L’Unione Sarda
di Paolo Loche
Ogni giorno a decine fanno la fila dall’alba per poter parlare coi familiari reclusi, ma spesso la loro attesa si protrae sino al pomeriggio. L’associazione “5 novembre” chiede l’immediata nomina del garante. “Ore e ore di snervante attesa in piedi sotto il sole o la pioggia prima di riuscire a entrare in una sala d’aspetto piccola, sporca e sempre affollata. È il calvario cui sono sottoposti i familiari dei detenuti ogni qualvolta decidono di recarsi a Buoncammino per far visita ai propri cari”. La denuncia è dei volontari dell’associazione “5 novembre” che ieri mattina hanno dato vita, a Palazzo Regio, a una manifestazione di protesta insieme a decine di familiari di detenuti ed ex detenuti. “Il carcere di Buoncammino rappresenta un vero e proprio inferno per i familiari delle persone recluse - sostiene il presidente dell’associazione, Roberto Loddo -, al di là della buona volontà e della disponibilità della direzione e degli operatori, il sistema dei colloqui è un disastro perché i familiari sono privi di qualsiasi assistenza”. L’orario di visita comincia alle 9, ma già alle 6 di fronte al carcere ci sono decine di persone in attesa. Quando le porte del penitenziario si spalancano si crea subito la ressa, perché all’interno possono accedere solo dodici persone alla volta. Il primo gruppo entra, gli altri restano fuori. Alla fine c’è chi deve attendere le quattro del pomeriggio per riuscire a parlare col proprio caro.
“Una situazione inaccettabile - incalza Loddo -, che si verifica solo a Cagliari. L’immagine degradante dei familiari stipati in una stanzetta prima di arrivare alla sala dei colloqui è indegna di un paese che si definisce civile”. I familiari si sentono le vittime innocenti di un sistema carcerario che non funziona e chiedono più attenzione sia nei loro confronti che, soprattutto, di chi sta dentro. “Dev’essere garantito a tutte queste persone - riprende Loddo -, il diritto di poter mantenere rapporti affettivi e sociali coi loro familiari reclusi in condizione di umanità e rispetto. Parallelamente bisogna intervenire all’interno del carcere per migliorare la qualità della detenzione che risulta terribilmente carente, soprattutto dal punto di vista dell’assistenza sanitaria”. Da qui la richiesta di istituire immediatamente un garante dei detenuti e dei loro familiari: “Buoncammino - conclude Loddo - è diventato un lager per tossicodipendenti, sofferenti psichici e malati in genere. Una situazione che può essere risolta solo applicando le misure alternative al carcere e attuando la riforma della sanità penitenziaria che a tutt’oggi resta lettera morta nonostante le ripetute promesse”.
Ogni lunedì l’incontro davanti al penitenziario
In attesa di istituire un comitato in grado di confrontarsi stabilmente con le istituzioni e le varie componenti interne del carcere di Buoncammino (in primis la direzione e la polizia penitenziaria), i familiari dei detenuti hanno deciso di riunirsi periodicamente di fronte all’ingresso del carcere per discutere di tutte le loro problematiche, denunciando le carenze e ogni eventuale sopruso. Si comincerà la settimana prossima e l’appuntamento diventerà fisso: ogni lunedì alle 15 nei giardinetti di viale Buoncammino. Il passo successivo sarà quello di pressare la Regione (con sit-in e cortei) per l’approvazione di una legge che istituisca il “garante regionale per i cittadini privati della libertà” che vigili e tuteli i diritti dei detenuti e dei loro familiari.
La figlia: non posso dare le medicine a mio padre
Ida Giua ha il padre in carcere ed è preoccupata per la sua salute. “Soffre di ulcera - spiega -, e ha bisogno di medicine. Il più delle volte le guardie mi vietano di consegnargliele e l’assistenza che riceve all’interno non mi sembra adeguata. Ho paura che possa peggiorare”. La giovane si reca a Buoncammino ogni settimana e considera il regolamento delle visite troppo rigido. “Possiamo colloquiare al massimo due volte a settimana per non più di un’ora. Possiamo scegliere di andare il giovedì oppure il lunedì e il sabato”. La perquisizione è d’obbligo e l’elenco degli oggetti che si possono consegnare è ferreo. “Perfino il pennello da barba è vietato, idem gli occhiali da vista”. Il risultato è che i detenuti devono acquistarli allo spaccio del carcere, “dove costano il triplo”. Un esempio? “Tre euro per una latta di pomodori pelati”. Il pacco preparato dai familiari non può superare i 5 chili e c’è un limite di 20 chili al mese. “D’inverno non so come fare, perché i maglioni pesano troppo. “A volte riesco a introdurre qualche oggetto in più. Ma è tutto affidato al caso”.
L’ex detenuto: anche otto persone in celle da quattro
Costantino Pirisi a Buoncammino c’è già stato e presto dovrà tornarci. “Sono in attesa di una sentenza esecutiva che mi rispedirà dentro”, rivela. “Per esperienza posso dire che all’interno i problemi sono causati soprattutto dal sovraffollamento. Buoncammino ha una capienza di 300-400 persone e invece ce ne mettono 500-600. Le celle ovviamente non si allargano, per cui i detenuti si ritrovano stipati e si arrivano ad avere anche gruppi di otto persone in celle da quattro”. Senza spazio e con poca aria non si può vivere e così la tensione sale alle stelle. “I detenuti sani si ritrovano in cella insieme a malati di tutti i tipi, inclusi tossicodipendenti e schizofrenici”. Il rapporto con la polizia penitenziaria è purtroppo conflittuale. “Tutti i giorni si verificano dei problemi”. Parallelamente all’esterno si registra il pesante disagio dei familiari. “Le perquisizioni vanno fatte, niente da dire. Ciò che non va bene sono le lunghissime attese sotto il sole o la pioggia. Alla fine si entra a gruppi in una saletta piccola e sporca dove non si può bere neanche un bicchiere d’acqua e si aspetta così di essere chiamati per il colloquio”.
1 commento:
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