di Riccardo Arena
www.radiocarcere.com, 30 aprile 2009
Il diritto di rifarsi una vita, dopo una condanna. Dritto sconosciuto in Italia. Soprattutto se riguarda detenuti ignoti, quelli non famosi per intenderci. Per loro l’essere stati condannati rimane, anche dopo aver scontato la pena, una macchia indelebile. "Sei un ex detenuto".
Un’etichetta permanente. Un marchio a vita. Non a caso i dormitori delle grandi città sono pieni di persone che, una volta uscite dal carcere, non riescono a rifarsi una vita con il lavoro proprio perché "ex detenuti". Persone che dalla galera, passano ad un’altra prigione. Quella dell’emarginazione.
Marco, 34 anni, è uno di loro. Marco ha passato 12 anni in carcere, perché condannato per omicidio preterintenzionale. Ventiduenne, Marco litiga con un ragazzo fuori da una discoteca. Marco colpisce con un pugno il suo rivale che cade a terra, sbatte la testa e muore. Marco viene arrestato, processato e condannato. Durante la carcerazione Marco è un detenuto esemplare. Si iscrive all’Università e riesce a laurearsi. Paga il suo debito con la giustizia e, dopo tanti anni, è finalmente libero.
Ma uscito dal carcere Marco non riesce a trovare lavoro. La risposta che riceve è sempre la stessa: "Non assumiamo un ex detenuto". La sua vita è ormai segnata. Finita. Oggi Marco è uno dei tanti ex carcerati che passa le notti nel dormitorio della stazione Termini a Roma e di giorno cerca inutilmente lavoro. Marco è solo un esempio di come da noi non sia consentito rimediare ad un errore. Ovvero di come sia negato il diritto di potersi rifare una vita dopo una condanna.
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