mercoledì 10 settembre 2008

Il braccialetto non è funzionale alla rieducazione


di Monica Cali (Magistrato di Sorveglianza a Novara)

www.ilsussidiario.net, 10 settembre 2008

In questi ultimi tempi si parla molto dell’introduzione del braccialetto elettronico come forma di controllo più efficace sui detenuti agli arresti domiciliari, e della necessità di adottare forme di espulsione nei confronti di cittadini extracomunitari perché espiino la pena nel loro paese di origine. In realtà forme elettroniche di controllo sono già previste dalla legge e non sono state mai più adottate. Alcuni tentativi sono stati abbandonati. Laddove esercito la mia giurisdizione (province di Novara, Aosta e Verbania), ad esempio, il braccialetto elettronico non è mai stato in uso. I detenuti domiciliari sono controllati nella corretta esecuzione del beneficio, fisicamente dalle forze dell’ordine, durante i servizi di pattuglia o i controlli in abitazione.


Sinceramente non sono in grado di formulare un giudizio prognostico sulla positività o meno di questo strumento, non avendone avuta un’esperienza diretta. Azzardo una riflessione come magistrato: la detenzione domiciliare è una pena alternativa al carcere che viene concessa a un soggetto in determinate condizioni e la cui pericolosità sociale residua si ritiene possa essere contenuta con questa misura alternativa particolarmente restrittiva. È una pena e in quanto tale si propone comunque obiettivi di rieducazione (lo prevede l’articolo 27, comma 3 della Costituzione), come tutte le misure alternative. Mi sembra che ciò diventi difficilmente perseguibile se il detenuto domiciliare viene completamente isolato da un rapporto umano e personale, che invece favorisce per definizione gli obiettivi di rieducazione.


Nel nostro ordinamento chi deve scontare una pena viene innanzitutto consegnato ad alcune persone prima che ad alcuni luoghi. In carcere il detenuto è affidato a magistrati, educatori, polizia penitenziaria. Se esce in misura alternativa deve rapportarsi ancora con il magistrato, con l’assistente sociale, con le Forze dell’Ordine. Vedo il rischio di una misura che non sollecita un cambiamento, che non fa leva sul fattore umano, fosse anche solo il rapporto con l’agente di pubblica sicurezza che diffida ad una corretta osservanza delle prescrizioni. Quanto agli stranieri extracomunitari l’emergenza c’è e non si discute. Esistono già le espulsioni degli stranieri che devono scontare una pena al di sotto dei due anni. È un provvedimento a carico del magistrato di sorveglianza e che trova difficoltà di perfezionamento in fase esecutiva. Moltissimi di questi cittadini sono privi di documenti di identificazione e pertanto non possono essere fisicamente accompagnati alla frontiera dalle forze dell’ordine.


Ci sono poi i provvedimenti di estradizione, che però richiedono tempi molto lunghi e per i quali anche la procedura risulta piuttosto farraginosa. Insomma strumenti ce ne sono, ma giustamente il nostro ordinamento vuole che siano rispettate certe garanzie che un iter processuale deve per forza salvaguardare. La mia esperienza mi suggerisce che, osservate certe condizioni come un’offerta di un lavoro serio o di una rete di rapporti significativi, anche cittadini extracomunitari condannati si sono reinseriti nel nostro tessuto sociale. Certo non è la stragrande maggioranza dei casi, ma sono casi che andrebbero presi ad esempio, magari per far fronte al problema sicurezza anche con altri strumenti non strettamente giuridici.


8 commenti:

Roberto Loddo ha detto...

da RADIOCARCERE.IT

BRACCIALETTO ELETTRONICO: IN BELGIO PER MESI NON HA FUNZIONATO

Bruxelles, 8 set. Il braccialetto elettronico serve a controllare a distanza se il detenuto sta dove deve stare. Se però, a distanza, non c'è nessuno, ecco che il controllo diventa una sorta di pena "a ore" o di indulto "temporaneo". E' quanto succedeva in Belgio questo inverno, quando circa 550 detenuti erano controllati con il braccialetto elettronico, ma solo dalle 6 alle 22. Poi gli uffici chiudevano (in un paese dove la tutela dei ritmi e dei carichi di lavoro è sacra) e i detenuti potevano passare la notte come e dove meglio preferivano.
Il ministero della Giustizia ha naturalmente affrontato il problema, che è poi stato risolto, ma per qualche mese le polemiche, evidentemente, sono state cocenti. In Belgio ci sono circa 9.600 detenuti ma solo 8.358 celle.
In Italia le cifre sono ben diverse, ma il problema del sovraffollamento delle carceri comincia a diventare serio anche per il governo belga. La costruzione di nuovi istituti di pena è prevista, ma ci vorranno ancora quattro anni prima che sia completata e per questo periodo il ministero della Giustizia sta cercando soluzioni temporanee. Una prima idea era stata quella di affittare qualche cella nelle carceri olandesi vicine al confine, come a Maastricht e Breda, ma le autorità dell'Aia non hanno ritenuto questa una proposta interessante. Hanno fatto però una controproposta: vi affittiamo un paio delle nostre navi-prigione.
Il Governo belga a sua volta non ha trovato l'ipotesi interessante, giudicandola costosa e anche poco sicura contro le evasioni. Allora dove trovare queste 1.500 celle provvisorie? Nella prevenzione, ha pensato il Governo, e nelle pene alternative al carcere. Ad esempio, nella città fiamminga di Gent i tossicodipendenti possono evitare il carcere se accettano aiuto per disintossicarsi. Si pensa anche di estendere l'uso del braccialetto elettronico, questa volta prevedendo che gli uffici di controllo siano aperti anche la notte

Roberto Loddo ha detto...

fuorilegge 84% celle, 400mln per metterle a norma



Ansa, 10 settembre 2008



Doccia, acqua calda, servizi igienici in ogni cella: il regolamento carcerario del 2000 prevede questo sulla carta. Ma in regola sono solo il 16% dei posti. Tant’è che uno studio del Dap dello scorso maggio stimava in 400 milioni di euro la somma per mettere a norma le carceri. Una chimera.

Di fronte ai tagli dell’ultima finanziaria (circa il 20-25% nel capitolo manutenzione straordinaria e ristrutturazione del Dap) la priorità va data al recupero di spazi nuovi in vista di una situazione che si prevede esplosiva: "i detenuti potrebbero raggiungere in meno di due anni il tetto delle oltre 70mila unità", è scritto nel rapporto.

A oggi i detenuti sono 55.960 contro 42.974 posti regolamentari. Ma il limite tollerabile è di 63.406, e al ministero considerano un margine di manovra di circa un anno prima di tornare alla situazione pre-indulto. Puntare su accordi bilaterali per trasferire 3.300 detenuti stranieri nelle carceri dei loro paesi e usare il braccialetto elettronico (se la tecnologia sarà sicura) su 4.100 detenuti italiani da mandare ai domiciliari, prevedendo pene più severe in caso di evasione:queste le due principali linee di intervento del piano ipotizzato dal ministro Alfano.

Nel frattempo, resta in piedi il piano avviato nel 2007 per ristrutturare i vecchi padiglioni delle carceri per recuperare 11mila posti nei prossimi tre anni. Quel capitolo di spesa (80 milioni di euro) ha però subito i tagli dell’ultima finanziaria. Soldi che comunque Alfano conterebbe di recuperare. La costruzione di nuove carceri, invece, spetta al ministero delle Infrastrutture.

Roberto Loddo ha detto...

Osapp; il piano di edilizia carceraria è solo un bluff



Agi, 10 settembre 2008



"Con queste previsioni di spesa, e dei tempi per gli interventi soprattutto, esortiamo il ministro della Giustizia a prendersi tutto il tempo che vuole per elaborare un serio piano di edilizia carceraria". Rilancia così il segretario generale dell’Organizzazione Sindacale Autonoma di Polizia Penitenziaria (Osapp), Leo Beneduci, alla luce di un’inchiesta pubblicata oggi da un quotidiano che ha "denunciato il bluff - rileva Beneduci - delle opere di ristrutturazione ed ampliamento degli istituti di pena".

Se "su 210 istituti di pena, 55 non hanno fornito risposte - osserva l’Osapp in merito all’inchiesta - e se, peggio ancora, i tecnici incaricati di redigere quei piani e di stabilire le partite di spesa, tecnici pagati con i nostri soldi, hanno l’audacia di fissare scadenze al 2099, o al 4670, solo per nuovi 1.000 posti letto. A questo punto i numeri diventano crudeli, rispetto una situazione penitenziaria che oramai conosciamo tutti".

Per questo, di fronte a un dibattito pubblico "che assume ogni giorno i toni del grottesco - continua Beneduci - dove tutti parlano di braccialetto elettronico quasi fossero esperti di tecnologie, o ancor peggio di politiche del reinserimento sociale, ci chiediamo come dovrebbe reagire un ministro della Pubblica Amministrazione, sebbene sul piano dell’Amministrazione Penitenziaria si perpetui l’idea di un servizio pubblico quanto mai ridicolo".

Dunque, afferma ancora il sindacalista, "o immaginiamo che una vera politica penitenziaria non sia mai esistita nell’agenda di questo e del precedente Governo, a parte l’indulto ovviamente", oppure "ci rassegneremo presto all’unica via di uscita pensata per la soluzione dei problemi carcerari, che di questo passo, e dopo i tagli dell’ultima manovra di fine giugno, diventeranno sempre più di impatto sociale". Una cosa, conclude Beneduci, "è certa: continueremo a discutere di sovraffollamento, senza vedere la polvere che qualcuno intanto sta nascondendo sotto il tappeto. Ma per spostare i detenuti su Marte c’è sempre tempo!".

Roberto Loddo ha detto...

Sidipe; senza premialità carceri cadrebbero nel caos



Comunicato stampa, 10 settembre 2008



Seppure apprezziamo lo sforzo del Ministro Alfano di dare, in tempi rapidi, adeguate risposte all’emergenza carceraria, da noi più volte denunciata prima delle recenti consultazioni elettorali, allorquando abbiamo incontrato esponenti delle diverse aree politiche, non possiamo esimerci dall’esprimere, con spirito di lealtà, delle perplessità sulle recenti ipotesi di soluzioni che sono state pubblicizzate dagli organi d’informazione.

L’esperienza sul campo, infatti, ci dice che esse rischiano di rappresentare, soltanto, lo spostamento in avanti del timer di un ordigno destinato a deflagrare.

Non potranno essere poche migliaia di virtuali destinatari di un provvedimento, il quale finora non è stato reso noto ai direttori penitenziari d’istituto e degli uffici dell’esecuzione penale esterna, nonché agli altri operatori che, effettivamente lavorino a contatto reale con i detenuti, a risolvere, strutturalmente, la "madre" di tutti i problemi: l’assenza di spazi adeguati e dignitosi dove i ristretti siano tenuti ad espiare, in modo utile per la società, le condanne o essere sottoposti alle misure di custodia cautelare detentiva.

Ad oggi non sappiamo se le misure che si vorrebbero adottare rispondano al principio di dissuadere le persone detenute dal commettere nuovi crimini, soddisfacendo, contestualmente, il desiderio di giustizia della collettività e delle vittime dei reati, nonché la pretesa di giustizia dello Stato.

Non sappiamo se vi sia un qualche riferimento alle finalità del recupero delle persone detenute, attraverso il reinserimento nel mondo del lavoro, in famiglia, nella comunità, nel suo territorio.

Siamo convinti che non si voglia un arretramento culturale, ma non abbiamo, però, notizia di come sia stato salvato uno dei pilastri dell’ordinamento penitenziario italiano, quello della "premialità" verso quanti, detenuti, accettino le regole del vivere civile.

La pratica di "forzare" l’editto penale e, nei fatti, scarcerare anzitempo il detenuto, seppure con lo strumento del "braccialetto", sulla base di un automatismo (il dover lui ancora scontare gli ultimi due anni di pena), a prescindere dall’osservazione della sua personalità, rischia di ridurre la funzione penitenziaria all’esercizio della mera conta dei numeri "detenuti", piuttosto che all’esame delle personalità, rinunciando a costruire ipotesi di sicurezza duratura.

Inoltre, in tal modo, si demotivano ulteriormente gli operatori penitenziari, i quali vedono il carcere sempre più degradato a mero contenitore di una folta umanità prigioniera, invece che di luogo istituzionale capace di offrire l’ultima, se non unica, opportunità di cambiamento, per chi voglia mettersi ancora in gioco, attraverso la formazione professionale, il lavoro ed una condotta "riparativa" verso la società. Il carcere rischia di caratterizzarsi, unicamente, come luogo orrido di passaggio, capace di alimentare esclusivamente criminalità e dispensare "master" delinquenziali nel momento in cui smarrisce il suo significato pedagogico.

Ma queste possono apparire osservazioni "romantiche" di "inguaribili cultori della scienza penitenziaria", fuori luogo in un momento in cui prevalgano le spinte emergenziali, allora fingiamo di superarle e soffermiamoci sulle perplessità più evidenti, seppure alla sola luce delle indiscrezioni della stampa: per ciò che attiene i possibili detenuti destinatari dei "braccialetti segnalatori", sarà per essi obbligatorio accettare di andare in detenzione domiciliare prima della scadenza naturale della pena, anche se non abbiano i mezzi per sopravvivere, non siano in grado di avere un’abitazione, non abbiano famiglie o queste ultime non vogliano avere rapporti con essi, non siano accolti in comunità, ancor di più ove debbano seguire cure mediche a motivo di malattie gravi ed infettive, etc. etc.? come sarà concretamente organizzato il servizio di vigilanza a distanza, vi saranno centrali operative regionali, provinciali, locali, e con quale personale (non certo sottraendolo ancora una volta alle carceri), e quali saranno i tempi della formazione per gli addetti, chi assicurerà la manutenzione ordinaria e straordinaria, senza soluzione di sorta, delle sofisticate apparecchiature, come si procederà in caso di improvvisi guasti, che durata avranno i contratti da stipularsi con le imprese del settore, come ci si raccorderà con le altre forze dell’ordine, e siamo sicuri che non accadrà quello che oggi, e già da anni, si verifica negli istituti penitenziari, dove non vengono garantite le manutenzioni ordinarie degli impianti elettrici, dei sistemi di videocontrollo, di quelli antincendio, dove il parco mezzi per le traduzioni è obsoleto, e dove le caserme, destinate al personale di polizia penitenziaria, non sono state ancora adeguate a decenti standard di ospitalità?

Andiamo adesso alle "espulsioni" (misura che, in verità, già esiste): quanto altro tempo ci vorrà per stringere accordi internazionali efficaci con tutti gli stati che esprimano immigrati clandestini (la cui gran parte si trova nel Continente Africano, oltre che nel Centro e Sud America, nel Medio ed Estremo Oriente, e nell’Europa Sud-Orientale, etc.)?

Oggi le procedure sono lente, e la resistenza dei destinatari dei provvedimenti è rilevante, temendo essi, una volta rientrati forzatamente nei Paesi d’origine, il rischio di "sanzioni accessorie", ben maggiori della pena da espiare in Italia.

Ciò, ovviamente, non esclude una qualche modesta efficacia del provvedimento sul piano deflattivo, ma il numero dei detenuti, soprattutto se si confermerà una linea sicuritaria di maggior rigore nel contrasto alle criminalità piccole od organizzate, soprattutto in tema di sicurezza urbana, di lotta alla droga, alla prostituzione, etc., sarà comunque compensato da nuovi arresti.

E le carceri, le nuove carceri, di cui abbiamo un bisogno straordinario, si faranno, ed in che modo ciò avverrà? Oggi quanti istituti sono "in regola", quanti istituti sono rispettosi del D.lgs. 626/94 e norme successive, e fino a quando sarà consentito ai detenuti di poter detenere un fornello personale, autoalimentato a gas, e di cucinare all’interno dei locali, adibiti a gabinetto, col rischio che vengano utilizzati per sniffare butano o come strumenti di offesa verso compagni e operatori penitenziari ?

A tal proposito, chiediamo al Governo: "Non è forse, finalmente, il caso di investire su un ristrettissimo gruppo di operatori penitenziari che conosca dal di dentro le carceri, e che possa valersi della consulenza di organi tecnici "pubblici" (chiedendo la collaborazione delle facoltà di architettura, di ingegneri, di esperti in sistemi di sicurezza), il quale avrà il compito di supportare un commissario straordinario per le carceri, il quale dovrà affrontare, esclusivamente, il tema delle nuove strutture penitenziarie, anche rivolgendosi al mondo delle imprese e dei capitali, proponendo la finanza di progetto, al fine di trovare sostegno e partner per realizzare, su aree demaniali, semmai pure riqualificando le caserme dismesse, i vecchie aeroporti militari inutilizzati, etc., tutti gli istituti carcerari di cui necessitiamo in cambio del dovuto?

Ma se davvero si pensa a nuovi istituti penitenziari, diamo per scontato che dovrà pure considerarsi l’altra prioritaria condizione per tentare di normalizzare il sistema: la migliore utilizzazione del personale esistente e l’assunzione di ulteriori operatori penitenziari, in primo luogo di Educatori, e poi di Assistenti Sociali, di Psicologi, di Poliziotti Penitenziari, di Dirigenti Penitenziari. L’esperienza ci insegna a diffidare dalle soluzioni scritte "a tavolino" ed elaborate lontane "dalla prima linea". Forse sarebbe il caso di fermarsi un attimo a riflettere; nel frattempo, continuiamo ad assicurare al Ministro la nostra leale collaborazione di dirigenti penitenziari e di servitori dello Stato, auspicando, nel contempo, che prevalgano le ragioni della concretezza la quale, in un settore delicato come il nostro, non potrà mai essere disgiunta dalla ragionevolezza e non dovrà abdicare ai principi costituzionali della pena.



Il Segretario Nazionale

Dr. Enrico Sbriglia

Roberto Loddo ha detto...

nelle carceri manca più della metà degli educatori

di Maurizio Gallo



Il Tempo, 10 settembre 2008



Non è solo una questione di spazio, di posti letto, di edilizia penitenziaria. Nelle carceri italiane manca di tutto. Tanto da mettere in discussione la funzione "rieducativa" stabilita dalla Carta Costituzionale che, all’articolo 27 (comma 2) recita testualmente: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".

Così non è. Il sovraffollamento non aiuta certo (su 43mila posti vi sono 55.800 detenuti) e accade quindi che, se le prigioni scoppiano, il tanto vituperato indulto, originariamente ispirato a ragioni di opportunità politica e pacificazione sociale, diventa uno strumento indispensabile di sfoltimento della popolazione carceraria.

La cronica carenza di educatori, invece, non rende possibile applicare il mandato dei padri costituenti. In 45 istituti analizzati da un gruppo di deputati radicali, a fronte di una pianta organica che prevede 373 educatori, ne sono stati effettivamente assegnati 168, cioè solo il 45% di quanti ne servirebbero. Per questo Rita Bernardini e altri esponenti del partito di Pannella eletti nel Pd hanno presentato un’interrogazione al ministero della Giustizia Angelino Alfano.

In previsione delle visite che i radicali hanno organizzato a Ferragosto nelle patrie galere, è stata inviata ai direttori dei suddetti istituti una richiesta di informazioni sullo "stato dell’arte" dei penitenziari. Il responso è stato a dir poco non edificante. La situazione peggiore è stata registrata a Poggioreale, Napoli. Qui, a fronte di una pianta organica che prevede 28 educatori, ne sono stati assegnati appena 6. Ma non va molto meglio neppure nella casa circondariale di Torino (13 educatori su 20), nella casa di reclusione "San Michele" di Alessandria (4 su 11 previsti), nell’istituto per minorenni di Treviso (3 su 11), nel carcere di Padova (6 su 13) e nella casa circondariale di Lecce (7 su 14), tanto per citare i casi più eclatanti.

Eppure nel lontano 2003 venne bandito un concorso pubblico per la copertura di 397 posti (nell’area C, posizione economica C1) di educatore. Il bando fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 16 aprile 2004 e, al termine di un lunghissimo iter procedurale, il concorso si è concluso il 13 giugno di quest’anno. I vuoti, però, non sono stati ancora riempiti. Per questo i deputati democratici, premesso che "ulteriori ritardi nella chiamata in servizio dei vincitori del concorso lederebbero le legittime aspettative di quanti attendono delle risposte per poter programmare in maniera più compiuta il proprio futuro e striderebbero con l’attuazione della Costituzione", chiedono ad Alfano "se sia a conoscenza di quanto descritto" e "se intenda rendere pubblico il numero degli educatori previsti in pianta organica e di quelli assegnati nei singoli istituti di cui, al momento, non si dispone dei dati". Inoltre vogliono sapere "in che modo" il ministro e il ministero intendano "intervenire per attuare il principio costituzionale del recupero sociale delle persone detenute e in quali tempi intenda chiamare in servizio i vincitori e gli idonei del concorso sopra citato per coprire l’organico".

Anche perché, sottolineano i parlamentari radical-democratici nell’interrogazione, "è dimostrato che negli istituti ove si attuino programmi di reinserimento per i detenuti il fenomeno della recidiva si riduce drasticamente, elevando così concretamente la sicurezza dei cittadini".

Roberto Loddo ha detto...

Arci; no al piano del Governo... è senza via d’uscita



Agi, 10 settembre 2008



È "senza via d’uscita" la strada intrapresa dal Governo sui temi della giustizia e delle carceri. È quanto rilevano Paolo Beni, presidente nazionale Arci e Franco Uda, responsabile Arci carcere e giustizia, secondo i quali "l’idea del ministro di attuare un cosiddetto ‘piano svuota carceri’ la dice lunga sulla difficoltà di governare un aumento della popolazione detenuta che porterà gli istituti di pena ad una condizione ancora peggiore di quella precedente all’indulto, con un rischio reale di deflagrazione sociale al proprio interno".

Le misure indicate da Alfano, rilevano gli esponenti dell’Arci, come quella del braccialetto o del rimpatrio dei detenuti stranieri nei propri Paesi d’origine, sono "costosissime, inefficaci e sbagliate e stanno provocando anche all’interno della maggioranza vistose spaccature". Secondo Beni e Uda, dunque, "la destra oggi deve prendere atto che seminando vento si raccoglie spesso tempesta. La deriva securitaria e repressiva con cui le forze politiche di maggioranza hanno infiammato gli istinti più barbari della pancia del Paese, seminando demagogiche paure e raccogliendo facile consenso, sembra arrivata al capolinea".

In questi ultimi anni, ricordano, "si è continuato a produrre paure e insicurezza, si è sostituita la risposta sociale con quella penale, si è alimentato il conflitto orizzontale col prossimo. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un Paese carico di odio e di rancori, che guarda al proprio futuro con paura, che baratta le proprie libertà civili con la presunta sicurezza derivante da un controllo asfissiante del territorio, che dimentica la vera emergenza della criminalità organizzata che invece continua a prosperare".

L’approvazione parlamentare dell’indulto nella passata legislatura, "votato anche dalle destre e poi strumentalmente scaricato sul Governo Prodi - sottolineano I responsabili dell’Arci - era di fatto l’unico punto di partenza dal quale realisticamente poter ristabilire un processo virtuoso di contenimento della popolazione detenuta, ma è stato un processo incompleto e quindi efficace solo per poco tempo". Ora, quindi, concludono Beni e Uda, "è necessario avviare un corso lungo e complesso che riduca il tasso di crescita attuale dei detenuti attraverso l’abrogazione di alcune leggi repressive come la Bossi-Fini e la ex-Cirielli, che si approvi un nuovo Codice penale sulla base della proposta della commissione Pisapia, depenalizzando molti reati e definendo nuovi e più ampi percorsi di esecuzione penale esterna, che si abbandoni l’impianto del disegno di legge Berselli e invece si estendano le condizioni di applicabilità della legge Gozzini, che si rafforzino le politiche di contrasto all’esclusione sociale, le uniche in grado di garantire una vera sicurezza e la valorizzazione delle reti solidaristiche del Paese.

Roberto Loddo ha detto...

Caritas; carceri affollate da legge sull'immigrazione



Redattore Sociale - Dire, 10 settembre 2008



Oliviero Forti, responsabile del settore Immigrazione, esprime dubbi sul piano del ministro della Giustizia Alfano: "C’è un approccio emergenziale e l’espulsione non può essere la panacea di tutti mali".

Aprire canali di ingresso regolare in Italia più ampi e garantire meccanismi più efficaci per ottenere e mantenere la situazione di regolarità. Così Oliviero Forti, responsabile del settore Immigrazione della Caritas Italiana, riassume la ricetta dell’organismo pastorale della Cei a proposito del sovraffollamento delle carceri italiane e soprattutto della forte presenza di immigrati.

"Se si considera che gli stranieri rappresentano il 37% dell’intera popolazione carceraria e il 6% della popolazione residente in Italia, si comprende che esiste un problema reale - spiega Forti. - Ma riguarda soprattutto gli immigrati irregolari, perché chi ha un permesso di soggiorno sta molto attento a non perderlo". E a questo va aggiunto che molti degli stranieri in carcere sono colpevoli di aver violato la legge Bossi Fini, e quindi di non essere in regola con il permesso di soggiorno - . Basti pensare agli immigrati irregolari che, una volta usciti dai Centri di permanenza temporanea, vengono di nuovo intercettati sul territorio italiano.

Ma anche il piano proposto in questi giorni dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, di rispedire nei Paesi di origine gli oltre 3 mila detenuti stranieri che devono ancora scontare una pena non superiore a due anni, per il responsabile immigrazione della Caritas presenta non pochi problemi.

"L’espulsione nei fatti è molto complicata: - afferma - non solo perché i loro Paesi di origine non sono d’accordo, ma anche perché è difficile attuarla quando manca la volontarietà delle persone interessate". E allora la misura del governo non può certo essere "una panacea di tutti i mali", il provvedimento "in grado di risolvere tute le situazioni".

"C’è un approccio emergenziale" prosegue Oliviero Forti, che bolla la misura annunciata come uno "strumento di corto respiro". Dunque, conclude Forti, "comprendiamo che la difficoltà esiste, ma la nostra idea, che abbiamo più volte espresso, è quella di pensare a provvedimenti di lungo periodo:come a una normativa che apra più seriamente canali di ingresso regolare nel nostro Paese".

Roberto Loddo ha detto...

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Don Ettore Cannavera, riflessioni da "La Collina"

L'Associazione 5 Novembre, ha intervistato Don Ettore Cannavera, fondatore della comunità di accoglienza "La Collina", rivolta a giovani-adulti, di età compresa tra i 18 ed i 25 anni, che vengono affidati dalla Magistratura di Sorveglianza come misura alternativa alla detenzione. Un interessante intervista sui temi della Giustizia, del Carcere, del precariato giovanile e della cultura della Solidarietà e dell'accoglienza.