giovedì 11 settembre 2008

Cagliari: a Buoncammino 430 detenuti, il carcere è al collasso


Redattore Sociale - Dire, 11 settembre 2008


Progettato per accogliere 320 detenuti, le presenze superano quota 430. Turni massacranti per gli agenti penitenziari. Il sindacato Sappe chiede per tutta la Sardegna almeno 350 nuovi poliziotti.

Superata la soglia massima tollerabile: il carcere di Buoncammino è al collasso. Progettato per ospitare massimo 320 detenuti, le celle del penitenziario di Cagliari possono arrivare ad accoglierne 410. Ma "da sette mesi siamo sempre sopra quota 430 - spiega il direttore Gianfranco Pala - quando è possibile cerchiamo di trasferire qualche gruppetto nelle colonie penali di Mamone, Isili e Is Arenas, ma ci sono comunque cinque o sei nuovi arrivi praticamente tutti i giorni".


E mentre in tutta Italia riemerge il problema delle carceri sovraffollate, a Cagliari c’è chi fa i conti con la carenza degli spazi ormai da mesi, dividendo in sette celle da quattro, con una matematica che diventa sempre più flessibile per consentire di trovare un posto ai cinque o sei arrivi giornalieri.

"Siamo arrivati ai livelli del periodo pre-indulto, anzi in alcuni casi siamo già oltre - denuncia Angelo Tedde, segretario regionale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe) - con troppi detenuti e pochi agenti si è costretti a ridurre i posti di servizio, venendo meno in alcuni casi anche la sicurezza dell’istituto.


A Buoncammino non c’è solo una carenza di spazi, ma anche di organico: servirebbero dai settanta agli ottanta agenti in più. Lo scorso gennaio, infatti, ho consegnato all’ex capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) una dettagliata relazione sulla situazione degli istituti sardi, dove l’organico accertato necessario è di almeno altre 350 unità". Carcere di massima sicurezza al centro della città, tanto è vero che non è mai evaso nessuno, Buoncammino è considerato però un penitenziario di transito: solo sei gli ergastolani, mentre altri trecento hanno pene che oscillano dall’anno ai 30 anni. Alta è anche la percentuale delle persone che ci restano solo per qualche giorno, magari arrestati in flagranza di reato e tenuti in custodia cautelare sino all’interrogatorio col magistrato.


"Dei nuovi arrivi giornalieri - chiarisce Pala - più della metà non resta che per pochi giorni". Esclusa la via di un nuovo indulto, si torna a parlare di bracciale elettronico: un segnalatore per accertare costantemente la posizione del detenuto rimesso in libertà. "Si parla da anni di questi braccialetti che non sono certo una novità - prosegue Tedde - per quanto ci riguarda siamo favorevoli, naturalmente facendo una giusta selezione sui soggetti, per evitare che escano di prigione persone pericolose". Non boccia l’ipotesi nemmeno il direttore Gianfranco Pala: "Se hanno fatto degli esperimenti e offre buone garanzie di sicurezza - sintetizza - potrebbe essere una soluzione per sfoltire il numero dei detenuti". Contrari, anzi contrarissimi, i volontari dell’associazione "5 novembre per i diritti civili".


"È una forma di violenza persino maggiore rispetto ad altre soluzioni - chiarisce il portavoce Roberto Loddo - già sperimentato, non solo è fallimentare, ma anche incompatibile con i diritti civili del detenuto. L’unica soluzione possibile è la salvaguardia della legge Gozzini, con misure alternative al carcere. Tanti sono in carcere per immigrazione o tossicodipendenze: per quanto ci riguarda proponiamo un’amnistia generalizzata che estingua il reato". Ormai al collasso, nel penitenziario di Cagliari c’è anche un dramma sanitario. "Ci sono molti detenuti con una doppia diagnosi - denuncia Loddo - sia con tossicodipendenza che con patologie psichiche. Vanno aiutati".


(nell'immagine) Hans Hofmann "The Gate"

6 commenti:

Anonimo ha detto...

detenuto paraplegico impiccato, è dubbio sul suicidio

di Ivano Tolettini



Giornale di Vicenza, 12 settembre 2008



Il giostraio vicentino Jonny Montenegrini è stato trovato morto ieri nel carcere di Opera a Milano. I familiari e l’avvocato Benvegnù sollevano perplessità sul decesso e chiedono sia fatta chiarezza. Per oggi è stata disposta l’autopsia.

Per i familiari e l’avvocato la sua morte è un giallo. Non credono all’ipotesi del suo suicidio. Lo hanno trovato impiccato in una cella del carcere di Opera a Milano. Il giostraio bassanese Jonny Montenegrini, 32 anni, era stato arrestato il 20 giugno dai carabinieri di Vicenza per una rapina avvenuta l’11 maggio a Camisano. Era paraplegico e perciò non aveva l’uso delle gambe. Era ritenuto l’autista del commando che aveva alleggerito la biglietteria degli autoscontri di Renzo Rizzi.

"I familiari sono sconvolti e non credono alla tesi del suicidio - spiega l’avvocato Riccardo Benvegnù di Padova, difensore della vittima -. Del resto, io stesso nutro delle perplessità. Ci sono circostanze che non mi quadrano. L’avevo visto di recente ed era fiducioso sull’esito dell’inchiesta della procura di Vicenza perché mi ripeteva di non essere stato lui a guidare l’auto della fuga. Per capirci, non lasciava certo intendere che fosse in una critica situazione psicologica".

Quest’oggi la procura di Milano, che ha aperto un’inchiesta per capire cos’è realmente accaduto, incaricherà il medico legale di eseguire l’autopsia. Lo stesso avvocato Benvegnù ha incaricato il dott. Massimo Aleo di Milano di seguire come consulente di parte l’esame autoptico. Montenegrini è stato rinvenuto privo di vita ieri all’alba. La morte risaliva a qualche ora prima. Nessuna delle guardie presenti si è accorta di nulla.

Viste le sue condizioni di salute dopo l’emissione dell’ordine di custodia firmato dal gip Agatella Giuffrida su richiesta del pm Claudia Dal Martello, titolare dell’inchiesta, era stato trasferito al carcere di Opera perché ci sono delle celle attrezzate per i disabili. Montenegrini, gravato da qualche precedente, era accusato di avere guidato la Fiat Tipo bianca dalla quale la sera del 11 maggio scesero due individui che, incappucciati, aggredirono un componente della famiglia Rizzi e arraffarono 500 euro.

Il colpo avvenne alle 22.30 in centro a Camisano e a quell’ora di gente in giro ce n’era parecchia. Per questo i carabinieri del luogotenente Sartori raccolsero testimonianze per individuare come presunto autista della banda proprio Montenegrini. Il pm Dal Martello di recente aveva chiesto al gip un confronto all’americana (la cosiddetta ricognizione di persona) in tribunale a Vicenza nella forma dell’incidente probatorio. "Montenegrini era tranquillo - aggiunge l’avv. Benvegnù - ed era un soggetto tutt’altro che depresso. Tra l’altro, le modalità di quello che dagli inquirenti è ritenuto come un suicidio sono complicate, tenuto conto che era invalido. Pesava oltre 80 chili ed aveva degli obiettivi problemi per architettare un suicidio di quel tipo. Sono davvero molto perplesso".

Ma quali elementi hanno i familiari, che risiedono a Bassano in via Boito 26, per ritenere che le probabilità che il congiunto sia stato vittima di un suicidio sono poche? E se fosse vero, chi mai avrebbe potuto volere la morte di un invalido in carcere? Tra l’altro, era sempre stato coinvolto in fatti di cronaca nera non particolarmente eclatanti. Chi mai poteva volerlo ucciso?

"La sua morte per noi è un mistero e presenta comunque molti punti oscuri - conclude Benvegnù. C’erano stati degli sgarbi in carcere e ne aveva parlato. Ci attendiamo già dall’autopsia le prime risposte importanti".

Anonimo ha detto...

incontro del "Coordinamento Garanti dei detenuti"



Redattore Sociale - Dire, 13 settembre 2008



Incontro del Coordinamento Nazionale dei Garanti dei diritti dei detenuti a Bologna. Giudizio negativo sul ddl prostituzione: "Solo le lucciole straniere rischiano il carcere". Parere altrettanto contrario sul braccialetto elettronico, "inutile e costoso".

Tre iniziative per creare un dibattito politico intorno ai temi dei diritti dei detenuti e del sovraffollamento delle carceri (a Reggio Calabria, Torino e Bologna a partire da fine novembre), un giudizio negativo sul nuovo ddl sulla prostituzione in quanto "solo le lucciole straniere rischiano" la galera e un parere altrettanto contrario sul braccialetto elettronico, perché "inutile e costoso".

È quanto è emerso dalla riunione del Coordinamento nazionale dei garanti delle persone private della libertà che si è incontrato stamattina a Bologna. "Si parla tanto del problema del sovraffollamento dei penitenziari, e poi i provvedimenti del governo vanno tutti nella direzione di aumentare le carcerizzazioni anche per i reati di lieve entità - ha commentato Desi Bruno, garante dei detenuti del Comune di Bologna e responsabile del Coordinamento nazionale dei garanti italiani ­. Per questo vogliamo rilanciare il tema delle misure alternative alla detenzione" là dove l’ordinamento penitenziario le preveda.

"Che senso ha un disegno di legge sulla prostituzione che prevede il carcere solo per pochissimo tempo - da 5 a 15 giorni per lucciole e clienti - con la possibilità di convertire la reclusione in una pena pecuniaria? A rischiare veramente la galera sono solo le prostitute straniere che incorrono nella recidiva, nell’aggravante della clandestinità e nella reiterazione di un reato che è tale solo in luogo pubblico: mi sembra una cosa irrazionale, oltre che incostituzionale", ha proseguito l’avvocato Bruno. Giudizio negativo anche sull’espulsione dei detenuti immigrati, poiché l’ipotesi "non è una novità, in quanto già prevista nel nostro ordinamento, ma resta in gran parte inapplicata perché trova ostacoli circa l’identificazione delle persone e la difficoltà di stipulare accordi bilaterali con i paesi d’origine".

Un parere altrettanto contrario il Coordinamento nazionale dei garanti dei detenuti lo ha espresso anche sul braccialetto elettronico, ritenuto "superfluo, se si applicano le misure alternative alla detenzione, e costoso. Secondo quanto ci ha detto Franco Corleone, garante del Comune di Firenze, servirebbero 110 milioni di euro per i 4.000 braccialetti previsti" per quei detenuti che hanno meno di due anni da scontare per reati che non creano allarme sociale: "una cifra che si potrebbe spendere per migliorare la situazione dei penitenziari o per progetti di reinserimento in società".

Desi Bruno infine ha richiamato l’attenzione sul bisogno di istituire, a livello nazionale, un Garante dei diritti dei detenuti unico per tutto il territorio italiano. Ma il nuovo ddl prevede la sua nomina da parte del Consiglio dei ministri su proposta del Premier e non per mano del Parlamento, e "questo non ci sembra garanzia di democraticità". Ecco pertanto che il dibattito politico intorno ai temi dei diritti dei detenuti e del sovraffollamento delle carceri saranno riproposti a Reggio Calabria, Torino e Bologna, a partire da fine novembre e per tutto il 2009.

Anonimo ha detto...

dall’inizio anno sono morti 85 detenuti; 33 per suicidio



Apcom, 13 settembre 2008



Nelle carceri italiane dal 1 gennaio al 12 settembre 2008 sono morti 85 detenuti. Di questi, almeno 33 per suicidio, ma si tratta di una cifra provvisoria perché diversi casi restano dubbi e si attende l’esito delle indagini. Rispetto allo stesso periodo del 2007 il numero di suicidi tra i detenuti è aumentato dell’11%, mentre il numero totale delle "morti da carcere" è aumentato del 5% circa. È quanto emerge dal dossier 2008 dell’agenzia "Ristretti News", in collaborazione con la "Conferenza regionale volontariato Giustizia" del Veneto.

L’incremento percentuale delle morti in carcere (suicidi compresi) è comunque inferiore al tasso di crescita della popolazione detenuta, che in un anno è stato di oltre il 15%. Le "proiezioni" per l’intero anno 2008 dicono che a fine anno i suicidi tra i detenuti potrebbero arrivare a "quota" 50 (contro i 45 del 2007) e il totale dei decessi a 128 (contro i 123 del 2007).

I "casi" raccolti nel Dossier comunque non rappresentano la totalità delle morti che avvengono all’interno dei penitenziari: "purtroppo molte morti in carcere - si legge in un comunicato di "Ristretti News" passano ancora sotto silenzio, diventando mera statistica, mentre il nostro intento è di ridare una dimensione umana, una storia e un nome, ai detenuti che muoiono, spesso nell’indifferenza dei mezzi di comunicazione e della società".

Dal 2000 ad oggi, secondo le elaborazioni raccolte nel Dossier, i detenuti morti in carcere sono stati 1.298, tra cui 468 per suicidi accertati.

Anonimo ha detto...

carcere killer, dopo Forlì altre 3 vittime in poche ore

di Paolo Persichetti



Liberazione, 13 settembre 2008



"È morto per cause naturali e in carcere ha avuto tutte le cure di cui aveva bisogno". Non sa trovare altre parole la direttrice del carcere di Forlì, Alba Casella, per spiegare la morte di Franco Paglioni, deceduto in circostanze drammatiche lo scorso 25 agosto, trovato riverso sul pavimento della cella tra le sue feci dopo aver inutilmente denunciato forti dolori.

L’Istituzione come di consueto si è chiusa a riccio e respinge ogni accusa. Nega che nella vicenda vi siano responsabilità o ombre. L’incuria, l’indifferenza, il cinismo, non c’entrano. "Questo è quello che dicono i detenuti...", risponde la funzionaria, preoccupata soprattutto della propria carriera e di tutelare il buon nome dell’amministrazione.

Il cappellano del carcere, don Dario Ciani, scrive che le condizioni di salute del detenuto erano note, tanto che in passato aveva sempre ottenuto misure alternative a causa della sua incompatibilità con la detenzione. Questa volta non è accaduto o non si è fatto in tempo. "Ogni carcere, compreso quello di Forlì, non può essere utilizzato come discarica", spiega il prete.

Della vicenda è stata informata l’autorità giudiziaria che ha subito sotterrato il caso senza nemmeno accertare le cause esatte della morte. Tanto Paglioni aveva il destino segnato da una sieropositività conclamata. Evidentemente la vita di chi è affetto da questa sindrome vale meno delle altre. L’altro ieri si è tenuto anche un presidio sotto le mura della casa circondariale per denunciare l’episodio, mentre i Radicali annunciano una interpellanza parlamentare.

Paglioni era stato collocato in isolamento nell’unica cella disponibile del reparto protetti. Uno come lui andava assegnato in una comunità. Quantomeno necessitava di un ricovero in infermeria. Ma il sovraffollamento attuale impedisce una gestione razionale della popolazione incarcerata. La fabbrica della punizione sforna più detenuti di quanto l’industria penitenziaria sia in grado di contenere.

Ciò alimenta lo stillicidio di morti: altri tre negli ultimi giorni. Un paraplegico trovato incredibilmente "impiccato" nel carcere di Opera. È il secondo caso del genere che si registra in questo istituto. Un detenuto marocchino deceduto per inalazione di gas a Badu ‘e Carros (Nuoro) e poi, martedì scorso, la morte nell’ospedale di Velletri di Stefano Brunetti, 41 anni. Arrestato l’8 settembre per un tentativo di furto, il giorno successivo era stato ricoverato a causa delle pesanti percosse subite, non si sa ancora se durante la permanenza nella questura di Anzio oppure dopo l’ingresso in carcere.

La magistratura ha disposto l’autopsia per conoscere se le cause del decesso sono di origine violenta o meno. La notizia è stata diffusa dal garante dei detenuti del Lazio e dall’associazione Antigone. Episodi che attirano l’attenzione sulle pratiche sempre più violente che ormai dilagano senza freni negli apparati di polizia.

Anonimo ha detto...

Lettere: riflessione sul "perdono"... da un detenuto in "41-bis"

di Carmelo Musumeci



Ristretti Orizzonti, 13 settembre 2008



Ho appena finito di leggere l’ultimo numero di Ristretti Orizzonti di luglio-agosto 2008. Alcune dichiarazioni delle vittime di reati mi hanno fatto riflettere. Io credo che l’affermazione "non voglio vendetta ma giustizia" in realtà è una bugia che nasconde voglia di vendetta. In modo più sincero di come avviene in Europa, negli Stati Uniti c’è chi dichiara apertamente che la giustizia deve coincidere con la vendetta.

Ho la certezza però che molti reati sono generati da un’ingiustizia sociale all’origine del reato stesso e sono convinto anche che sia irragionevole tentare di risarcire le vittime di un reato offrendo loro la sofferenza del reo in carcere. Non credo che sia utile far soffrire in carcere un delinquente affinché ripari al male che ha commesso. Penso che il perdono permetta di liberarsi delle violenze subite.

Credo che non ci sia invece giustizia ma desiderio di vendetta nel tenere una persona chiusa in una cella per dieci, venti, trenta anni e a volte per sempre. Si può dire di aver fatto giustizia, quando si finisce con l’avere un morto al cimitero e un altro morto chiuso in una cella? Io credo do no! Non credo nella giustizia retributiva ma semmai credo in una giustizia riparativa. È mio parere che chi cerca la vendetta è più sincero di chi cerca giustizia e chi riesce a perdonare è migliore di chi cerca vendetta e di chi cerca giustizia. Non cerco giustificazioni. Non ne ho e non ne voglio avere. Non m’interessano. Ma alcune testimonianze che ho letto su Ristretti Orizzonti mi hanno indotto a pensare e a trarre le mie conclusioni dalle riflessioni che ho fatto.

Quindi, ho deciso anch’io di perdonare. Perdono Dio di avermi fatto nascere colpevole in una terra e in una famiglia poverissime; perché l’innocenza è spesso un lusso per ricchi. Perdono Dio anche di avermi donato il libero arbitrio ma non la possibilità reale di scegliere.

Perdono la società di avermi fatto vivere la mia infanzia in collegio, tra frati, preti e suore che mi hanno riempito di botte, penitenze e castighi, con tanta dottrina ma nessun amore e affetto. Perdono lo Stato, che una volta che a 15 anni stavo in carcere, non trovò di meglio per educarmi che legarmi per 15 lunghi giorni ad un letto di contenzione. Perdono altresì lo Stato per avermi fatto passare più di metà della mia vita in carcere a torto o a ragione. E perdono lo Stato perché pensa di risolvere i problemi sociali con l’illegalità, la detenzione, l’ergastolo e la tortura del 41 bis. Perdono i politici e i funzionari dell’Amministrazione Penitenziaria che con il loro comportamento negativo in tutti questi anni mi hanno fatto sentire più innocente di quanto fossero loro.

Perdono i giudici che mi hanno condannato all’ergastolo, anche se ricevere questa condanna è stata una conseguenza del mio tentare di sopravvivere. Perdono anche gli uomini in nero del Ministero di Giustizia che mi ha sottoposto alla tortura del 41-bis che prescrive trattamenti disumani e crudeli come i vetri presenti nei colloqui che mi hanno impedito di dare carezze ai miei figli all’età in cui ne avevano più bisogno.

Infine, perdono me stesso: Carmelo, perché continua ad amare, non si piega al carcere, lotta per l’abolizione dell’ergastolo e continua a vivere la sua vita nel modo in cui la sogna.

Anonimo ha detto...

Lettere: i detenuti chiedono solo di avere un’alternativa di vita



Ristretti Orizzonti, 13 settembre 2008



Ancora una volta siamo costretti a leggere di un altro suicidio… ed ancora una volta lo si commenta puntando il dito alla ricerca di un colpevole… inizio a pensare che questo ci aiuta a stare meglio. Contare quanti ne sono morti e di chi potrebbe essere la colpa.

Ma ci sono i colpevoli? Chi sono? In questi giorni ho provato a fare alcune riflessioni e gli spunti vengono sempre quando entri in carcere ogni giorno a portare il tuo piccolo contributo ed incontrando le persone detenute.

Vi deluderò, ma in questo scritto non voglio parlare delle sfighe o del "malcapitato di turno", ci pensa la stampa a pompare la notizia, e non intendo neppure trovare il colpevole, ci sono i bravi avvocati per questo io, sono solo un’operatrice sociale.

Questo scritto è per dire che in carcere ho conosciuto uomini che sono diventati migliori, in carcere ho visto uomini cambiare, voltare pagina, uomini capaci di ricominciare. Ho visto e vedo lo sforzo di tutti gli operatori che ogni giorno fanno ingresso e portano vita, ho visto e vedo il carcere diventare un luogo di pensiero, di poesia e di vita. In carcere tutti si conoscono, e tutti conoscono tutti per nome e cognome; provate a chiedere all’amministratore delegato di un’azienda se conosce il nome dei suoi operai.

In carcere ho sentito e visto genitori detenuti raccontarsi ai propri figli senza vergogna e dire loro che i veri eroi stanno fuori, i veri eroi sono quelli che si alzano al mattino, lavorano tutto il giorno e tornano a casa stanchi. Ho visto detenuti fare cose che non avrebbero mai fatto nella loro vita passata; usare un computer, scrivere una poesia, dipingere un quadro, diplomarsi, pensare all’università: il carcere che diventa cultura, non quella omertosa, non del sospetto, non mafiosa ma cultura del sapere.

Ci sono detenuti che, per assurdo, in carcere hanno sperimentato la tranquillità di stare in una dimora, di avere, grazie ai volontari, un vestito nuovo e pulito, una saponetta profumata, uno spazzolino da denti un paio di scarpe, ed ho visto Agenti di Polizia diventare dei punti di riferimento, a volte, tirati dentro nei racconti delle tragiche storie cercano di improvvisarsi anche psicologi, raccolgono i bisogni e si attivano.

In carcere ci sono uomini che hanno imparato a dire no, ad avere un proprio pensiero a "dissociarsi" dalla massa quando era il momento di farlo. Ho visto uomini piangere e uomini che, guardando il passato si cercavano senza più trovarsi, senza più riconoscersi. Ho visto uomini sorridere e tornare bambini, commuoversi e diventare uomini.

Alcuni di loro per la prima volta hanno avuto la possibilità di potersi guardare dentro, di poter raccontare la loro storia, i traumi vissuti nell’infanzia, altri hanno potuto rivedere il proprio figlio attraverso percorsi legali senza dover minacciare qualcuno o dare soldi a qualcun altro. Qualcuno ha potuto chiedere scusa e tutti; quando c’è una giusta causa, fanno la colletta.

Allora penso che forse il carcere non è solo quella cosa brutta che non si può dire e che ci fanno sempre credere. Perché allora succedono le brutture più indicibili?

Perché siamo pochi! Sì, penso che forse noi, che stiamo da questa parte, siamo solo pochi, un numero inferiore rispetto a loro che stanno dall’altra, oppure, mi tocca pensare che siamo incapaci e facciamo fatica a riconoscere le loro fragilità. Ma come si fa a mettere nelle mani di persone inaffidabili le storie dei criminali più famosi d’Italia?

Preferisco la prima supposizione, perché non credo che chi, come noi, ha la fortuna di scegliere il proprio lavoro sia "distratto" o "incompetente" nel farlo. Penso che sia giunto il momento di chiamare i "rinforzi" ed allora forse la chiave è: più Risorse Umane, più luoghi dignitosi, per investire sui percorsi possibili, investire sulla vita, per far vivere al detenuto la quotidianità all’interno dei nei Reparti e non al "Pronto Soccorso", perché non si può essere sempre al "collasso", perché le persone non vanno "alimentate" sempre con la flebo, perché non devono spingersi in gesti auto-lesivi per poter avere ascolto, perché non è mai positiva la "sotto-osservazione".

Non occorrono, perché non si chiedono, interventi straordinari, bastano quelli normali, quello che si chiede è di poterli fare senza tanta fatica perché non ci si può sentire sfiancati e risultare pure inadempienti. La persona detenuta chiede di essere "alimentato", e non di cibo (forse in alcuni casi anche di quello… ma è un’altra storia).

Quello che il detenuto chiede è "l’alternativa" alla condotta che l’ha portato in carcere e "l’alternativa" deve essere più allettante di una rapina, deve essere concreta più della droga, solida più clan di "appartenenza".

Deve essere un’alternativa che cambia il pensiero, che alimenta e cresce dentro: nel cuore, nella mente, per il suo presente e il suo futuro, per lui e per chi gli sta vicino; e se solo riuscissimo a soddisfare il bisogno di tutti, in tempi ragionevoli... beh, questa già sarebbe una cosa straordinaria, permetterebbe a ciascuno di noi, che siamo pochi, di "arrivare per tempo" e senza fatica, di arrivare nelle loro storie, sul loro bisogno, nel loro progetto di vita futura.

Ognuno di noi, per quello che ci compete, affronta ogni giorno il carcere sapendo che chi sta dall’altra parte è più debole, ognuno di noi, per quel che ci compete, propone ogni giorno "l’alternativa", perché a cascata, quella alternativa, se realizzata, investe anche noi con la consapevolezza di aver fatto un buon lavoro, ed il buon lavoro parte dal riconoscere che chi sta dall’altra parte, non è solo un bicchiere "mezzo vuoto" è anche "mezzo pieno".



Carmen Maturo - Cooperativa Camelot

Responsabile progetto a sostegno dei genitori detenuti

e dei loro figli: "Genitori Sempre" presso carcere di Opera

Don Ettore Cannavera, riflessioni da "La Collina"

L'Associazione 5 Novembre, ha intervistato Don Ettore Cannavera, fondatore della comunità di accoglienza "La Collina", rivolta a giovani-adulti, di età compresa tra i 18 ed i 25 anni, che vengono affidati dalla Magistratura di Sorveglianza come misura alternativa alla detenzione. Un interessante intervista sui temi della Giustizia, del Carcere, del precariato giovanile e della cultura della Solidarietà e dell'accoglienza.