domenica 28 settembre 2008

Sassari: sit-in degli agenti davanti al carcere di San Sebastiano


La Nuova Sardegna, 27 settembre 2008


Carichi di lavoro troppo pesanti, aggressioni da parte dei detenuti, carenza di personale femminile, sono solo alcuni dei problemi che sono stati denunciati dal Sappe Sardegna, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, che per lunedì prossimo ha organizzato un sit-in di protesta davanti alla Casa Circondariale di San Sebastiano, per sensibilizzare le autorità ministeriali e l’opinione pubblica sulle problematiche dell’istituto.


Il Sappe invita alla manifestazione tutto il personale penitenziario di Sassari "per dimostrare e rendere note le difficoltà operative in cui versa la struttura sarda". Tra le situazioni che "mettono seriamente a repentaglio l’ordine e la sicurezza", si legge nella nota diffusa nei giorni scorsi dalla segreteria provinciale del Sappe, ci sono i "carichi di lavoro particolarmente onerosi e stressanti per il personale del corpo".


Ma anche "episodi di aggressione da parte della popolazione detenuta - aggiunge la segreteria -; la carenza di personale femminile, che si riflette soprattutto sulla vigilanza e sui controlli durante i colloqui; il ricorso nella sezione femminile a personale maschile, a causa di una permanente insufficienza di colleghe, non in grado di coprire tutti i turni di servizio; l’apertura di un reparto di degenza, realizzata senza la concertazione con le organizzazioni sindacali che comporta una integrazione di almeno quindici unità del corpo; una riorganizzazione delle attività lavorative e dei servizi che richiedono un adeguamento, ormai indifferibile, del personale; una particolare attenzione alla portineria e ai relativi dispositivi ausiliari, all’armeria, alla porta carraia, alla sala regia, alle perquisizioni".


(nell'immagine) Nemo nox "Lion Roaring at Moon"

4 commenti:

Precari in Linea ha detto...

il reato di tortura… basterebbe poco per introdurlo

di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone)



Aprile on-line, 27 settembre 2008



Nel nostro codice penale manca il crimine di tortura eppure nel paese esiste. Per rispondere a questo vuoto basterebbe una legge composta da un unico articolo che riproduca la definizione presente nella Convenzione delle Nazioni Unite del 1984. Un segnale importante per la nostra democrazia in crisi.

Nelle agenzie di stampa si legge che una delegazione di alto livello del Comitato europeo per la prevenzione della tortura di Strasburgo è in visita in Italia. Si legge anche che è stata ricevuta dal sottosegretario agli interni Michelino. Evidentemente il ministro Maroni aveva altro di più importante da fare. Una mancanza di rispetto grave. Una indifferenza verso il lavoro degli organismi internazionali che si era vista solo nelle epoche buie della storia italica.

Negli ultimi mesi c’è stata una escalation di provvedimenti parlamentari, governativi, municipali nella direzione della repressione e dell’autoritarismo. Alcuni di questi provvedimenti hanno già lasciato segni brutali sui corpi delle persone: a Monza un cittadino arrestato viene custodito dagli agenti di polizia locali legato a un palo; a Bussolengo la comunità rom denuncia violenze gratuite ad opera dei Carabinieri; ad Anzio viene denunciato un pestaggio mortale ai danni di un tossicodipendente etc. etc.

Oramai si prova fastidio o noia per i militanti dei diritti umani. Vi è un razzismo istituzionale verso il sotto-proletariato urbano che arriva a giustificare pratiche violente e lesive della dignità della persona. Della vita dura e degradata nelle prigioni pare non importi più a nessuno. La storia del detenuto paraplegico suicidatosi ad Opera non interessa la stampa. Il fatto che arrivi una delegazione ufficiale europea a ispezionare i nostri luoghi di detenzione dovrebbe essere la notizia di apertura dei giornali. Questo sarebbe accaduto in Francia. Non da noi. Fu invece la "democratica" Repubblica a sdoganare il razzismo di sinistra. Non si era mai visto nulla di simile nella storia del riformismo italiano.

Alcuni punti fermi non massimalisti vanno allora ricordati. La tortura è bandita dal diritto internazionale, sia da quello universale che da quello continentale. In Italia il diritto interno ha accumulato una inadempienza oramai più che ventennale rispetto a quanto imposto dai trattati Onu. Manca il crimine di tortura nel nostro codice penale. Ci vuole ben poco a raggiungere questo risultato: basterebbe una legge composta da un unico articolo che riproduca la definizione di tortura presente nella Convenzione delle Nazioni Unite del 1984. Sarebbe questo un segnale importante per la nostra democrazia in crisi.

La tortura è un crimine contro l’umanità: é scritto nello Statuto istitutivo della Corte Penale Internazionale. Secondo Luigi Ferrajoli, autore dell’immensa Opera Iuris, sarebbe l’unico reato la cui codificazione avrebbe una diretta legittimazione costituzionale. Rachida Dati, ministro della Giustizia francese, nel commentare la recente introduzione in Francia di una figura indipendente di controllo dei luoghi di detenzione, ha detto che "i diritti umani non sono né di destra né di sinistra". Da noi analoga espressione è stata riferita alla sicurezza nell’ambito di un dibattito meschino e fuorviante. I diritti umani vanno presi sul serio, vanno promossi, vanno codificati, vanno tutelati.

Nelle carceri italiane è tornato il sovraffollamento. I detenuti sfiorano le 55 mila unità. I posti letto regolamentari sono circa 43 mila. La questione dei diritti in carcere è una questione che riguarda la vita quotidiana delle persone: la possibilità di accesso alle cure mediche, il numero di ore di socialità, la disponibilità di docce e acqua calda, la qualità delle offerte lavorative.

È necessario, nonché doveroso alla luce del diritto internazionale, istituire un meccanismo di controllo dotato di poteri ispettivi e di libero accesso non solo nelle carceri, ma anche nelle caserme, nei commissariati, nonché nei centri di permanenza temporanea per immigrati. In Italia manca. Noi di Antigone ci auto-promuoviamo ad assumere questo ruolo. Per questo abbiamo istituito il nostro difensore civico (difensorecivico@associazioneantigone.it).

Precari in Linea ha detto...

le Associazioni chiedono "mai più dei bambini reclusi"



Redattore Sociale - Dire, 27 settembre 2008



Difesa della legge Gozzini, tutela della salute dei detenuti e mai più bambini reclusi: queste le richieste delle associazioni presenti al convegno "Donne e carcere".

Il carcere femminile è un mondo a parte, e le donne fanno ancora più fatica ad adattarsi alla vita ristretta. Soprattutto perché questo comporta spesso il distacco dai propri figli, a cui non riescono mai a rassegnarsi. Questo uno dei molti spunti emersi ieri mattina a Roma nel corso convegno "Donne in carcere", organizzato dalla Consulta cittadina permanente per i problemi penitenziari del Comune di Roma e dalla Casa circondariale Rebibbia femminile all’interno delle mura dell’istituto penitenziario.

Le donne, infatti, hanno più problemi dei loro colleghi di sesso maschile ad accettare la mancanza di libertà e soffrono (come una delle detenute presenti al convegno ha messo in luce) di disturbi psico-somatici tra cui disordini del ciclo, menopausa precoce, ansia e depressione. Ma la questione più scottante riguarda però la maternità, vissuta in maniera dolorosa sia quando sono obbligate a separarsi dai propri figli sia quando sono costrette a crescerli all’interno del carcere, come avviene nel caso dei bambini da zero a tre anni (su questo tema Redattore Sociale si è più volte soffermato in questi giorni).

E la questione dei bambini in carcere è stata affrontata anche dal presidente della Consulta cittadina per i problemi penitenziari del Comune di Roma, Luigi Di Mauro, che ha richiamato l’attenzione su una battaglia che le associazioni vanno facendo da tempo: "Auspichiamo - ha affermato - che venga al più presto approvata dal Parlamento la proposta di legge per cui nessun bambino varchi più la soglia di un carcere, rimuovendo tutti gli ostacoli che non consentono ai bambini di non entrare in carcere. La proposta - ha precisato è stata presentata dalla Consulta e dalle organizzazioni che operano nei nidi del carcere femminile, tra cui l’associazione Roma Insieme".

A questo il presidente della Consulta ha aggiunto un secondo auspicio. "Per dieci anni abbiamo lottato - ha dichiarato - per il passaggio della medicina penitenziaria al Sistema Sanitario Nazionale. E ora che la legge è stata definitivamente approvata, ecco che ci sono gravi problemi di finanziamento e di presa in carico da parte delle Asl. Tali problemi - ha continuato - rischiano di rendere questo passaggio molto problematico a discapito del diritto della salute dei detenuti. E questo noi non lo consentiremo". A questo proposito Di Mauro ha aggiunto: "Abbiamo costituito un Forum nazionale sulla salute dei detenuti attraverso il quale vigileremo affinché le Asl facciano il loro dovere. Altrimenti - ha avvertito - ci rivolgeremo alla Procura della Repubblica, perché non ci si può permettere che le Asl non si assumano le proprie responsabilità".

Il terzo monito riguarda, infine, la legge Gozzini. "Chiediamo che non venga assolutamente toccata la legge Gozzini - ha concluso Di Mauro - che in questi anni ha permesso di reinserire nella società persone che hanno compiuto reati attraverso il sistema premiale". E a questo proposito il presidente della Consulta ha chiesto "che non si trasformi il carcere nel luogo dove ogni devianza viene reclusa. I soldi dello Stato vanno usati per dare pari opportunità ai cittadini. Solo così riusciremo a garantire un’effettiva sicurezza".

Precari in Linea ha detto...

D’Elia; le donne detenute hanno sempre meno diritti



Redattore Sociale - Dire, 27 settembre 2008



"Le donne detenute hanno sempre meno diritti e rimane lo scandalo delle troppe donne madri ospitate nelle carceri con i loro figli. Va ribadita e resa operativa l’incompatibilità della maternità e dell’accudimento dei figli con la struttura carceraria".

È quanto dichiarato ieri mattina dalla vice presidente della Provincia di Roma, Cecilia D’Elia, intervenuta al Convegno "Donne e Carcere" presso la casa circondariale di Rebibbia in occasione del decennale della Consulta cittadina per i problemi penitenziari del Comune di Roma. "Oltre un terzo delle donne detenute sono immigrate e tra di loro altissima è la percentuale delle donne madri. A peggiorare la situazione arriverà inoltre la legge Carfagna - continua D’Elia - sulla prostituzione che sposterà dalla strada al carcere migliaia di ragazze senza incidere minimamente sul fenomeno dello sfruttamento. Le donne vedono peggiorare le loro condizioni in carcere ma delinquono sempre meno degli uomini, sono solo il 4% della popolazione carceraria nazionale, nel Lazio 398 donne su 5.157 detenuti".

"Allarmante anche la situazione sanitaria - conclude D’Elia - c’è una riduzione di fondi per le visite specialistiche. L’amministrazione penitenziaria in questi anni sarebbe stata in grave difficoltà nel garantire opportunità di recupero umano e sociale senza il contributo delle associazioni e degli enti locali. Nel futuro sarà tutto più difficile garantire a causa dei tagli che il Governo porterà alle casse degli enti locali".

Anonimo ha detto...

alcune riflessioni sul concetto di pericolosità sociale

di Luigia Padalino



www.aipsimed.org, 29 settembre 2008



Ci sono notizie che gridano vendetta. Questa mattina il quotidiano di Milano "Cronaca qui" recava in prima pagina la notizia dell’arresto di un energumeno che per anni aveva torturato e picchiato selvaggiamente la sua compagna. Ci sono alcuni dettagli che mi hanno fatto oltremodo indignare.

"Il carnefice, in un crescendo di violenza, la picchiava con calci e pugni, la insultava e minacciava, infieriva sul suo viso e nella parte interna della bocca con un paio di forbici." Mi sono detta: con tutte gli arresti e le denunce precedenti, nessuno aveva pensato di fare una perizia psichiatrica a questo individuo? Nessuno aveva pensato di sottoporre questo individuo a un bel trattamento sanitario obbligatorio?

Dico questo perché a Milano se ne raccontano di belle circa il modo di procedere dei reparti psichiatrici, ma evidentemente i reparti sono troppo impegnati a occuparsi di poveri cristi per accorgersi che in giro ci sono autentiche mine vaganti. E sono gentile, perché li vorrei chiamare con il loro nome: mostri. Secondo voi è una persona normale uno che mette in atto simili violenze? Non è "pericoloso socialmente"?

Se le commissioni giustizia del nostro beneamato parlamento fossero meno impegnate a elaborare nuovi "lodi" per salvare presidenti e ministri dalle "attenzioni" della giustizia, potrebbero invece seriamente occuparsi di come nel nostro paese venga gestito il problema sicuramente presente della "pericolosità sociale". Una tale sensibilità presupporrebbe però l’esistenza di uno Stato degno di questo nome, uno Stato che non rinchiude per decenni le persone nei manicomi criminali (li voglio proprio chiamare esattamente come si chiamavano fino al 1975), condannandoli al cosiddetto "ergastolo bianco", mentre lascia in libertà recidivi predatori di anime come l’individuo di cui stiamo parlando.

Uno Stato degno di questo nome rinchiuderebbe per il tempo necessario e curerebbe con decenza persone che sono delle autentiche mine vaganti per le tante creature deboli e indifese che popolano il mondo. E invece sapete chi ci sta, nei manicomi criminali?

Vittorino Andreoli, illustre psichiatra veronese, nel 2001 aveva condotto una ricerca sui detenuti ricoverati nelle sei strutture italiane : "Anatomia degli ospedali psichiatrici giudiziari italiani". Certo lascia perplessi leggere che: "Vi sono però anche 52 casi, sottolinea la ricerca, circa il 4% dell’intera popolazione, senza una diagnosi possibile. Si tratta in altre parole di casi "dubbi" o che non sono classificabili psichiatricamente".

In altre parole persone che nulla hanno a che fare con l’ospedale psichiatrico giudiziario e che quindi mai ci sarebbero dovuti entrare. Tutto a spese del contribuente italiano che peraltro se ne è sempre ampiamente fregato della qualità delle cure ammannite in queste strutture. C’è chi le vuole chiudere e forse ha ragione. Ma cosa succederà delle persone veramente pericolose come l’energumeno di cui stiamo parlando? Affidiamoci alla provvidenza perché non incroci mai la nostra strada.

Don Ettore Cannavera, riflessioni da "La Collina"

L'Associazione 5 Novembre, ha intervistato Don Ettore Cannavera, fondatore della comunità di accoglienza "La Collina", rivolta a giovani-adulti, di età compresa tra i 18 ed i 25 anni, che vengono affidati dalla Magistratura di Sorveglianza come misura alternativa alla detenzione. Un interessante intervista sui temi della Giustizia, del Carcere, del precariato giovanile e della cultura della Solidarietà e dell'accoglienza.