martedì 23 settembre 2008

Cagliari: malato terminale "compatibile" con regime carcerario


Agi, 20 Settembre 2008

"Il centro clinico di Buoncammino, contrariamente a quanto sostengono i medici della struttura, può accogliere adeguatamente un detenuto, ammalato in fase terminale, al quale non sono praticabili cure. L’ordinanza dei giudici della sezione penale feriale della corte d’appello di Cagliari è di quelle che fanno riflettere e lasciano perplessi".


Lo sostiene il consigliere socialista Maria Grazia Caligaris (PS), componente della Commissione Diritti Civili, dopo aver letto le motivazioni con cui è stata rigettata l’istanza dell’avv. Fernando Vignes per il ricovero, in un’adeguata struttura sanitaria esterna, di Antonino Loddo, affetto dalla malattia di Charcot-Marie Tooth che ha raggiunto "uno stadio avanzato, irreversibile". "È possibile che gli aspetti relativi alla "pericolosità sociale" di un cittadino ancora in attesa di sentenza definitiva, siano - sottolinea Caligaris - elemento esclusivo nella valutazione di una vicenda umana che travalica il tipo di reato, per quanto grave possa essere?


Non siamo di fronte ad una richiesta di scarcerazione facile con il presunto reo che possa reiterare i reati di traffico, detenzione e spaccio di ingenti quantità di sostanze stupefacenti che gli vengono addebitati. È possibile che non si tenga conto che il detenuto in fase terminale è padre di un bimbo in lotta per sopravvivere dopo il trapianto di midollo e che la vicinanza dei familiari in una struttura sanitaria può essere più assidua ed efficace che non le visite in carcere con i disagi che comportano".


(nell'immagine) Joan Miró "gatto frustrato dal volo di un uccello"

5 commenti:

Anonimo ha detto...

l'unico effetto dell'indulto
I numeri: 42.890 posti disponibili; 55.250 detenuti presenti; 12.360 detenuti in eccesso. Numeri simili a quelli prima del luglio 2006, data in cui era stato varato l’indulto, misura che aveva drasticamente ridotto la popolazione carceraria. La conclusione: l’indulto, un provvedimento scellerato e inutile. Un provvedimento che paradossalmente ha peggiorato solo la situazione dei detenuti. Il brutto mix composto da indulto e aumento della criminalità ha portato al paradosso che se prima del luglio 2006 i detenuti avevano qualche speranza oggi hanno perso pure quella. Prima potevano sperare in un indulto e in una politica carceraria che approfittando della misura clemenziale puntasse a risolvere l’inivibilità delle carceri. Oggi devono prendere atto dell’incapacità di chi amministra. E devono prendere atto che paralare del carcere è diventato un tabù. L’altro effetto dell’indulto è quello di avere determinato la convinzione che i detenuti hanno avuto e non devono più chiedere. Poco importa se vivono in celle in condizioni che non sono proprie di un essere umano. L'unico proposta sollevata il bracceletto elettronico. La prova dell'assoluta non comprensione del problema.

Anonimo ha detto...

18:06 - mercoledì, 24 settembre 2008

Giovane tunisino arrestato nel Cpa di Elmas

Gli agenti della Squadra Volante della Questura hanno arrestato I. F., di 21 anni, tunisino, per resistenza e violenza a pubblico ufficiale, danneggiamento aggravato. I poliziotti in servizio nel Cpa di Elmas hanno fermato il giovane tunisino, clandestino, attualmente ospite nel Centro, perchè è stato notato circolare fra i cittadini richiedenti asilo politico nella sala adibita alla consumazione dei pasti. Per evitare problemi di sicurezza ed ordine pubblico anche fra le due etnie il giovane è stato, quindi, invitato a rientrare nel proprio alloggio ma giunto nei pressi dell'infermeria si è scagliato contro un agente abbattendo, inoltre, a testate la porta di ingresso dell'infermeria e danneggiando quella degli uffici della Polizia scientifica.

Anonimo ha detto...

tra otto mesi nelle carceri ci sarà il "tutto esaurito"



Il Velino, 24 settembre 2008



Se entro otto mesi non si troveranno soluzioni alternative, le carceri italiane non potranno accogliere nuovi detenuti. I dati, al 31 agosto scorso, indicano che a fronte di una presenza di circa 55.800 persone (di cui 24.70 donne) gli istituti di pena nel nostro Paese potranno ospitare ancora circa 8.000 detenuti, "limite tollerabile" rispetto ad una capienza regolamentare di 42.992 posti. Dei 55.800 detenuti quasi 21 mila sono stranieri e di questi ben 2.500 circa albanesi, 1.110 algerini, 4.550 marocchini, 2.258 tunisini e 2.787 romeni.

Il ministro della Giustizia Angelino Alfano cerca di correre ai ripari e rilancia l’ipotesi di trovare accordi con alcuni paesi con la proposta di far scontare le pene dei loro cittadini nelle carceri locali. Il pressing maggiore si sta esercitando sulla Romania e sull’Albania, dove fra l’altro l’Italia ha costruito qualche anno fa anche un penitenziario, paesi con i quali esistono già accordi in tal senso che, però, hanno trovato rara applicazione.

Sarà necessario superare anche le norme che vietano il trasferimento dei detenuti da un paese all’altro senza il consenso dello stesso, ma il rifiuto potrebbe essere aggirato con l’espulsione condizionata a scontare la pena nel paese d’origine, ma è necessario il nulla osta di quest’ultimo. I tempi comunque sono molto stretti e soltanto il trasferimento di 3 o 4 mila detenuti stranieri potrà consentire al ministro della Giustizia di trovare legislativamente soluzioni alternative al carcere e attendere i test che si stanno facendo sul braccialetto elettronico

Anonimo ha detto...

emergenza carceri; sconcerta il silenzio della politica



Comunicato Sappe, 24 settembre 2008



"La mancata adozione di provvedimenti strutturali da parte di Governo e Parlamento per modificare il sistema penitenziario contestualmente all’approvazione dell’indulto ha riportato le carceri italiane a livelli di sovraffollamento insostenibili, arrivando oggi ad avere un numero di detenuti pressoché uguale a quello per il quale, un anno fa, l’80% dei parlamentari italiani decise di approvare il provvedimento di clemenza. Ma c’è di più: se in tempi estremamente brevi non si troveranno soluzioni alternative alla detenzione, le carceri italiane non saranno in grado di accogliere nuovi detenuti. Di fronte a tutto questo registriamo stupiti i silenzi della politica"

Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, organizzazione più rappresentativa della Categoria con 12mila iscritti, analizzando i dati penitenziari riferiti al 31 agosto scorso.

I dati indicano che a fronte di una presenza di quasi 56mila persone (di cui 2.500 circa le donne) gli istituti di pena nel nostro Paese potranno ospitare ancora circa 8mila detenuti, "limite tollerabile" rispetto alla capienza regolamentare degli istituti già abbondantemente superata pari a 42.992 posti. Dei 56mila detenuti, ben il 53% sono gli imputati e quasi 21 mila gli stranieri (e di questi ben 2.500 circa gli albanesi, 1.110 gli algerini, 4.550 i marocchini, 2.258 i tunisini e 2.787 i romeni. Si pensi che alla data del 31 luglio 2006, prima cioè dell’approvazione dell’indulto, avevamo nei 207 istituti penitenziari italiani 60.710 detenuti a fronte di una capienza regolamentare pari a 43.213 posti.

Approvato l’indulto (Legge n. 241 del 31 luglio 2006), esattamente un mese, e cioè il 31 agosto 2006, il numero dei detenuti presenti in carcere era drasticamente sceso a 38.847 unità. E si consideri che i detenuti che materialmente uscirono dal carcere per effetto dell’indulto sono stati circa 27mila e 500, a cui bisogna aggiungere quelli che ne hanno beneficiato pur non essendo fisicamente in un penitenziario: circa 6.800 che fruivano di una misura alternativa alla detenzione, circa 200 già usciti dal carcere per l’indultino del 2003 e 250 minori.

"Il confronto tra queste cifre" spiega Capece "dimostra l’occasione persa dalla classe governativa e politica quando, approvato l’indulto, non ha raccolto l’auspicio del Sappe di ripensare, allora, il carcere e adottare con urgenza rimedi di fondo al sistema penitenziario, chiesti autorevolmente più volte anche dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Parlammo di provvedimenti concreti di potenziamento dell’area penale esterna, che tengano in carcere chi veramente deve starci, e di incremento degli organici di Polizia Penitenziaria (cui mancano più di 4mila unita rispetto all’organico previsto) cui affidare i compiti di controllo sull’esecuzione penale.

Ed è proprio il silenzio della politica su questa grave criticità del Paese a sconcertarci, al di là delle dichiarazioni di intenti che però non si concretizzano in provvedimenti concreti. Governo e Parlamento non posso tralasciare ulteriormente la grave situazione penitenziaria che si registra oggi nei nostri penitenziari e devono porre l’emergenza carceraria tra le priorità di intervento, anche riservando fondi ad hoc nella Finanziaria. Il Sappe, l’Organizzazione sindacale più rappresentativa della Polizia Penitenziaria, auspica che vengano al più presto adottate dal Parlamento delle modifiche del sistema penale - sostanziale e processuale - che rendano stabili le detenzioni dei soggetti pericolosi affidando a misure alternative al carcere la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale, anche avvalendosi di procedure di controllo mediante strumenti elettronici o altri dispositivi tecnici (come il braccialetto elettronico).

L’utilizzo di queste tecnologie conclude Capece potrà evitare di rendere evanescente e meramente teorica la verifica del rispetto delle prescrizioni imposte dall’autorità giudiziaria al momento dell’adozione delle misure alternative alla detenzione. E affidare il controllo delle misure alternative alla detenzione alla Polizia Penitenziaria, accelerandone quindi l’inserimento negli Uffici per l’esecuzione penale esterna, vuole dire andare a svolgere le stesse funzioni di controllo oggi demandate a Polizia di Stato e Carabinieri, che in questo modo possono essere restituiti ai loro compiti istituzionali, in particolare il controllo del territorio, la prevenzione e la repressione dei reati, a tutto vantaggio dell’intera popolazione. Proprio perché quella della sicurezza è una priorità per chi ha incarichi di governo e parlamentari, auspichiamo una larga intesa politica per una urgente nuova politica della pena, necessaria e non più differibile stante l’attuale grave criticità del sistema penitenziario del Paese."

Anonimo ha detto...

nessun ergastolano deve, mai più, morire qui dentro!



Lettera alla Redazione, 24 settembre 2008

Ecco un elenco di "buoni" motivi che possono rappresentare una giustificazione per non aderire alla protesta degli ergastolani: ritenere che la colpevolezza di un individuo sia eterna; ritenere giusto passare tutta la vita e morirvi per quello che si ha (o non si ha) fatto; ritenere giusto condurre un’esistenza che non può essere chiamata vita; ritenere giusto dover rinunciare persino a sognare futuri; ritenere giusto smettere di pensare possibile amare; ritenere giusto che non venga concessa alcuna seconda possibilità agli individui; ritenere che la vita non abbia valore alcuno.

Se ritenete che dopo aver scontato 20, 30 anni di carcere, siete rimasti quelli che eravate prima, allora la vostra non partecipazione potrebbe essere "nobile"; ma se non partecipate invece per il fatto che avete perso speranza, vi sentite impotenti, o peggio ancora vi siete convinti che prima o poi l’ergastolo verrà tolto anche senza che vi impegnate a protestare e che non sia necessario il vostro sacrificio a questo fine, beh, allora sbagliate!

La speranza non si può perdere. La si può smarrire, ma ciò che è smarrito si può ritrovare! Anche quando si rinuncia a cercare ciò che si ha smarrito si finisce spesso per ritrovare quello che si aveva smarrito! È lecito sentirsi impotenti di fronte alle tendenze politiche e ad una opinione pubblica che sembra solo reclamare vendetta ad alta voce, ma è anche lecito difendersi da chi vuole a tutti i costi rinchiudere alcuni fino alla morte per poi proclamarsi persona più civile di tutti!

Nessuno ti regala niente! Nessuno ha mai dato un diritto - i diritti sono sempre stati conquistati. Che l’abbiano fatto interi popoli o singole persone, per i diritti la lotta è sempre stata necessaria! Il diritto alla libertà non fa eccezione. Gli ergastolani dovranno conquistarlo con sacrificio, perseveranza, forza di discussione e tramite l’adesione di tutti, la convinzione di tutti. Insieme si può e si deve vincere!

Non stiamo combattendo per avere la lista della spesa più ampia o per avere in cella un paio di scarpe in più - sapete di cosa parlo -. Stiamo combattendo per la nostra stessa vita, per il diritto all’esistenza. Per qualcosa che molti di noi hanno dimenticato che esiste: la libertà!

Vorrei che gli ergastolani non si limitassero a partecipare alla settimana di sciopero della fame previsto. Vorrei che siano più attivi e facciano propria questa protesta perché a loro appartiene!

Muovetevi! Coinvolgete amici, parenti, conoscenti, fate in modo che le vostre donne aderiscano al neonato comitato femminile! Fate sentire la vostra voce alzarsi da questo inferno! Uniamo le forze! Bisogna credere nelle cose se si vuole che funzionino!

Una cosa che invece non si deve assolutamente fare è rassegnarsi. La rassegnazione è l’anticamera della morte. Nessuno di noi deve mai più morire qui dentro! Troppi si sono tolti la vita perché si erano convinti che davvero non ci fosse più speranza. So bene che a volte, quella di "chiudere il sipario" può sembrare la soluzione più facile e giusta! Forse per alcuni lo è davvero. Ma c’è anche una componente di egoismo in questo gesto perché si toglie forza e vigore ad un vero e proprio esercito che lotta per la libertà e poi - è anche fare un favore a chi ci vuole morti, no?

Mostriamo a tutti invece che siamo vivi, che in noi c’è tanta forza ed energia che se diventasse elettricità potremmo tenere le luci di un’intera città accese per vent’anni! Cosa potrà mai accaderci se ci proviamo? ci danno l’ergastolo? Ci chiudono in una cella e buttano via le chiavi? Ma questo ci è già stato fatto! È così compagni, non abbiamo niente da perdere! Nulla può esserci tolto perché nulla ora abbiamo!

Alfredo Sole, per gli Ergastolani in lotta di Livorno

Don Ettore Cannavera, riflessioni da "La Collina"

L'Associazione 5 Novembre, ha intervistato Don Ettore Cannavera, fondatore della comunità di accoglienza "La Collina", rivolta a giovani-adulti, di età compresa tra i 18 ed i 25 anni, che vengono affidati dalla Magistratura di Sorveglianza come misura alternativa alla detenzione. Un interessante intervista sui temi della Giustizia, del Carcere, del precariato giovanile e della cultura della Solidarietà e dell'accoglienza.