giovedì 4 settembre 2008

Messina (Cnvg): così torniamo ai tempi delle rivolte nelle Carceri


Redattore Sociale - Dire, 4 settembre 2008


Le ultime cifre del Dap confermano la tendenza più volte segnalata: nel giro di 8 mesi i detenuti presenti nelle carceri italiane torneranno a quota 63 mila, cifra che porto all’indulto del 2006. Parla il presidente della Cnvg. Che le carceri stanno rapidamente tornando alla situazione che nel 2006 portò all’approvazione l’indulto è una cosa che la società civile va ripetendo da tempo attraverso analisi di cui questa agenzia ha già più volte dato conto.


Lo confermano anche gli ultimi dati del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) riportati questa mattina dal quotidiano "Repubblica", che parlano di 55.369 persone attualmente detenute nelle carceri italiani: un dato che letto in progressione vuol dire che nel giro di otto mesi si tornerà a superare il numero di 63mila detenuti, che nel 2006 portò a scegliere la via dell’indulto. Abbiamo chiesto a Claudio Messina, presidente dalla Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, cosa si può fare se si torna all’affollamento pre-indulto.


"Le risposte noi le avevamo già suggerite anni addietro - risponde Messina. - anche all’epoca dell’indulto che avevamo salutato con favore, anche se in linea di principio non siamo favorevoli a questo tipo di misure. Si tratta infatti di misure che sanano, ma se poi non si prendono provvedimenti torna tutto come prima". E invece, per il presidente della Conferenza Volontariato Giustizia, occorrerebbe una riforma come quella che il volontariato e la Commissione di studio per la riforma del codice penale Pisapia suggerivano quando ministro della Giustizia era ancora Clemente Mastella.


"Il carcere non rappresenta l’unica ratio, ma solo una misura estrema - chiarisce Messina - mentre esistono altri tipi di pena, come ad esempio quella prescrittiva e interdittiva. Per intenderci, se un amministratore ha fatto bancarotta fraudolenta non deve fare più l’amministratore per tutta la vita". Tra i suggerimenti del volontariato vi è poi la revisione di quelle leggi criminogene che hanno prodotto un aumento della carcerazione. "Basta pensare alla Bossi Fini, che viene di volta in volta aggravata, mentre noi sappiamo che la repressione non porta nulla e anzi ingigantisce i problemi senza risolverli. Oppure la legge Cirielli sulla recidiva: in carcere ci sono per la stragrande maggioranza delinquenti ‘incalliti’, per i quali la recidiva arriva a circa il 70%. Mentre per chi usufruisce delle misure alternative arriva a meno del 20%".


Nei due anni successivi all’indulto il carcere non è cambiato granché racconta Messina: "Io che faccio l’assistente volontario nel carcere di Porto Azzurro all’Isola d’Elba e conosco molte realtà posso dire che non è cambiato nulla, anzi la situazione si è addirittura inasprite. Siamo a una media di circa 1000-1200 ingressi ogni mese e se si riesce a tenere la situazione sotto controllo è solo grazie alla buona volontà degli operatori carcerari (istituzionali e volontari) e a questo nostro ordinamento giudiziario, che non è niente affatto da buttare".


Preoccupazione, invece, per le due proposte di legge presentate dal presidente della Commissione Giustizia del Senato, Filippo Berselli che mirano a ridimensionare drasticamente la legge Gozzini attraverso limitazioni e restrizioni. "Insomma - precisa il presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia - un giro di vite che, se risponde all’esigenza di soddisfare l’opinione pubblica, rischia di riportare la situazione indietro di trenta o quaranta anni quando nelle carceri scoppiavano continue rivolte. Mentre, l’obiettivo della riduzione della pena diminuisce le situazioni di tensione". E allora "se si mettono insieme tolleranza zero, certezza della pena e sovraffollamento delle carceri (per costruirne di nuove ci vorrebbero almeno dieci anni) è prevedibile una recrudescenza della violenza nelle carceri, che metterebbe a repentaglio il buon lavoro svolto fin qui dagli operatori".


In conclusione, spiega Messina, "il volontariato insiste sul fatto che se ci deve essere una revisione dell’ordinamento penitenziario deve essere migliorativa e non peggiorativa. Bisogna avere il coraggio di uscire dal vincolo del giustizialismo che l’opinione pubblica richiede: altrimenti si rischia di andare verso la situazione degli Usa, dove la percentuale dei detenuti sulla popolazione è dieci volte superiore a quella italiana: 1 a 100 contro il nostro 1 a 1.000".


(nell'immagine) Jeff Crouch - "Ballon Head"

7 commenti:

Roberto Loddo ha detto...

Cagliari: delegazione Pd visita il Centro accoglienza immigrati



Ristretti Orizzonti, 4 settembre 2008



Una delegazione di parlamentari del Pd sardo composta da Amalia Schirru, Guido Melis, Giulio Calvisi e Caterina Pes ha visitato questa mattina il centro di accoglienza e primo transito degli immigrati clandestini situato nell’aeroporto militare di Elmas.

Hanno accolto la delegazione la direttrice del centro, dott.ssa Danese; la responsabile del servizio immigrazione della Prefettura di Cagliari, dott.ssa Garau; il responsabile per la Questura, dottor Amat. La delegazione ha visitato per circa due ore e mezzo i locali, si è intrattenuta con gli operatori e ha incontrato gli ospiti stranieri del centro, che sono attualmente 134, dei quali 2 donne e 8 minori.

Le condizioni della struttura sono sembrate all’altezza degli standard previsti da altre strutture nazionali come centri di prima accoglienza (sistemi di vigilanza, kit da assegnare agli immigrati per il sostentamento durante i giorni di presenza nel centro, separazione fra uomini e donne, unità dei nuclei familiari, infermeria e assistenza medica, spazio mensa e servizi ricreativi) . Il sito (un’ex caserma) presenta requisiti logistici e funzionali in grado di sostenere per la prima accoglienza il flusso attuale di immigrati clandestini che sbarcano sulle coste della Sardegna. Vanno però sicuramente perfezionati i servizi per i richiedenti asilo, per permettere a coloro che intendono presentare domanda di asilo nel nostro paese di poterlo effettivamente fare; e vanno curati i servizi per i minori non accompagnati.

Il centro di Elmas, inaugurato il 4 giugno, oltre a corrispondere alle esigenze poste dagli sbarchi dei clandestini sulle coste sarde, ha dovuto ospitare in questa prima fase anche più di duecento richiedenti asilo in transito da altri centri italiani, assolvendo quindi a funzioni inizialmente non previste.

Si ritiene a questo proposito che per il futuro il Ministero dell’interno dovrebbe chiarire la reale natura del centro di Elmas, perché gli standard richiesti ed i servizi offerti nei centri per i richiedenti asilo sono molto diversi rispetto a quelli previsti nei centri di prima accoglienza.

I parlamentari sardi del PD, preso atto della situazione e apprezzata la professionalità degli operatori che, in base ad una specifica convenzione, gestiscono il centro, hanno garantito il loro impegno affinché nei prossimi mesi siano migliorati e ampliati da parte del Ministero i servizi oggi erogati agli ospiti e affinché, soprattutto, venga chiarita meglio per il futuro la funzione e la natura del centro stesso.

Roberto Loddo ha detto...

Diritti: Arcigay; l’intolleranza in aumento, anche nel carcere



Giornale di Calabria, 4 settembre 2008



"L’ennesimo grave episodio di stupro consumatosi nel carcere di Catanzaro ai danni di un detenuto, rappresenta ancora una volta sintomo di intolleranza e di odio nei confronti di un omosessuale, e suscita senso di profonda indignazione nella coscienza comune".

È quanto sostengono, in una nota, l’associazione dell’Arcigay "Eos Calabria" ed il Centro Women’s Studies Milly Villa dell’Università della Calabria. "La solidarietà nei confronti del giovane per la violenza subita e per le barbarie a cui è stato sottoposto in regime carcerario - è detto ancora nel comunicato - vuole andare ben oltre quelle parole, con un’azione tempestiva, incisiva e determinante volta al riscatto della sua identità violentata ed al rispetto delle sue condizioni di salute come quelle di tutte le altre persone che hanno avuto a che patire tali simili drammi".

Secondo le due associazioni, "crimini ed azioni di odio sono perpetuate continuamente e giornalmente nei confronti dei gruppi minoritari all’interno della nostra società. Un’ampia proporzione della nostra popolazione, e della popolazione mondiale, viene abusata, minacciata o assalita a causa della propria razza nazionalità gruppo etnico, religione o preferenza sessuale. La violenza nei confronti degli omosessuali, ovunque sia perpetuata, rappresenta un "crimine di odio".

Il fatto che poi tale violenza venga perpetuata all’interno delle strutture carcerarie rende la cosa estremamente più grave, essendo indice di una totale indifferenza, superficialità e di mancanza di interesse e da parte di chi quelle strutture le gestisce. Queste considerazioni hanno un’incidenza ancora di più amplificata. Ci sono categorie e luoghi per cui la sicurezza è un lusso".

"Ci attiveremo - conclude la nota - affinché vi sia uno specifico intervento legislativo per fermare non solo gli esecutori materiali dei crimini, ma anche tutti coloro che alimentano il retroterra culturale in cui si consumano delitti come questi, con particolare attenzione alla popolazione carceraria. Siamo pronti a costituirci parte civile in un eventuale processo contro coloro che si sono macchiati di questo ignobile delitto".

Roberto Loddo ha detto...

Droghe: alla fine erano "drogate" soprattutto… le statistiche

di Franco Marcomini



Il Manifesto, 4 settembre 2008



In riferimento al servizio apparso sul Manifesto in data 31/08/08, con il titolo "Sballo al volante, uno su due si fa" ritengo doveroso effettuare alcune osservazioni: nell’approfondimento viene riportato che su 80 controlli il 46,2% risultava positivo ad alcol e/o droghe, con netta prevalenza per l’alcol. Peccato che le cifre non siano quelle, come riporta correttamente ad esempio il quotidiano locale il Verona del primo settembre: "Drogate le cifre sui controlli, positivi sei autisti su cento".

Sempre nello stesso giornale vi è un’intervista con Pierpaolo Pani, presidente della Società Italiana Tossicodipendenze, che richiama con precisione la necessità di essere meno allarmisti e più concreti nell’incrementare sia i controlli che le azioni educative. Questo richiede certezza delle risorse, validità degli strumenti utilizzati e molto meno propaganda.

Ecco i fatti: sono stati fermate 576 persone e testate solo 80 con un criterio di discriminazione sconosciuto: di queste solo 37 erano intossicate, 37 su 576, circa il 6%. Questo gioco dei numeri non lascia molti dubbi sull’intera vicenda ed impone una riflessione critica che riaccenda il lume della ragione per disintossicarsi dalla droga mediatica dell’allarmismo.

Nell’intervista con Giovanni Serpelloni si ritrovano affermazioni poco chiare sul piano scientifico e generalizzazioni che creano un’opinione pubblica distorta e disposta a tollerare qualsiasi azione in nome del bene comune. Non è corretto fondare i programmi su grossolane imprecisioni scientifiche che non tengono conto o meglio volutamente ignorano che il rischio è relativo alla quantità, tipologia chimica e soprattutto a quanto tempo prima di mettersi alla guida le sostanze sono state assunte. Insomma, vogliamo essere sicuri che le persone non guidino sotto l’effetto di sostanze che alterano la coscienza o vogliamo punirli perché il giorno prima si sono fatti una canna? Il fine non può sempre giustificare i mezzi, soprattutto se generano falsità culturalmente fondative.



Franco Marcomini, Medico Sert

Comitato Scientifico Forum Droghe

Roberto Loddo ha detto...

Giustizia: Osapp; o si cambia, o presto carceri fuori controllo



Apcom, 4 settembre 2008



Le carceri sempre più sovraffollate, denuncia l’Osapp, Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria: in soli 15 giorni negli istituti di pena sono entrati 600 detenuti in più di quanti ne siano usciti.

Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, spiega: "Il totale presenze si attesta ora a quota 55.647, su una capienza regolamentare di 43mila unità. Il bilancio di un sovraffollamento che si avvicina sempre più alla soglia della tollerabilità".

Beneduci spiega che prima dell’estate si registravano circa mille reclusi in più ogni mese, mentre "adesso il flusso è raddoppiato", e questo - sottolinea l’Osapp - quando "prima di provvedimenti legislativi quali la legge Fini-Giovanardi, la Bossi-Fini o l’inasprimento della recidiva, il saldo dei mille detenuti in più era riferibile ad un intero anno solare".

Per il sindacato il rischio di rappresaglie e di faida all’interno delle carceri "è concreto ed elevato, soprattutto nel momento in cui il Ministro Alfano sembra guardare a tutto tranne che a quelli che sono gli effetti ultimi di una possibile Riforma della Giustizia in campo penale". Secondo il segretario dell’Osapp, "la discussione sulle carceri prende poco spazio al tavolo del confronto politico, attestandosi come argomento finale per il quale basta lo strapuntino del braccialetto elettronico". Mentre il braccialetto elettronico è "una misura che negli anni si è rivelata fallimentare, come fallimentare la sperimentazione che ne è seguita".

Il sindacato sottolinea che occorre guardare al sistema nel suo complesso per risolvere il problema carceri, e la vera questione da affrontare è principalmente la mancanza di una differenziazione efficace dei detenuti, in base alla gravità dei reati, ovvero la mancata attuazione dei c.d. circuiti penitenziari, "idea base questa per distinguere il trattamento come riabilitativo per il condannato".

In questo contesto, denuncia l’Osapp: "Il fenomeno delle aggressioni è peggiorato perché lo stesso fenomeno del sovraffollamento peggiora le condizioni di sicurezza, soprattutto quando si è in totale assenza di misure di protezione idonee per il personale di Polizia all’interno delle sezioni", inoltre "assistiamo ogni giorno all’assoluta mancanza di prescrizioni per quelle che sono le condizioni di salute dei luoghi di riparazione".

E "i piccoli incidenti del vivere quotidiano sono continui, e trasformano la ‘normale" esistenza in un’infernale espiazione aggiuntiva: come per il caso dei fornelli a gas utilizzati regolarmente in cella, veri e propri strumenti di morte o di aggressione nei confronti degli agenti in servizio".

"Invitiamo il ministro Alfano - conclude Beneduci - a non escludere nessuna iniziativa per i problemi che segnaliamo quotidianamente. Come agenti di Polizia Penitenziaria, i più titolati ad un dibattito per il quale si è esclusi a priori, sappiamo quello che accade quando si abbassa il livello di attenzione, soprattutto quando all’emergenza si risponde con idee che vanno soltanto in un’unica direzione".

Roberto Loddo ha detto...

Giustizia: Favero (Ristretti); applicare di più la legge Gozzini



Redattore Sociale - Dire, 4 settembre 2008



Parla il direttore di Ristretti Orizzonti: "Un terzo dei detenuti è dentro con pene bassissime. I nuovi pacchetti sicurezza stanno già portando in carcere gente che poteva chiedere l’affidamento ai servizi sociali".

"Il dato più recente è che in carcere attualmente ci sono 7.491 persone al di sotto di un anno di pena e oltre 11 mila che devono scontare una pena inferiore a 3 anni: quindi un terzo è dentro con pene bassissime. Si danno pochissime misure alternative e invece l’unica soluzione sarebbe applicare di più la legge Gozzini".

Così Ornella Favero, direttore di Ristretti Orizzonti, la rivista dal carcere e sul carcere, commenta i dati del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) diffusi oggi dal quotidiano "Repubblica" circa l’affollamento delle carceri italiane: 55.369 detenuti che entro otto mesi potrebbero tornare a quota 63mila, il tetto che nell’estate 2006 portò a imboccare la strada dell’indulto.

"Non ci sono soluzioni alternative all’ampliamento della legge Gozzini - ribadisce Favero. - I 42 mila posti regolamentari sono già stati abbondantemente superati. Al 30 giugno scorso le misure alternative erano solo 9.406 - prosegue - e gli ultimi pacchetti sicurezza porteranno più gente in carcere. Molte fattispecie di reato non possono più usufruire della legge Simeone Saraceni, che permetteva percorsi alternativi al carcere. Inoltre stanno già aumentando gli ingressi in carcere di persone che potevano chiedere l’affidamento ai servizi sociali".

Le speranze della società civile impegnata nella questione carcere nel frattempo sono state deluse. "Dall’indulto a oggi non è cambiato nulla: il lavoro è poco, l’accesso alle misure alternative è più difficile e si respira un clima più pesante". Insomma, conclude Ornella Favero, "bisognerebbe far capire che le misure alternative creano sicurezza. Nel senso che crea sicurezza mettere la gente fuori prima in un percorso controllate: non per essere liberi, ma per riabituarsi gradualmente alla libertà".

Roberto Loddo ha detto...

Diritti: le "ordinanze creative" non fermano la prostituzione

di Luigi Manconi



Il Sole 24 Ore, 4 settembre 2008



Il mercato del sesso assume connotati di schiavitù: intervenire sullo sfruttamento e riconsiderare l’ipotesi di quartieri a luci rosse.

La crescente sensibilità per il decoro urbano - spesso tradotta nella volontà di cancellare dalla vista il disagio sociale - e l’incontinente potere di ordinanza assegnato ai sindaci sta producendo effetti che oscillano tra il grottesco e l’intimidatorio.

Dal divieto di bere con la cannuccia a quello di camminare con gli zoccoli, dall’interdizione della raccolta di conchiglie in spiaggia fino alla proibizione di addentare un tramezzino in un parco: la toponomastica dei veti e delle inibizioni, per come si sviluppa lungo l’intero territorio nazionale, ci parla di una furia proibizionista e censoria delle amministrazioni pubbliche.

Una volta che questa tendenza si avvia, è difficile contenere la velleità e la vanità di sindaci e amministratori locali, incapaci di distinguere tra tutela del decoro urbano e ingerenza nella vita privata dei cittadini, tra esigenze di sicurezza e pretese di controllare, se non omologare, i comportamenti collettivi. Tra voglia di ordine e panico di fronte alla diversità.

Una tale vocazione a "disciplinare" la vita sociale non va considerata soltanto nei suoi aspetti più farseschi ed efferati (il divieto di poggiare i piedi sulle panchine e quello di costruire castelli di sabbia): quella stessa vocazione contribuisce a formare un senso comune che si diffonde, che crea consenso e che nutre un nuovo conformismo; e dal momento che può giovarsi di strumenti normativi e repressivi, può avere conseguenze tendenzialmente pericolose.

Per intenderci: il divieto di indossare zoccoli di legno è, evidentemente, tutt’altra cosa rispetto alle multe imposte ai clienti delle prostitute. Non c’è dubbio, infatti, che in numerose aree metropolitane la prostituzione di strada produca allarme sociale per più ragioni: perché porta con sé, in un numero rilevante di casi, consumo e spaccio di sostanze stupefacenti, perché determina situazioni di illegalità e presenza di aggregazioni criminali di varie dimensioni, perché contribuisce al degrado del territorio e perché, infine, offre uno "spettacolo sociale" che può risultare motivo di inquietudine. Non solo: nella prostituzione contemporanea è assai ampia la componente costituita da straniere minorenni.

Pertanto, non c’è il minimo dubbio che la situazione vada affrontata; moltissimi, invece, i dubbi sulle modalità con le quali attualmente lo si fa. La politica delle multe si rivela poco più che un espediente: attraverso quelle sanzioni, comminate per "intralcio al traffico" o altre motivazioni affini, tutte esterne al fatto in sé, si tenta di aggirare una normativa rigorosa, posta a tutela della possibilità di un libero commercio sessuale tra adulti consenzienti.

L’attribuzione ai sindaci del potere di ordinanza in materia di sicurezza urbana, prevista dal Dl 92/2008, pretende di ovviare a ciò, consentendo di colpire i clienti: la sosta in determinate zone dove viene esercitata la prostituzione, se vietata da un’ordinanza, può determinare le sanzioni previste dal reato di inosservanza dei provvedimenti della autorità.

Misure, come si è detto, che non intaccano in alcun modo le radici del fenomeno e nemmeno riescono a "ridurre i danni" che produce. E sembra confermata un’impostazione fallimentare che cataloga la prostituzione prevalentemente come problema morale, dunque da reprimere con provvedimenti che vorrebbero tutelare ciò che una volta veniva definito "il comune senso del pudore" e che, con linguaggio contemporaneo non meno goffo, viene assimilato al "decoro urbano".

E invece la prostituzione va considerata, innanzitutto, come fenomeno sociale dalle molte implicazioni giuridiche, sanitarie e criminali. Finora Parlamento e Governi se ne sono pervicacemente disinteressati, e proprio perché quell’impostazione "morale", sinora prevalente, ha sottoposto il tema alle tensioni e ai conflitti tra diverse ispirazioni religiose e ideologiche. Questo approccio andrebbe totalmente cambiato.

Proprio le trasformazioni conosciute dal mercato del sesso, e i suoi connotati di tratta consigliano di concentrare l’intervento penale sulle forme di sfruttamento della prostituzione, quando essa assume la natura di vera e propria coercizione. D’altra parte, il divieto di esercizio del la prostituzione in luoghi considerati "sensibili" può risultare opportuno e, soprattutto, efficace solo se accompagnato dall’indicazione di altri luoghi dove consentire quell’esercizio, a patto che si eviti la loro trasformazione in altrettanti ghetti.

Questo può portare alla creazione di veri e propri "quartieri a luci rosse"? La questione va sicuramente approfondita, ma non esclusa, perché - a determinate condizioni - potrebbe tradursi in una legalizzazione controllata, sottoposta a garanzie anche sanitarie (presidi medici, assistenza ai tossicodipendenti, disponibilità di profilattici e siringhe), di ciò che oggi è totalmente deregolamentato, abbandonato a sé stesso e destinato a sicuro degrado.

Sempre con riferimento alla componente straniera della prostituzione (spesso la più infelice e a rischio) va ricordato che, già con la legge Turco-Napolitano, si è prevista la possibilità di fornire permesso di soggiorno e programma di protezione alle prostitute che si vogliano sottrarre alla condizione di sfruttamento, denunciando i responsabili della tratta. È una strada assai importante perché può contribuire, insieme ad altri provvedimenti, a distinguere tra la prostituzione come attività (almeno parzialmente) autonoma e la prostituzione come attività coatta, e ad adottare, di conseguenza, strategie differenziate.

Infine, sarebbe il caso di guardare alle esperienze fatte in società non troppo dissimili dalla nostra, dove minore è il peso di tabù ideologici e pregiudizi confessionali, come quella tedesca: qui il "lavoro" di prostituzione è interamente legalizzato, il reddito che ne deriva è tassato, una parte di questa attività è autogestita da cooperative di prostitute, e i clienti non sono sottoposti ad alcuna forma di controllo. Sia chiaro: non è una soluzione miracolistica perché, anche in Germania, il perimetro della legalizzazione non arriva a contenere e controllare tutto il mercato del sesso.

Troppo vasto è quel mercato, e troppo, come dire, articolata e sfaccettata è la domanda (tanto complessa quanto l’animo umano e quanto spericolate le sue fantasie): e si creano zone grigie e doppi e tripli mercati. Ma, in ogni caso, si è sottratta alla clandestinità, e a ciò che comporta, una parte significativa del fenomeno, lo si è sottoposto a controllo e ad auto-controllo, e se ne sono contenute le conseguenze più dirompenti. Lo facessimo anche in Italia, non elimineremmo certo "i peccati dal mondo", ma forse potremmo ridurre una quota di sofferenza sociale.

Roberto Loddo ha detto...

Immigrazione: diritto di voto legittima chi lavora onestamente



Il Messaggero, 4 settembre 2008



Una scelta necessaria e conveniente. La comunità degli stranieri in Italia ha ormai superato i 3 milioni di persone e tende a crescere molto rapidamente, sia per i nuovi arrivi, sia perché dà luogo a nuove nascite (non eccessivamente ma proporzionalmente di più degli italiani).

È una comunità che lavora proficuamente producendo non soltanto oltre il 6 per cento del Prodotto interno lordo italiano, ma creando nuove imprese e creando posti di lavoro di cui direttamente e indirettamente si giovano anche i lavoratori italiani. In molte centinaia di migliaia hanno stipulato un mutuo e comprato casa, oltre che avviato moltissime attività commerciali. Su questa ricchezza prodotta pagano imposte e tasse così come i cittadini italiani; e come loro hanno bisogno di servizi e infrastrutture forniti anche dalle autorità locali. Tutti gli immigrati regolari sono iscritti al servizio sanitario e quindi ne fruiscono. I loro figli, per oltre mezzo milione, frequentano le scuole italiane.

Insomma gli immigrati sono ormai un elemento strutturale della popolazione, della società e della economia italiana. Senza di loro la nostra già debole economia collasserebbe, così come molte decine di ospedali sarebbero in straordinaria difficoltà senza infermieri e infermiere stranieri e lo sarebbero milioni di famiglie italiane senza la colf o la badante straniera. Non solo, ma una prudente proiezione dell’Istat valuta in oltre 8 milioni gli stranieri residenti in Italia al 2031 e in 10,7 milioni quelli al 2051, a fianco dei 50,9 milioni di persone di origine italiana. A quella data più di 1 persona su 6 sarebbe straniera o di origine straniera. In una tale situazione di presenza ormai significativa, di importante contributo al lavoro e alla ricchezza nazionale e locale, di continua interazione con il resto della popolazione e con le autorità amministrative e politiche solo una politica di integrazione può valorizzare la presenza straniera e arricchire i rapporti con la popolazione italiana.

Già la Convenzione di Strasburgo del 1992 invitava a concedere il voto per le amministrative agli stranieri e poi i diritti di elettorato attivo e passivo alle elezioni amministrative, a favore dei cittadini stranieri provenienti da Paesi non aderenti all’Unione europea, sono stati riconosciuti in vari paesi fra cui l’Irlanda (dal 1963), la Svezia (dal 1975), la Danimarca (dal 1981), l’Olanda (dal 1985), e alcuni altri.

A rendere assai difficile la vita degli stranieri residenti e lavoratori sono i continui sbarchi a Lampedusa e sulle altre coste italiane e la criminalità, piccola e grande, costituita dagli stranieri o che degli stranieri si giova, sicché i giornali sono pieni di questi eventi e la gente ne è giustamente preoccupata; ma ad essere non meno preoccupati sono proprio gli immigrati regolari che vedono ridottala importantissima questione migratoria a una questione di pura e continua emergenza. Gli sbarchi vanno contrastati in tutte le maniere possibili, e si spera che gli accordi con Gheddafi giovino realmente; la criminalità va contrastata con la polizia, con i servizi segreti e con accordi internazionali con le altre polizie.

Ma l’immigrazione regolare va sostenuta con processi di integrazione, fra cui anche con il voto alle amministrative, da noi già concesso a polacchi, rumeni e bulgari, cioè agli immigrati che provengono da paesi della Unione europea. L’estensione, magari con qualche limitazione, appare essere una questione di giusta e proficua equità.

Don Ettore Cannavera, riflessioni da "La Collina"

L'Associazione 5 Novembre, ha intervistato Don Ettore Cannavera, fondatore della comunità di accoglienza "La Collina", rivolta a giovani-adulti, di età compresa tra i 18 ed i 25 anni, che vengono affidati dalla Magistratura di Sorveglianza come misura alternativa alla detenzione. Un interessante intervista sui temi della Giustizia, del Carcere, del precariato giovanile e della cultura della Solidarietà e dell'accoglienza.