domenica 7 settembre 2008

Forlì: Cronaca della morte disumana di un cittadino detenuto

La Voce di Romagna, del 29 agosto 2008

Dramma in cella. Franco Paglioni, 44 anni, in carcere da pochi giorni, è morto il 25 agosto abbandonato alla sua malattia e tra le sue feci. I detenuti, compagni di cella, denunciano: "Una fine assurda, stava male, ma nessuno l’ha curato. Episodi come questi, non devono succedere Neanche i cani si abbandonano così, si curano. E lui era una persona".


Paglioni era entrato in via della Rocca il 21 agosto scorso per spaccio di droga. È morto tra le sue feci, dopo giorni di agonia e di richieste di aiuto cadute nel vuoto. È morto il 25 agosto in carcere, tra la rabbia e il disappunto dei compagni di cella. Una fine disumana, quella di Franco Paglioni, 44 anni, dentro per droga, tanto disumana da sollevare le proteste degli altri carcerati. Franco Paglioni era finito in carcere pochi giorni prima per spaccio. Stando al racconto dei compagni di cella, appena arrivato in via della Rocca, il detenuto è stato sottoposto ad una visita medica perché già accusava forti dolori.


"Stava talmente male - scrivono i detenuti dal carcere - che non poteva alzarsi dal letto e neppure mangiare. I suoi piatti rimanevano quindi pieni, e l’assistente di turno, anziché preoccuparsi, ordinava di mettere il cibo nuovo sopra a quello vecchio. In quei giorni di detenzione andava avanti solo a tè o camomilla, grazie ad un detenuto che ogni sera gli preparava gli infusi. Abbiamo chiesto più volte alle guardie di turno l’intervento urgente di un medico per Paglioni, ma nessuno si è mai visto e l’infermiere che è passato in sezione per la consegna della terapia per ben 2 volte (alle 20.30 del 24 sera e alle 7.30 del 25 agosto), non si è preoccupato neppure di chiamarlo nonostante l’uomo, perché è di questo che stiamo parlando, stesse già malissimo".


Franco Paglioni aveva problemi di droga. Era uno di quei detenuti che entrano ed escono dal carcere. L’ultimo arresto, risale al 21 agosto. Era uscito dal carcere con l’indulto e si pagava l’albergo con i soldi dello spaccio di eroina. Così è finito di nuovo in cella, con l’accusa di aver allestito un micro mercato di spaccio proprio nelle viuzze intorno alla Questura. L’uomo, già condannato per una serie di reati tra cui rapine e furti, era stato anche in comunità di recupero, poi era stato ospite di un amico col quale aveva litigato, fino ad alloggiare in un hotel del centro storico dove aveva l’obbligo di farsi trovare dalle 10 di sera fino alle 7 del mattino (era stato colpito da un provvedimento di restrizione della libertà). Obbligo che non rispettava, dando nell’occhio per i suoi continui contatti con tossicodipendenti del posto. Da qui, l’ennesimo ingresso nella casa circondariale forlivese di via della Rocca, dove nel giro di pochi giorni è deceduto.


"Il fondo è stato toccato la mattina del 25 agosto - lamentano i compagni detenuti che si firmano con nome e cognome -, quando il lavorante davanti alla cella ha fatto presente lo stato del Paglioni, riverso tra le sue feci. Noi tutti eravamo presenti. L’assistente di turno, l’ha visitato e, assieme ad un detenuto, l’ha portato sotto alla doccia, nonostante lo stato esamine in cui quel poveretto si trovava. Poi è stato riportato in cella. Quando finalmente è stato chiamato il dottore, era troppo tardi: ne ha potuto solo constatare il decesso. Noi vorremmo che una volta tanto, anche un detenuto riceva giustizia. Crediamo che una persona non debba e non possa essere lasciata morire così, come un cane. Anzi, se si lascia morire un cane si rischia fino a 6 mesi di carcere. Questa era una persona. Noi chiediamo giustizia non per noi, ma per Paglioni, perché vogliamo che fatti di questo genere non si debbano ripetere più per colpa del menefreghismo di chi ha l’obbligo invece di intervenire".


Telefonata senza risposta: la direttrice è fuori servizio

Abbiamo tentato di contattare la direttrice del carcere Rosalba Casella per avere delucidazioni sulla morte del detenuto e sulla denuncia scritta e firmata dai suoi compagni di cella. Ma la direttrice nel primo pomeriggio era fuori in servizio; per avere risposte bisogna aspettare lunedì prossimo. A nulla sono valse le nostre insistenze, né gli appelli alla moderna epoca dei cellulari che permettono di comunicare anche con chi si trova fuori sede.


Niente, La direttrice, sul caso della morte di Franco Paglioni, non può rispondere perché non è in servizio. Una morte, una vita, valgono forse il disturbo di una chiamata al cellulare anche fuori servizio. O forse, ci stiamo sbagliando noi. Forse non è così. Auspichiamo solo che le stesse risposte vengano girate, se non altro, a quei detenuti che impotenti l’hanno visto morire, nel totale abbandono e in mezzo alle sue feci.


(nell'immagine) Christian Wallpaper - "Abstract Balls"


1 commento:

Anonimo ha detto...

Consiglio Regionale della Sardegna

XIII LEGISLATURA

Gruppo P.R.C. - Partito della Rifondazione Comunista



Cagliari, 7 settembre 2008

"Il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura di Cagliari, è un servizio molto particolare e delicato. Nel senso che le persone che vi vengono ricoverate, volontariamente o con trattamento sanitario obbligatorio, presentano delle specificità che non si riscontrano in altri reparti ospedalieri. Con ciò voglio dire che è scontato che le persone che vi accedono presentino delle caratteristiche comportamentali in linea con lo stato di sofferenza mentale in cui versano in condizione di urgenza-emergenza". Lo ha affermato Paolo Pisu, consigliere regionale di Rifondazione Comunista, il quale ha aggiunto: "Gli operatori che vi lavorano sono anch’essi operatori con una specificità professionale differente da chi opera in altri reparti ospedalieri. Sono operatori della salute mentale e quindi in grado di affrontare le situazioni che di volta in volta possono presentarsi. Inoltre, il Servizio in questione, nel rispetto dei diritti costituzionali e delle norme sanitarie in vigore, deve operare in modo da garantire la migliore assistenza possibile, la riservatezza su tutto ciò che riguarda la vita del paziente in reparto e fuori dal reparto, il superamento della situazione di crisi". Pisu ha puntualizzato che è fuori discussione il fatto che il Servizio avesse un numero di posti letto oltre il consentito. "Lo denunciammo - ha ribadito - in periodi certamente non sospetti, così come allo stesso modo denunciammo le pratiche manicomiali di tale Servizio: contenzione, porte chiuse, regolamenti da carcere, sedazione massiccia, elettroshock, guardie giurate armate, videosorveglianza".

"Oggi mi pare che tutto ciò stia andando verso il superamento, grazie anche allo straordinario impegno portato avanti dall’Associazione dei familiari e dagli operatori più sensibili. Oggi ho potuto constatare che l’Assessorato alla Sanità e l’Azienda Sanitaria hanno posto la questione della salute mentale tra le principali priorità. L’arrivo stesso della Dott.ssa Giovanna Del Giudice alla guida del Dipartimento di Salute Mentale ne è una garanzia. Mi pare che sia una dimostrazione inequivocabile la riorganizzazione del Servizio e l’impegno profuso da tanti lavoratori che operano non solo nel Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura di Cagliari, ma anche nei Centri di Salute Mentale".

Il rappresentante del PRC ha inoltre sottolineato: "Cambiare il volto della psichiatria manicomiale umanizzando luoghi e pratiche mi pare un obiettivo al quale nessuno può pensare di non mirare. Mi chiedo, pertanto, qual è il senso della ricerca ossessiva, da parte dei media, ma anche da parte di illustri colleghi consiglieri, dell’atto che faccia scandalo (due giovani che amoreggiano nel giardino del Servizio); o dell’atto che dimostri la pericolosità dei “matti” (il pugno all’infermiere); o ancora l’incendio (già definito dai giornalisti di natura dolosa) in una stanza del Servizio prontamente spento dallo stesso personale. Cosa si vuole dimostrare? Che le persone quando stanno male possono darti un pugno in faccia, scappare, rifiutare le cure, prenderti a parolacce? Lo sappiamo. E lo sanno molto bene le famiglie che se ne occupano 24 ore su 24 tutti i giorni. Oppure si vuole dire che le persone che hanno un problema di sofferenza mentale devono essere trattate come i criminali? E quindi private di diritti, libertà, opportunità, affettività, speranza. Questo non onorerebbe né la stampa, né i rappresentanti del popolo sardo".

Don Ettore Cannavera, riflessioni da "La Collina"

L'Associazione 5 Novembre, ha intervistato Don Ettore Cannavera, fondatore della comunità di accoglienza "La Collina", rivolta a giovani-adulti, di età compresa tra i 18 ed i 25 anni, che vengono affidati dalla Magistratura di Sorveglianza come misura alternativa alla detenzione. Un interessante intervista sui temi della Giustizia, del Carcere, del precariato giovanile e della cultura della Solidarietà e dell'accoglienza.