civili del detenuto. L’unica soluzione possibile è la salvaguardia della legge Gozzini, con misure alternative al carcere. Tanti sono in carcere per immigrazione o tossicodipendenze: per quanto ci riguarda proponiamo un’amnistia generalizzata che estingua il reato". Ormai al collasso, nel penitenziario di Cagliari c’è anche un dramma sanitario. "Ci sono molti detenuti con una doppia diagnosi - denuncia Loddo - sia con tossicodipendenza che con patologie psichiche. Vanno aiutati".


(nell'immagine) Hans Hofmann "The Gate"

mercoledì 10 settembre 2008

Il braccialetto non è funzionale alla rieducazione


di Monica Cali (Magistrato di Sorveglianza a Novara)

www.ilsussidiario.net, 10 settembre 2008

In questi ultimi tempi si parla molto dell’introduzione del braccialetto elettronico come forma di controllo più efficace sui detenuti agli arresti domiciliari, e della necessità di adottare forme di espulsione nei confronti di cittadini extracomunitari perché espiino la pena nel loro paese di origine. In realtà forme elettroniche di controllo sono già previste dalla legge e non sono state mai più adottate. Alcuni tentativi sono stati abbandonati. Laddove esercito la mia giurisdizione (province di Novara, Aosta e Verbania), ad esempio, il braccialetto elettronico non è mai stato in uso. I detenuti domiciliari sono controllati nella corretta esecuzione del beneficio, fisicamente dalle forze dell’ordine, durante i servizi di pattuglia o i controlli in abitazione.


Sinceramente non sono in grado di formulare un giudizio prognostico sulla positività o meno di questo strumento, non avendone avuta un’esperienza diretta. Azzardo una riflessione come magistrato: la detenzione domiciliare è una pena alternativa al carcere che viene concessa a un soggetto in determinate condizioni e la cui pericolosità sociale residua si ritiene possa essere contenuta con questa misura alternativa particolarmente restrittiva. È una pena e in quanto tale si propone comunque obiettivi di rieducazione (lo prevede l’articolo 27, comma 3 della Costituzione), come tutte le misure alternative. Mi sembra che ciò diventi difficilmente perseguibile se il detenuto domiciliare viene completamente isolato da un rapporto umano e personale, che invece favorisce per definizione gli obiettivi di rieducazione.


Nel nostro ordinamento chi deve scontare una pena viene innanzitutto consegnato ad alcune persone prima che ad alcuni luoghi. In carcere il detenuto è affidato a magistrati, educatori, polizia penitenziaria. Se esce in misura alternativa deve rapportarsi ancora con il magistrato, con l’assistente sociale, con le Forze dell’Ordine. Vedo il rischio di una misura che non sollecita un cambiamento, che non fa leva sul fattore umano, fosse anche solo il rapporto con l’agente di pubblica sicurezza che diffida ad una corretta osservanza delle prescrizioni. Quanto agli stranieri extracomunitari l’emergenza c’è e non si discute. Esistono già le espulsioni degli stranieri che devono scontare una pena al di sotto dei due anni. È un provvedimento a carico del magistrato di sorveglianza e che trova difficoltà di perfezionamento in fase esecutiva. Moltissimi di questi cittadini sono privi di documenti di identificazione e pertanto non possono essere fisicamente accompagnati alla frontiera dalle forze dell’ordine.


Ci sono poi i provvedimenti di estradizione, che però richiedono tempi molto lunghi e per i quali anche la procedura risulta piuttosto farraginosa. Insomma strumenti ce ne sono, ma giustamente il nostro ordinamento vuole che siano rispettate certe garanzie che un iter processuale deve per forza salvaguardare. La mia esperienza mi suggerisce che, osservate certe condizioni come un’offerta di un lavoro serio o di una rete di rapporti significativi, anche cittadini extracomunitari condannati si sono reinseriti nel nostro tessuto sociale. Certo non è la stragrande maggioranza dei casi, ma sono casi che andrebbero presi ad esempio, magari per far fronte al problema sicurezza anche con altri strumenti non strettamente giuridici.


martedì 9 settembre 2008

Radicali: l’unica strada è nuovo indulto e amnistia


Apcom, 9 settembre 2008


Contro il sovraffollamento delle carceri i Radicali tornano a proporre al ministro della Giustizia "la strada dell’indulto accompagnato dall’amnistia e da concrete misure di depenalizzazione e decarcerizzazione unite ad un serio piano per il reinserimento sociale delle persone detenute".


"Le risorse, non solo economiche ma anche professionali - spiega Rita Bernardini membro della commissione Giustizia della Camera - ci sono tutte, basta smetterla con la propaganda da gioielleria di scena di bracciali, braccialetti e simili amenità".


"Nessuno rileva che esistono condizioni di illegalità da parte dello Stato che vanno al più presto sanate: è contro la Costituzione e contro ogni principio di umanità costringere in spazi ristrettissimi esseri umani che sono stati sì privati del bene della libertà ma che non possono in alcun modo essere privati della loro dignità di persone" conclude l’esponente radicale.


(nell'immagine) ndesign-studio.com "abstract-party"


lunedì 8 settembre 2008

Manconi: piano Alfano è inutile, serve un nuovo indulto


Il Velino, 8 settembre 2008


"Ovviamente anche le più recenti dichiarazioni sul fallimento del provvedimento di indulto del 2006 sono prive di qualunque fondamento di realtà. La percentuale di recidiva tra coloro che ne hanno beneficiato è meno della metà di quella registrata tra quanti scontano interamente la pena senza alcun condono o beneficio. I limiti dell’indulto sono altri e si devono alla mancata approvazione di una contestuale amnistia, che avrebbe notevolmente ridotto il sovraccarico di lavoro della magistratura".

Lo afferma Luigi Manconi presidente dell’Associazione "A buon diritto" e già sottosegretario alla Giustizia. "Detto ciò - prosegue Manconi - la questione del sovraffollamento resta cruciale (e senza l’indulto avrebbe superato il livello di guardia, fino a diventare esplosiva) e va affrontata innanzitutto attraverso una strategia intelligente di depenalizzazione e di decarcerizzazione".


Secondo il presidente dell’Associazione "è, invece, utopico e irresponsabile (una vera minaccia alla sicurezza collettiva) affidarsi unicamente alla costruzione di nuove carceri: la capienza e il numero dei posti sono già cresciuti, ma tutte le commissioni tecniche, nominate da tutti i ministri della Giustizia indicano in 12-14 anni il tempo medio necessario alla realizzazione di un nuovo penitenziario. E nel frattempo?".


"Già oggi - sottolinea Manconi - i detenuti condannati per reati non gravi, ai quali rimangano da scontare due anni, possono usufruire della detenzione domiciliare. Il braccialetto elettronico non è una follia: è, rispetto alla spesa che comporta e alle garanzie che offre, una misura pressoché superflua: la percentuale di condannati in detenzione domiciliare che commettono nuovi reati è irrisoria e statisticamente irrilevante".


"Per quanto riguarda i detenuti stranieri, considerato il numero esiguo di accordi bilaterali tra l’Italia e i paesi di provenienza, i provvedimenti di espulsione sono destinati ad avere l’effetto che già hanno le espulsioni degli irregolari: una crescita abnorme, nel corso dei primi mesi del governo Berlusconi, degli sbarchi sulle nostre coste. Forse - conclude Manconi - considerati i risultati relativamente positivi del provvedimento di clemenza del luglio 2006, si dovrebbe pensare a un nuovo indulto e a una contestuale amnistia".

domenica 7 settembre 2008

Forlì: Cronaca della morte disumana di un cittadino detenuto

La Voce di Romagna, del 29 agosto 2008

Dramma in cella. Franco Paglioni, 44 anni, in carcere da pochi giorni, è morto il 25 agosto abbandonato alla sua malattia e tra le sue feci. I detenuti, compagni di cella, denunciano: "Una fine assurda, stava male, ma nessuno l’ha curato. Episodi come questi, non devono succedere Neanche i cani si abbandonano così, si curano. E lui era una persona".


Paglioni era entrato in via della Rocca il 21 agosto scorso per spaccio di droga. È morto tra le sue feci, dopo giorni di agonia e di richieste di aiuto cadute nel vuoto. È morto il 25 agosto in carcere, tra la rabbia e il disappunto dei compagni di cella. Una fine disumana, quella di Franco Paglioni, 44 anni, dentro per droga, tanto disumana da sollevare le proteste degli altri carcerati. Franco Paglioni era finito in carcere pochi giorni prima per spaccio. Stando al racconto dei compagni di cella, appena arrivato in via della Rocca, il detenuto è stato sottoposto ad una visita medica perché già accusava forti dolori.


"Stava talmente male - scrivono i detenuti dal carcere - che non poteva alzarsi dal letto e neppure mangiare. I suoi piatti rimanevano quindi pieni, e l’assistente di turno, anziché preoccuparsi, ordinava di mettere il cibo nuovo sopra a quello vecchio. In quei giorni di detenzione andava avanti solo a tè o camomilla, grazie ad un detenuto che ogni sera gli preparava gli infusi. Abbiamo chiesto più volte alle guardie di turno l’intervento urgente di un medico per Paglioni, ma nessuno si è mai visto e l’infermiere che è passato in sezione per la consegna della terapia per ben 2 volte (alle 20.30 del 24 sera e alle 7.30 del 25 agosto), non si è preoccupato neppure di chiamarlo nonostante l’uomo, perché è di questo che stiamo parlando, stesse già malissimo".


Franco Paglioni aveva problemi di droga. Era uno di quei detenuti che entrano ed escono dal carcere. L’ultimo arresto, risale al 21 agosto. Era uscito dal carcere con l’indulto e si pagava l’albergo con i soldi dello spaccio di eroina. Così è finito di nuovo in cella, con l’accusa di aver allestito un micro mercato di spaccio proprio nelle viuzze intorno alla Questura. L’uomo, già condannato per una serie di reati tra cui rapine e furti, era stato anche in comunità di recupero, poi era stato ospite di un amico col quale aveva litigato, fino ad alloggiare in un hotel del centro storico dove aveva l’obbligo di farsi trovare dalle 10 di sera fino alle 7 del mattino (era stato colpito da un provvedimento di restrizione della libertà). Obbligo che non rispettava, dando nell’occhio per i suoi continui contatti con tossicodipendenti del posto. Da qui, l’ennesimo ingresso nella casa circondariale forlivese di via della Rocca, dove nel giro di pochi giorni è deceduto.


"Il fondo è stato toccato la mattina del 25 agosto - lamentano i compagni detenuti che si firmano con nome e cognome -, quando il lavorante davanti alla cella ha fatto presente lo stato del Paglioni, riverso tra le sue feci. Noi tutti eravamo presenti. L’assistente di turno, l’ha visitato e, assieme ad un detenuto, l’ha portato sotto alla doccia, nonostante lo stato esamine in cui quel poveretto si trovava. Poi è stato riportato in cella. Quando finalmente è stato chiamato il dottore, era troppo tardi: ne ha potuto solo constatare il decesso. Noi vorremmo che una volta tanto, anche un detenuto riceva giustizia. Crediamo che una persona non debba e non possa essere lasciata morire così, come un cane. Anzi, se si lascia morire un cane si rischia fino a 6 mesi di carcere. Questa era una persona. Noi chiediamo giustizia non per noi, ma per Paglioni, perché vogliamo che fatti di questo genere non si debbano ripetere più per colpa del menefreghismo di chi ha l’obbligo invece di intervenire".


Telefonata senza risposta: la direttrice è fuori servizio

Abbiamo tentato di contattare la direttrice del carcere Rosalba Casella per avere delucidazioni sulla morte del detenuto e sulla denuncia scritta e firmata dai suoi compagni di cella. Ma la direttrice nel primo pomeriggio era fuori in servizio; per avere risposte bisogna aspettare lunedì prossimo. A nulla sono valse le nostre insistenze, né gli appelli alla moderna epoca dei cellulari che permettono di comunicare anche con chi si trova fuori sede.


Niente, La direttrice, sul caso della morte di Franco Paglioni, non può rispondere perché non è in servizio. Una morte, una vita, valgono forse il disturbo di una chiamata al cellulare anche fuori servizio. O forse, ci stiamo sbagliando noi. Forse non è così. Auspichiamo solo che le stesse risposte vengano girate, se non altro, a quei detenuti che impotenti l’hanno visto morire, nel totale abbandono e in mezzo alle sue feci.


(nell'immagine) Christian Wallpaper - "Abstract Balls"


Forlì: purtroppo è vero, "drogato" fa morte inumana in cella


Francesco Morelli
Ristretti Orizzonti, 6 settembre 2008

La prima segnalazione, arrivata ieri mattina, descriveva uno scenario così vergognoso da sembrare quasi incredibile, tanto che abbiamo riportato la notizia in maniera molto asciutta e prudente, invitando però i nostri lettori a darci una mano per fare luce sul caso della "presunta morte" di un detenuto nel carcere di Forlì.


Molti di voi si sono attivati - per questo vi diciamo un "grazie" collettivo - ed è arrivata, purtroppo, piena conferma a ciò che non volevamo fosse vero: una morte orribile, che fa venire in mente i peggiori racconti dei manicomi e dei lager, di internati espropriati della dignità umana, di "regole" e "abitudini" che schiacciano ogni residuo di sensibilità e finiscono per giustificare anche l’ingiustificabile (leggete l’articolo della "Voce di Romagna", sotto riportato). Ma cosa stanno diventando le carceri italiane? Dei manicomi? Dei "Centri di detenzione per immigrati", come ha detto Luigi Pagano, Provveditore Regionale del Dap per la Lombardia? Dei lazzaretti, nei quali relegare i "drogati"? Dei "grandi depositi di carne umana", come denuncia il sociologo svedese Thomas Mathiesen?


Adolfo Ferraro, direttore dell’Opg di Aversa, ha dichiarato ieri - con evidente sollievo - che con la riforma della sanità penitenziaria è diventato primario dell’Asl e, quindi, ora può anche "rifiutare nuovi ricoveri, se in Opg non c’è posto". Nel frattempo, il direttore di un altro carcere, quello di Sulmona, denuncia l’insufficiente assistenza psichiatrica per i detenuti, tanto da ritenere l’istituto che dirige "inadatto ad accogliere soggetti psicotici".


Infine, il Sindacato della Polizia Penitenziaria Osapp rivela lo scandalo del carcere di Aosta, dove nel mese di agosto ci sono state "162 ore di vuoto sanitario", perché "tutti i medici erano in ferie e il dirigente sanitario assente per malattia". Ad Aosta sono recluse 150 persone e, per 8 giorni consecutivi, hanno dovuto "essere sani"… per forza! Agosto è finito ("grazie a Dio", pensano i detenuti, sopravvissuti anche quest’anno all’abbandono… feriale), sono tornati al lavoro i medici e gli altri operatori, i giudici, e anche gli amministratori e i politici.


Quello che chiediamo a tutti - al di fuori da ogni retorica - è di prestare molta molta attenzione a ciò che sta succedendo nelle carceri, a ciò "che stanno diventando" le carceri italiane, perché se tutti auspicano una "rieducazione" dei detenuti è improbabile si riesca a realizzarla se gli istituti di pena assomigliano sempre di più a dei manicomi, o a dei lazzaretti. Tragedie come quella di Forlì non rappresentano la norma - e ci mancherebbe altro! - però possono succedere, come si è visto succedono, e già questo è inaccettabile, per noi e per tutti coloro che credono - con Voltaire e Dostoevskij - che "il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri".


sabato 6 settembre 2008

Carcere di Buoncammino: 42 giorni sciopero della fame, finalmente ricovero in psichiatria


La Nuova Sardegna, 5 settembre 2008
Dalla Redazione del Centro studi
di Ristretti Orizzonti www.ristretti.it



È stato ricoverato nel Servizio psichiatrico diagnosi e cura (Spdc) dell’ospedale Santissima Trinità il detenuto di 31 anni che da 42 giorni era in sciopero della fame nel carcere cagliaritano di Buoncammino. "La decisione è stata adottata, con l’autorizzazione del giudice Daniela Amato e del sostituto procuratore Gilberto Ganassi in considerazione dello stato psico-fisico del trentunenne", fa sapere il consigliere regionale socialista Maria Grazia Caligaris, componente della Commissione "Diritti Civili", che nei giorni scorsi aveva visitato in carcere il giovane, in attesa di giudizio da un anno e quattro mesi, che sarà processato il prossimo novembre. "La solidarietà nei suoi confronti da parte di numerosi detenuti è stato un segnale inequivocabile della gravità della situazione", sottolinea Caligaris. "Il ricovero - continua la consigliera regionale - è un risultato positivo che consentirà ai medici di effettuare una ricognizione più approfondita sulle condizioni di salute del ragazzo verificando la fondatezza degli evidenti segnali psicotici".


(nell'immagine) Jeff Crouch - "Oooo"

giovedì 4 settembre 2008

Messina (Cnvg): così torniamo ai tempi delle rivolte nelle Carceri


Redattore Sociale - Dire, 4 settembre 2008


Le ultime cifre del Dap confermano la tendenza più volte segnalata: nel giro di 8 mesi i detenuti presenti nelle carceri italiane torneranno a quota 63 mila, cifra che porto all’indulto del 2006. Parla il presidente della Cnvg. Che le carceri stanno rapidamente tornando alla situazione che nel 2006 portò all’approvazione l’indulto è una cosa che la società civile va ripetendo da tempo attraverso analisi di cui questa agenzia ha già più volte dato conto.


Lo confermano anche gli ultimi dati del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) riportati questa mattina dal quotidiano "Repubblica", che parlano di 55.369 persone attualmente detenute nelle carceri italiani: un dato che letto in progressione vuol dire che nel giro di otto mesi si tornerà a superare il numero di 63mila detenuti, che nel 2006 portò a scegliere la via dell’indulto. Abbiamo chiesto a Claudio Messina, presidente dalla Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, cosa si può fare se si torna all’affollamento pre-indulto.


"Le risposte noi le avevamo già suggerite anni addietro - risponde Messina. - anche all’epoca dell’indulto che avevamo salutato con favore, anche se in linea di principio non siamo favorevoli a questo tipo di misure. Si tratta infatti di misure che sanano, ma se poi non si prendono provvedimenti torna tutto come prima". E invece, per il presidente della Conferenza Volontariato Giustizia, occorrerebbe una riforma come quella che il volontariato e la Commissione di studio per la riforma del codice penale Pisapia suggerivano quando ministro della Giustizia era ancora Clemente Mastella.


"Il carcere non rappresenta l’unica ratio, ma solo una misura estrema - chiarisce Messina - mentre esistono altri tipi di pena, come ad esempio quella prescrittiva e interdittiva. Per intenderci, se un amministratore ha fatto bancarotta fraudolenta non deve fare più l’amministratore per tutta la vita". Tra i suggerimenti del volontariato vi è poi la revisione di quelle leggi criminogene che hanno prodotto un aumento della carcerazione. "Basta pensare alla Bossi Fini, che viene di volta in volta aggravata, mentre noi sappiamo che la repressione non porta nulla e anzi ingigantisce i problemi senza risolverli. Oppure la legge Cirielli sulla recidiva: in carcere ci sono per la stragrande maggioranza delinquenti ‘incalliti’, per i quali la recidiva arriva a circa il 70%. Mentre per chi usufruisce delle misure alternative arriva a meno del 20%".


Nei due anni successivi all’indulto il carcere non è cambiato granché racconta Messina: "Io che faccio l’assistente volontario nel carcere di Porto Azzurro all’Isola d’Elba e conosco molte realtà posso dire che non è cambiato nulla, anzi la situazione si è addirittura inasprite. Siamo a una media di circa 1000-1200 ingressi ogni mese e se si riesce a tenere la situazione sotto controllo è solo grazie alla buona volontà degli operatori carcerari (istituzionali e volontari) e a questo nostro ordinamento giudiziario, che non è niente affatto da buttare".


Preoccupazione, invece, per le due proposte di legge presentate dal presidente della Commissione Giustizia del Senato, Filippo Berselli che mirano a ridimensionare drasticamente la legge Gozzini attraverso limitazioni e restrizioni. "Insomma - precisa il presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia - un giro di vite che, se risponde all’esigenza di soddisfare l’opinione pubblica, rischia di riportare la situazione indietro di trenta o quaranta anni quando nelle carceri scoppiavano continue rivolte. Mentre, l’obiettivo della riduzione della pena diminuisce le situazioni di tensione". E allora "se si mettono insieme tolleranza zero, certezza della pena e sovraffollamento delle carceri (per costruirne di nuove ci vorrebbero almeno dieci anni) è prevedibile una recrudescenza della violenza nelle carceri, che metterebbe a repentaglio il buon lavoro svolto fin qui dagli operatori".


In conclusione, spiega Messina, "il volontariato insiste sul fatto che se ci deve essere una revisione dell’ordinamento penitenziario deve essere migliorativa e non peggiorativa. Bisogna avere il coraggio di uscire dal vincolo del giustizialismo che l’opinione pubblica richiede: altrimenti si rischia di andare verso la situazione degli Usa, dove la percentuale dei detenuti sulla popolazione è dieci volte superiore a quella italiana: 1 a 100 contro il nostro 1 a 1.000".


(nell'immagine) Jeff Crouch - "Ballon Head"

mercoledì 3 settembre 2008

Carcere di Buoncammino: continua lo sciopero della fame di un detenuto da 42 giorni


Agi, 2 settembre 2008


In 42 giorni di sciopero della fame ha perso tredici chili. Un detenuto nel carcere cagliaritano di Buoncammino, alto 1,85 è arrivato a pesare 51 chili, non si regge più sulle gambe e manifesta "un grave stato confusionale" che ne rende indispensabile il ricovero urgente in ospedale. Lo sollecita il consigliere regionale socialista Maria Grazia Caligaris, che denuncia le condizioni in cui vive il giovane, un detenuto di 31 anni in attesa di giudizio in carcere da un anno e quattro mesi. Dopo averlo incontrato nel penitenziario, Caligaris l’ha invitato invano a sospendere la protesta.


"Il rifiuto del cibo, che il giovane considera ormai come un veleno cui sottrarsi, ha indotto uno stato anoressico", spiega il consigliere regionale, componente della commissione "Diritti civili" dell’assemblea sarda. "Il detenuto, assistito dal suo compagno di cella, ha rifiutato il ricovero nel centro clinico di Buoncammino. Finora sono stati vani i tentati di farlo recedere dal proposito autolesionista, compresi quelli dei suoi legali, gli avvocati Luigi Concas e Paolo Pilia".


"Il giovane respinge le accuse che gli vengono contestate", prosegue Caligaris, sostenendo che per salvarlo e capire le cause psicologiche del suo gesto sia necessario il ricovero in ospedale. "L’atteggiamento, però, danneggia gravemente le sue condizioni mentali, provocandogli stati di psicosi maniaco-depressiva e somatizzazioni. In casi così gravi", conclude Caligaris, "è opportuno che i giudici individuino soluzioni alternative al carcere in attesa che il processo accerti le reali responsabilità del detenuto".


Don Ettore Cannavera, riflessioni da "La Collina"

L'Associazione 5 Novembre, ha intervistato Don Ettore Cannavera, fondatore della comunità di accoglienza "La Collina", rivolta a giovani-adulti, di età compresa tra i 18 ed i 25 anni, che vengono affidati dalla Magistratura di Sorveglianza come misura alternativa alla detenzione. Un interessante intervista sui temi della Giustizia, del Carcere, del precariato giovanile e della cultura della Solidarietà e dell'accoglienza.