martedì 9 settembre 2008

Radicali: l’unica strada è nuovo indulto e amnistia


Apcom, 9 settembre 2008


Contro il sovraffollamento delle carceri i Radicali tornano a proporre al ministro della Giustizia "la strada dell’indulto accompagnato dall’amnistia e da concrete misure di depenalizzazione e decarcerizzazione unite ad un serio piano per il reinserimento sociale delle persone detenute".


"Le risorse, non solo economiche ma anche professionali - spiega Rita Bernardini membro della commissione Giustizia della Camera - ci sono tutte, basta smetterla con la propaganda da gioielleria di scena di bracciali, braccialetti e simili amenità".


"Nessuno rileva che esistono condizioni di illegalità da parte dello Stato che vanno al più presto sanate: è contro la Costituzione e contro ogni principio di umanità costringere in spazi ristrettissimi esseri umani che sono stati sì privati del bene della libertà ma che non possono in alcun modo essere privati della loro dignità di persone" conclude l’esponente radicale.


(nell'immagine) ndesign-studio.com "abstract-party"


4 commenti:

Roberto Loddo ha detto...

Verona: detenuto morto; manca denuncia, è "causa naturale"



L’Arena di Verona, 9 settembre 2008



Muore in carcere. Aperta un’inchiesta. La segnalazione di alcuni detenuti su un decesso avvenuto a luglio. Doveva scontare un anno. I compagni di reclusione: "Era gravemente malato, andava portato in ospedale".

È morto nella sezione dell’infermeria del carcere di Montorio lo scorso 22 luglio ma la notizia è emersa solo in questi giorni grazie alla segnalazione di alcuni detenuti. La procura ha aperto un’inchiesta che, però, è destinata a finire in archivio. Secondo indiscrezioni, non sarebbero emersi elementi sufficienti a modificare la dicitura di morte naturale sul fascicolo, intestato a Mustafà, 41 anni, francese di origine magrebina.

"Potremmo iniziare l’inchiesta solo se arrivasse un esposto o una denuncia che segnalasse qualcosa di anomalo nella sua morte", si lascia scappare un inquirente. E fino a ieri, nessuno si era fatto vivo per denunciare irregolarità nel decesso del migrante nell’indagine coordinata dal sostituto procuratore Giulia Labia.

È impossibile, invece, conoscere la versione "istituzionale". Al telefono della casa circondariale, risponde una segretaria e riferisce che il direttore Salvatore Erminio è in ferie fino a domani ed è sostituito da un collega che, però, è fuori sede. Attualmente il carcere è comandato da un ispettore capo. Nessuno tranne il direttore del carcere, però, è autorizzato a parlare con la stampa su vicende interne al carcere.

Non resta che rifarsi alla segnalazione dei compagni di cella sulla morte del magrebino di 41 anni. Secondo il loro racconto, Mustafà era stato arrestato per il furto di una bicicletta e aveva subito una condanna ad un anno di carcere. "Era gravemente malato. Le sue gambe e i suoi piedi erano rossi e gonfi per cattiva circolazione" scrivono i detenuti in una lettera firmata. E poi la critica: "Non è stato curato abbastanza, dovevano portarlo all’ospedale", insistono i detenuti, "dove avrebbero potuto garantirgli le cure necessarie".

Una morte e i ricordi che spuntano: "Io lo conoscevo perché prima di stare male, veniva spesso all’aria: un posto all’aperto di 15 metri per 15, tutto in cemento grigio, con muri altissimi dove si può andare una volta alla mattina e una al pomeriggio". Mustafà si era conquistato in poco tempo la simpatia dei suoi compagni di cella: "Era un tipo tranquillo, allegro ed era divertente parlare con lui".

Non faceva certo pesare a chi gli stava vicino il suo stato di salute certo non brillante: "Il suo errore", riporta ancora la lettera dei detenuti, "se così si può chiamare, era che non diceva niente quando qualcosa gli mancava o quando stava male". Faceva fatica a farsi capire Mustafà. Non parlava l’italiano e forse non si faceva capire bene con i medici e infermieri che l’avevano in cura, così almeno ritengono i compagni di cella.

Gi ultimi giorni di vita di Mustafà sono stati contrassegnati da alcune crisi di vomito fino alla sera del 22 luglio scorso quando un assistente l’ha trovato privo di vita nella sua cella. È stato chiamato un medico che non ha potuto far altro che constatarne il decesso. "Hanno scattato una foto poi l’hanno portato via" racconta ancora il detenuto. Alla fine della lettera, c’è il saluto dei suoi compagni di cella: "Dio lo benedica e porti la sua anima in paradiso. Adieu Mustafà".

Roberto Loddo ha detto...

il piano svuota-carceri?
molto fumo e poco arrosto!

di Stefano Anastasia
(Associazione Antigone)



Aprile on-line, 9 settembre 2008



Braccialetti elettronici per mandare a casa sotto controllo i detenuti a meno di due anni dalla fine della pena; espulsione per gli stranieri nelle stesse condizioni. Si tratta di misure già previste nel nostro ordinamento e che non hanno finora dato alcun effetto significativo, meno che mai in termini di riduzione della popolazione detenuta

Molto fumo e poco arrosto. Questo in sintesi il cosiddetto "piano svuota-carceri" elaborato dal Ministero della giustizia. Molto fumo: braccialetti elettronici per mandare a casa sotto controllo i detenuti a meno di due anni dalla fine della pena; espulsione per gli stranieri nelle stesse condizioni. Poco arrosto: si tratta di misure già previste nel nostro ordinamento e che non hanno finora dato alcun effetto significativo, meno che mai in termini di riduzione della popolazione detenuta.

Le espulsioni dei detenuti sono soggette alle incertezze di qualsiasi altra espulsione di immigrati irregolari: come è difficile effettuare queste, non si fanno neanche quelle, non perché gli immigrati scappano, ma perché noi non abbiamo mezzi e soldi per espellerli e i loro paesi d’origine non vogliono prenderseli.

Quanto al braccialetto, poi, i detenuti se lo metterebbero anche al collo, pur di uscire, ma in anni di sperimentazione si è capito solo che costa tanto e aggiunge poco alle capacità di controllo delle forze di polizia.

Molto fumo e poco arrosto anche sui risultati attesi: se il Governo dovesse trovare i fondi necessari (quanti? dove?), se i giudici si decidessero ad applicare più di quanto non facciano norme già esistenti, se - infine - il Governo riuscisse a convincere i principali Paesi di provenienza degli stranieri detenuti a riprenderseli quando e come vogliamo noi, e se tutto questo accadesse domattina, uscirebbero dalle carceri italiane circa settemila persone, lasciando in galera cinquemila persone più del consentito, che rapidamente tornerebbero a moltiplicarsi, come dopo l’indulto.

A ben guardare, quel po’ d’arrosto di cui si sente l’odore sotto la coltre nebbiosa degli annunci del Governo è più nel riconoscimento del problema che nelle soluzioni proposte. Abbacinati dalla propria stessa propaganda, nei primi mesi di legislatura Governo e maggioranza hanno minacciato fuoco e fiamme contro qualsiasi forma di devianza e di irregolarità, usando qualsiasi strumento per rassicurare un’opinione pubblica terrorizzata dalla loro stessa propaganda.

Oggi, finalmente, il Ministro della giustizia deve aver fatto un giro per le carceri e avrà scoperto dove vanno a finire le parole in libertà spese sulla sicurezza e la certezza della pena.

Il problema dell’indulto non è stato quello che abbia fatto uscire troppe persone di galera (ne sono uscite il giusto, quante erano necessarie per riportare la legalità nelle carceri), ma che a esso non abbia fatto seguito una politica conseguente, fatta di riduzione del ricorso alla giustizia penale di fronte a gravi problemi sociali e di ordinario ricorso alle alternative al carcere.

Per questo (e non per la recidiva degli indultati, che rimane ancora oggi ampiamente al di sotto delle medie abituali), le carceri sono tornate ad affollarsi, sotto la spinta di una cattiva propaganda politica che spinge a incarcerare chiunque appaia fuori dalla norma prima ancora che pericoloso.

Dunque, il piano svuota-carceri del Ministro della giustizia merita di essere preso in considerazione per quel tanto di aperta contraddizione vi è in esso, rispetto alle politiche e alla propaganda del Governo in carica. Non a caso il Ministro dell’Interno, che finora - con il suo partito - ha dato la linea in materia di sicurezza, non ne vuole sentire parlare: il piano Alfano non solo è in contraddizione con le scelte di politica criminale fin qui compiute, ma ne è anche una aperta denuncia di insostenibilità.

Maroni se la cava dicendo che bisogna costruire più carceri, ma anche lui lo sa che il suo slogan è l’ultimo vessillo degli imprenditori politici della paura. Prima o poi bisognerà far qualcosa, e qualcosa di radicalmente diverso, se non si vuole far precipitare l’Italia nell’abisso delle pene e dei trattamenti inumani.

Roberto Loddo ha detto...

Cgil: il Governo improvvisa, carceri sono un inferno



Comunicato stampa, 9 settembre 2008



Abbiamo da tempo tentato invano di mettere in guardia il Ministro della Giustizia e l’opinione pubblica sui rischi di deriva che stava prendendo il sistema penitenziario e dei pericolosi effetti che questa avrebbe potuto generare, se non immediatamente contrastata, nel perseguimento del mandato costituzionale affidato all’istituzione e delle conseguenti gravi ripercussioni sul mondo del lavoro in carcere". Afferma Francesco Quinti, Responsabile Nazionale Fp Cgil Comparto Sicurezza.

"Avevamo avvertito che il complesso delle misure inserite nel pacchetto sicurezza avrebbero presto contribuito a rendere invivibili gli istituti penitenziari, sarebbero risultate inadeguate a garantire condizioni minime di sicurezza ed avrebbero avuto pesanti ricadute anche nel lavoro quotidiano dei poliziotti penitenziari - privi degli strumenti indispensabili e costretti ad operare tra mille disagi.

E così, mentre in questi ultimi mesi il tema si è inutilmente consumato sull’indulto del 2006 (occasione, comunque, persa per l’avvio delle necessarie riforme strutturali del sistema), sulla possibilità di espulsione di 3500 detenuti stranieri detenuti e sui braccialetti elettronici (peraltro già sperimentati con alti costi e pessimi risultati negli anni passati), in queste ultime settimane le presenze negli istituti di pena hanno ormai largamente superato il livello di guardia, contribuendo ad alimentare fortissime tensioni, che all’interno delle carceri troppo spesso stanno sfociando in tumulti ed in gravissimi atti di violenza portati contro gli appartenenti alla Polizia penitenziaria, già demotivata e resa irresponsabilmente insufficiente negli organici, anche con l’ultima manovra economica triennale, che ha tagliato circa tre miliardi alla sicurezza e circa 200 milioni di euro al solo Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria".

"Occorre prevedere con urgenza un piano straordinario di interventi per il sistema penitenziario, - prosegue Quinti - che avverte come pressante il bisogno di eliminare alcune effetti perversi delle leggi Bossi-Fini, ex Cirielli e Fini-Giovanardi e una profonda riforma del codice penale; mentre sono indispensabili investimenti nella prevenzione e nella riabilitazione, anche per implementare il ricorso a misure alternative alla detenzione.

Crediamo, inoltre, sia indispensabile dotare il sistema delle risorse economiche e umane fondamentali (sia delle diverse professionalità penitenziarie che della Polizia penitenziaria) per garantire la piena attuazione del mandato affidato e la sicurezza delle strutture, ma anche per rendere le condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari migliori di quelle attuali, per garantire luoghi di lavoro più vivibili, assicurare il rispetto della dignità professionale e dei diritti del lavoro, troppo spesso tornati ad essere messi pesantemente in discussione".

"Pensiamo che il nuovo Capo del Dap - sottolinea Quinti - debba quanto prima avviare una incisiva azione di recupero agli istituti penitenziari del personale di Polizia penitenziaria tuttora impiegato in compiti impropri e/o distaccato presso servizi e uffici centrali con compiti amministrativi che possono essere evasi dal personale preposto".

"I poliziotti che sono rimasti a lavorare nei servizi e istituti penitenziari - sempre meno ormai, anche per effetto del blocco al turnover imposto dalla manovra economica - sono stanchi di lavorare in condizioni di assoluto disagio operativo, con mezzi e strumenti inadeguati, senza alcuna prospettiva di miglioramento e di rischiare la propria incolumità in ogni turno di servizio negli istituti di pena o nei servizi su strada - conclude il Responsabile Nazionale Fp Cgil Comparto Sicurezza - sono esasperati per essere costretti ad operare senza sosta e senza riposo, con turni massacranti che vanno ben oltre quelli previsti dai contratti collettivi di lavoro, ore e ore di lavoro straordinario per giunta pagato meno di quello ordinario".

Roberto Loddo ha detto...

Lo Stato non può essere vendicativo e torturatore.

Don Ettore Cannavera, riflessioni da "La Collina"

L'Associazione 5 Novembre, ha intervistato Don Ettore Cannavera, fondatore della comunità di accoglienza "La Collina", rivolta a giovani-adulti, di età compresa tra i 18 ed i 25 anni, che vengono affidati dalla Magistratura di Sorveglianza come misura alternativa alla detenzione. Un interessante intervista sui temi della Giustizia, del Carcere, del precariato giovanile e della cultura della Solidarietà e dell'accoglienza.