sabato 6 settembre 2008

Carcere di Buoncammino: 42 giorni sciopero della fame, finalmente ricovero in psichiatria


La Nuova Sardegna, 5 settembre 2008
Dalla Redazione del Centro studi
di Ristretti Orizzonti www.ristretti.it



È stato ricoverato nel Servizio psichiatrico diagnosi e cura (Spdc) dell’ospedale Santissima Trinità il detenuto di 31 anni che da 42 giorni era in sciopero della fame nel carcere cagliaritano di Buoncammino. "La decisione è stata adottata, con l’autorizzazione del giudice Daniela Amato e del sostituto procuratore Gilberto Ganassi in considerazione dello stato psico-fisico del trentunenne", fa sapere il consigliere regionale socialista Maria Grazia Caligaris, componente della Commissione "Diritti Civili", che nei giorni scorsi aveva visitato in carcere il giovane, in attesa di giudizio da un anno e quattro mesi, che sarà processato il prossimo novembre. "La solidarietà nei suoi confronti da parte di numerosi detenuti è stato un segnale inequivocabile della gravità della situazione", sottolinea Caligaris. "Il ricovero - continua la consigliera regionale - è un risultato positivo che consentirà ai medici di effettuare una ricognizione più approfondita sulle condizioni di salute del ragazzo verificando la fondatezza degli evidenti segnali psicotici".


(nell'immagine) Jeff Crouch - "Oooo"

6 commenti:

Roberto Loddo ha detto...

Giustizia: sapete a cosa dovrebbe servire, davvero, il carcere?

di Filippo Facci



Il Giornale, 26 luglio 2008



La maggioranza lo considera una punizione, una vendetta, un impedimento fisico a delinquere: ed è una visione legittima, è la cosiddetta funzione retributiva che c’è negli Stati Uniti e dove non ha senso prevedere indulti e semilibertà e condizionali e permessi vari, talché il problema del sovrappopolamento carcerario si risolve facendo più galere.

Volete davvero questo? Va bene, ma il fatto è che la nostra legge e la nostra Costituzione (articolo 27) dicono una cosa diversa, e spiegano che il carcere ha una funzione rieducativa e che sarebbe teso a scoraggiare le recidive, nonché a convincere che di delinquere non valga la pena. I suddetti e discussi strumenti di garanzia servirebbero per distinguere da caso a caso.

Potete dissentire, ripeto: ma il carcere in Italia sarebbe questo (sarebbe, perché ora è un pastrocchio) e per quanto si blateri sempre di cambiare la Costituzione non c’è mai nessuno che osi nominare l’articolo 27. Si protesta, ci si scontra, ci si indigna: ma in Italia nessun politico o giornalista spiega mai che cosa debba essere veramente e in definitiva, un carcere.

Roberto Loddo ha detto...

Cagliari: Is Arenas, la colonia penale agricola verso la rovina



La Nuova Sardegna, 7 agosto 2008



La Casa di Reclusione di Is Arenas, paradiso delle vacanze per alcuni eletti e inferno per tanti altri, è in una situazione esplosiva: organizzazione interna nel caos, personale di sorveglianza ridotto all’osso e con turni massacranti, funzioni stravolte dalla direzione carceraria, servizi di sicurezza inadeguati se non inesistenti, anche i cavalli del reparto addetto al controllo dei circa tremila ettari della Casa di Reclusione soffrono le pene dell’inferno perché abbandonati a se stessi.

Il quadro piuttosto sconcertante di quanto starebbe accadendo nella struttura carceraria con la location più suggestiva in assoluto (circondata dalle dune di Piscinas, dal mare e dalla spiaggia di Scivu: chiedere all’ex ministro della Giustizia Castelli, che nella suite direzionale vi trascorreva esotiche vacanze), lo dipinge l’agente Sandro Atzeni, responsabile della Cgil-Fp Polizia penitenziaria, che del carcere di Is Arenas conosce tutto per filo e per segno prestandoci servizio da diverso tempo.

E da rappresentante sindacale si permette di denunciare "una situazione caotica, diventata addirittura esplosiva con la riapertura della diramazione di Conca d’Oro, dove è stato utilizzato in vigilanza il personale del reparto a cavallo, i cui compiti sono stati soppressi con ordine di servizio dalla direzione carceraria di Is Arenas per poterlo impiegare diversamente, seppur rientranti nei doveri di un appartenente al Corpo di Polizia penitenziaria".

Secondo l’agente-sindacalista, la soppressione del reparto è un fatto gravissimo "perché è preposto a garantire l’ordine e la sicurezza degli istituti penitenziari con sedi allocate in aree rurali, dove sono presenti detenuti che lavorano all’aperto (prevalentemente nel pascolo) in località, come Conca d’Oro, isolata dalla diramazione centrale e presidiata da due agenti per turno con circa quarantacinque detenuti da controllare in un vasto territorio". La convinzione, per quanto inconfessata, è che proprio da queste zone di pascolo passino illecitamente droga e chissà che altro. Ma il reparto a cavallo cancellato sarebbe solo la punta dell’iceberg di una condizione penitenziaria insostenibile. Ancora Sandro Atzeni: "Parte del personale deve usufruire ancora delle ferie del 2007, i ruoli di ispettore e sovrintendente con compiti di coordinamento e sorveglianza sono pressoché inesistenti in vari turni, mentre in altri ce n’è più d’uno".

La pianta organica è la stessa del 2001 nonostante siano cresciuti i carichi di lavoro e le mansioni, con presunte agevolazioni da parte della direzione verso qualche dipendente, come denuncia Atzeni, "destinato al controllo detenuti nella stalla senza indire un regolare interpello come prevede il protocollo d’intesa fra Prap di Cagliari e organizzazioni sindacali". Per chiudere una nota di stampo animalista: "I cavalli del reparto rimangono gran parte della giornata abbandonati a se stessi, senza cibo né acqua. Quando la fame e la sete (soprattutto in questi giorni di afa) si fanno insostenibili, sfondano le recinzioni per cercare da mangiare e bere, vagando incontrollati nel territorio della colonia".

Roberto Loddo ha detto...

Nuoro: detenuto fa sciopero della fame per ottenere ricovero



L’Unione Sarda, 8 agosto 2008



Un trentatreenne rinchiuso nel carcere di Nuoro è in sciopero della fame da lunedì perché vuole essere ricoverato in una struttura adeguata poiché ha un grave problema ad un ginocchio che non gli permette di camminare.

"Un albanese di 33 anni, detenuto nel carcere nuorese di Bad’e Carros, da lunedì si astiene dall’assunzione di cibo, non partecipa alla socializzazione e rifiuta l’ora d’aria per protestare contro l’inadeguata assistenza sanitaria. Da circa un anno ha chiesto di essere ricoverato in un centro terapeutico diagnostico per un grave problema a un ginocchio che gli impedisce di deambulare ma ancora non ha visto soddisfatta la sua istanza".

Lo denuncia il consigliere regionale socialista Maria Grazia Caligaris (PS), componente della Commissione "Diritti Civili", esprimendo preoccupazione per i numerosi casi di detenuti in precarie condizioni di salute i cui diritti non vengono rispettati. "Quello di Tom Fufi - sottolinea Caligaris - è un caso emblematico della scarsa considerazione in cui vengono tenuti i problemi sanitari dei ristretti, in particolare a Bad’e Carros da dove sono giunte diverse segnalazioni.

Il giovane, che si era rivolto al Dirigente Sanitario in servizio nella struttura carceraria ha ottenuto, dopo alcuni mesi, nello scorso mese di febbraio, un esame diagnostico da cui è emersa una lesione al legamento crociato del ginocchio sinistro. La richiesta di ricovero in un centro clinico, l’unico in Sardegna è quello di Buoncammino a Cagliari a cui fanno riferimento i detenuti isolani e talvolta anche del continente, non ha però ottenuto risposta.

Nell’attesa - ha scritto in una lettera Tom Fufi recapitata alla consigliera socialista - il problema si è aggravato al punto da non potermi più reggere sulle gambe e di conseguenza mi è stato autorizzato l’utilizzo delle stampelle e assegnato un piantone. Ho urgente necessità di subire un intervento chirurgico per il ripristino della funzionalità dell’arto e la prego di intervenire presso le competenti autorità al fine di risolvere il serio problema.

È inconcepibile - conclude Caligaris - che in un Paese civile si possano verificare situazioni come quelle che, purtroppo, molto spesso avvengono negli istituti di pena. Il diritto alla salute è proprio di ogni cittadino ed è compito delle istituzioni a qualunque livello rispettare le norme e garantire a ciascuno ciò che gli spetta. Il detenuto sconta la pena assegnatagli ma non per questo perde la dignità di persona".

Roberto Loddo ha detto...

Nuoro: un detenuto di 45 anni suicida, sì è impiccato in cella



La Nuova Sardegna, 12 agosto 2008



Era considerato un detenuto "tranquillo", tanto che si era meritato una cella singola, dove scontava il residuo di pena, per fatti di droga. Sabato sera, tuttavia, ha voluto farla finita con la sua vita: Antonio Serra, 45 anni, muratore, nativo di Aggius, si è impiccato, lasciandosi andare con uno strattone talmente forte che è morto nel giro di pochissimi istanti. Quando lo hanno trovato gli agenti di Polizia Penitenziaria, intorno alle ore 22, ormai non c’era più nulla da fare.

L’uomo era stato visto anche pochi minuti prima che si consumasse la tragedia. Antonio Serra, comunque, avrebbe lasciato uno scritto dove spiega le ragioni del suo gesto estremo. Il messaggio autografo è ora nella mani della magistratura, che ha aperto un fascicolo sul caso. Il corpo del detenuto è stato rimosso soltanto dopo l’autorizzazione del giudice di turno e intorno alle 3 della notte è stato portato all’obitorio dell’ospedale San Francesco di Nuoro, per i necessari accertamenti necroscopici. Anche l’amministrazione penitenziaria, come sempre succede in casi come questo, ha avviato una inchiesta interna.

Roberto Loddo ha detto...

Giustizia: Antigone; indulto ha rimediato situazione inumana



Dire, 29 agosto 2008



Claudio Sarzotti, Presidente di Antigone Piemonte e docente di sociologia del diritto, commenta l’analisi sui costi dell’indulto presentata alla Bocconi. "Lavori come questi non tengono conto di voci non stimabili, come la sofferenza".

"L’indulto non è certo la panacea di tutti i mali, eppure ha rimediato a una situazione inumana che si era ricreata a causa del sovraffollamento delle carceri". È il commento di Claudio Sarzotti, presidente di Antigone Piemonte e docente di sociologia del diritto, all’analisi sui costi dell’indulto presentata oggi all’Università Bocconi. "Lavori come questi prendono in considerazione costi che è sempre difficile stimare - dice il docente, critico sullo studio -. In più non tengono presenti altri voci che possono essere difficilmente contabilizzate come la sofferenza dei familiari dei detenuti".

"Vorrei sottolineare - continua Claudio Sarzotti - che la percentuale di recidività post-indulto registrata finora è stata inferiore a quel 70%, che è il tasso di recidiva fra i detenuti scarcerati a fine pena, nei cinque anni successivi alla remissione in libertà".

Per l’associazione Antigone occorre puntare sulle misure alternative alla detenzione: "I dati dimostrano che chi viene ammesso a questi benefici raramente commette nuovi reati. Se il disegno di legge di modifica della legge Gozzini, che prevede l’eliminazione di misure come la libertà anticipata, venisse approvato, dopo qualche mese vedremmo i detenuti sui tetti delle carceri a protestare".

Roberto Loddo ha detto...

Abolire l’ergastolo, la ragione profonda è nei principi supremi della Costituzione, di D.Gallo, Liberazione 10/10/06 PDF Stampa E-mail
l
Domenico Gallo
Con il nuovo clima politico istauratosi con la vittoria politica del centro-sinistra alle ultime elezioni, e grazie ai lavori della commissione per la riforma del codice penale presieduta da Giuliano Pisapia è divenuto attuale un progetto perseguito in più legislature, ma mai portato a termine: l’abolizione dell’ergastolo. Questo progetto è stato più volte fermato dalle gravi emergenze che hanno funestato la nostra vita pubblica ed è stato persino bloccato attraverso un referendum, improvvidamente proposto e svoltosi nel 1981 in piena stagione terroristica. Per evitare che il dibattito su una scelta di ordinamento penale che ha un così grande valore simbolico (e quindi politico) si areni nelle secche della banalità occorre comprendere le ragioni profonde che sono alla radice dell’esigenza di cancellare dal nostro ordinamento la pena perpetua. Al riguardo occorre tenere presente che l’ergastolo non è una pena assimilabile alla reclusione, ma è una pena da essa qualitativamente diversa, assai più assimilabile alla pena di morte che non a quella della privazione temporanea della libertà personale. La ragione profonda per la sua abolizione risiede nei principi supremi della Costituzione. Se l’ergastolo verrà abolito ciò avverrà perché sarà messo a frutto uno dei doni più preziosi del nostro ordinamento costituzionale: il principio personalista.

Si è molto dibattuto in dottrina e nella giurisprudenza ordinaria e costituzionale dei significati e del valore profondo di quel precetto costituzionale contenuto nel terzo comma dell’art. 27 della Costituzione, che recita: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».

Se la Corte costituzionale, con la sentenza n. 264 del 22 novembre 1974, con la quale ha respinto la questione di incostituzionalità dell’ergastolo, si è arrampicata sugli specchi di una tormentata concezione polifunzionale della pena, essa, tuttavia, non è sfuggita al paradosso (lucidamente segnalato da Luigi Ferrajoli) di una pena perpetua dichiarata costituzionalmente legittima nella misura in cui è, in realtà, non perpetua (poiché l’ergastolano può essere ammesso al beneficio delle libertà condizionale).

Il dibattito sull’abolizione dell’ergastolo, tuttavia, non può fermarsi al principio rieducativo della pena, se non si comprende la ragione per cui quel principio è stato posto. In realtà esso rappresenta un mero corollario di un principio più alto, il principio personalista, che informa di sé tutto l’edificio costituzionale ed ha trovato compiuta espressione soprattutto negli articoli 2 e 3 della Costituzione.

Alla radice di questo principio c’è il famoso ordine del giorno Dossetti (9 settembre 1946) presentato nei primi giorni di attività della 1ª Sottocommissione.

«La Sottocommissione, esaminate le possibili impostazioni sistematiche di una dichiarazione dei diritti dell’uomo; esclusa quella che si ispiri a una visione soltanto individualistica; esclusa quella che si ispiri a una visione totalitaria, la quale faccia risalire allo Stato l’attribuzione dei diritti dei singoli e delle comunità fondamentali; ritiene che la sola impostazione veramente conforme alle esigenze storiche, cui il nuovo statuto dell’Italia democratica deve soddisfare, è quella che: a) riconosca la precedenza sostanziale della persona umana (intesa nella completezza dei suoi valori e dei suoi bisogni non solo materiali, ma anche spirituali) rispetto allo Stato e la destinazione di questo a servizio di quella; b) riconosca ad un tempo la necessaria socialità di tutte le persone, le quali sono destinate a completarsi e perfezionarsi a vicenda, mediante una reciproca solidarietà economica e spirituale: anzitutto in varie comunità intermedie disposte secondo una naturale gradualità (comunità familiari, territoriali, professionali, religiose, ecc.), e quindi per tutto ciò in cui quelle comunità non bastino, nello Stato; c) che perciò affermi l’esistenza sia dei diritti fondamentali delle persone, sia dei diritti delle comunità anteriormente ad ogni concessione da parte dello Stato».

Sulla base di questo ordine del giorno è stato elaborato l’articolo 2 della Costituzione, la cui formula: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità» significa che la persona umana, nella sua concreta individualità sociale, è un valore storico-naturale, un valore originario, che l’ordinamento deve riconoscere e rispettare in ogni circostanza. Per questo i suoi diritti fondamentali sono “inviolabili”, non possono essere cancellati o manomessi dall’ordinamento, neppure con il procedimento di revisione costituzionale, né possono essere sacrificati sull’altare della ragione di Stato o per fini generali di politica criminale.

L’ergastolo, in quanto pena “eliminativa”, è in contraddizione con l’idea stessa della persona come fine, e quindi con l’essenza del principio personalista, radice profonda, gloria e vanto del nostro ordinamento costituzionale.

Don Ettore Cannavera, riflessioni da "La Collina"

L'Associazione 5 Novembre, ha intervistato Don Ettore Cannavera, fondatore della comunità di accoglienza "La Collina", rivolta a giovani-adulti, di età compresa tra i 18 ed i 25 anni, che vengono affidati dalla Magistratura di Sorveglianza come misura alternativa alla detenzione. Un interessante intervista sui temi della Giustizia, del Carcere, del precariato giovanile e della cultura della Solidarietà e dell'accoglienza.