martedì 7 aprile 2009

nelle carceri più detenuti ora che prima dell’indulto


di Donatella Stasio

Il Sole 24 Ore, 6 aprile 2009


Record di detenuti, dal dopoguerra: a fine marzo se ne contavano 61.057 (prima dell’indulto erano 60.710), 18mila in più dei posti regolamentari. E il 7 giugno, di questo passo, sfonderanno la soglia "tollerabile". Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, in America per un confronto anche sul sistema carceri, rilancia la costruzione di nuovi istituti; ma negli Usa, complice la crisi, contro il sovraffollamento si punta su misure alternative. Il 7 giugno sarà il giorno del big bang delle carceri: se il numero dei detenuti continuerà a crescere come nell’ultimo anno - circa 1.000 al mese - quel giorno sarà sfondato il tetto della "tollerabilità" delle nostre prigioni. Che già oggi, peraltro, ospitano 18mila carcerati più dei 43.177 posti disponibili regolamentari. Alla fine di marzo è stato raggiunto il record delle presenze dal dopoguerra o, quanto meno, dai tempi dell’amnistia di Togliatti: nei 206 istituti penitenziari italiani si contavano infatti 61.057 reclusi (58.411 uomini e 2.646 donne), ben più di quanti ce n’erano alla fine di luglio del 2006 (60.710), quando fu varata dal Parlamento la legge sull’indulto che, in un solo mese, ridusse a 38.847 gli abitanti delle patrie galere. Da allora, la politica di carcerizzazione sponsorizzata in nome della sicurezza - nonostante il calo dei reati - ha nuovamente riempito le prigioni, soprattutto di stranieri (il 38%, ma il trend è in crescita) e di tossicodipendenti (il 27%).


L’emergenza è reale ed era stata prevista già un anno fa in una Relazione del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Dap) nella quale si segnalava, tra l’altro, la prospettiva di toccare, entro il 2009, quota 70mila detenuti e si indicava, come via maestra, quella dei "circuiti differenziati", previsti dall’ordinamento penitenziario ma rimasti, di fatto, lettera morta (salvo per i detenuti più pericolosi). La proposta è stata ripresa dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, anche se il Governo (deciso a non rinunciare alla politica della "tolleranza zero") punta soprattutto sulla costruzione di nuove carceri. Perciò ha affidato al capo del Dap, Franco Ionta, il compito di predisporre un "piano", che sarà presentato il 2 maggio e che prevede, tra l’altro, la dismissione di una serie di istituti medio-piccoli nonché la costruzione di nuove strutture o l’ampliamento di alcune già esistenti, con il coinvolgimento di privati. Al Dap sono al lavoro per individuare le "esigenze di ricettività", cioè dove, di quanto e come aumentare gli spazi, nonché i costi e le disponibilità finanziarie (il sistema carceri costa, all’anno, 3 miliardi di euro ma ha un bilancio costantemente in rosso). La "differenziazione dei circuiti" (che potrebbe farsi anche a bocce ferme) non è, al momento, all’ordine del giorno.


Nella settimana che si è appena conclusa, Alfano è stato negli Usa anche per "confrontarsi" sul sistema carcerario (costi, metodologie, differenze di trattamento dei detenuti). Venerdì ha visitato il Metropolitan Correctional Center di New York (la prigione sulla punta sud di Manhattan dov’è stato rinchiuso anche il finanziere Madoff) e ha ribadito l’intenzione di voler "usare al meglio i circuiti differenziati", per consentire "ai condannati di scontare la pena con i condannati, agli imputati di stare con gli imputati e ai pericolosi di essere rinchiusi con gli altri pericolosi ma, a chi non lo è, di entrare in un circuito di riabilitazione". Ha poi insistito sul "piano carceri", il cui fabbisogno non sarà interamente a carico dello Stato ma avrà un contributo di capitale privato. I tempi per la realizzazione del "piano" non saranno brevi. Nel frattempo, le carceri scoppiano, aumenta l’aggressività verso i poliziotti da parte dei detenuti, esasperati per le condizioni di invivibilità delle prigioni, aumentano gli atti di autolesionismo e i suicidi (19 nei primi tre mesi del 2009, di cui 10 nel solo mese di marzo). I sindacati della polizia penitenziaria protestano, anche perché mancano all’appello 5mila agenti da assumere, senza i quali non si possono utilizzare i posti disponibili già esistenti. Nel carcere milanese di Bollate, ad esempio, sono appena arrivati 50 detenuti sfollati da Opera e San Vittore e una ventina di poliziotti; i posti disponibili sarebbero 400, ma poiché non si trovano gli agenti, resteranno vuoti.

Sistema carcerario da ripensare

Il sovraffollamento delle carceri ha toccato in Italia la punta massima dai tempi del dopoguerra. A fine marzo, i detenuti erano 61.057, ben più di quanti erano prima dell’indulto. Diciottomila oltre i posti regolamentari. E il 7 giugno sfonderanno la soglia "tollerabile" delle patrie galere. Accade proprio nei giorni in cui il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, si trova negli Stati uniti per confrontarsi anche sul sistema delle prigioni. Gli americani ne sanno qualcosa di sovraffollamento. Negli ultimi trent’anni, la politica penale e penitenziaria statunitense, ispirata alla "tolleranza zero", ha fatto decuplicare la popolazione carceraria, senza incidere in modo significativo sulla recidiva e con costi elevatissimi, sottraendo risorse ad altri settori come l’occupazione, l’istruzione, la sanità. L’America guida la classifica con il maggior numero di detenuti, in assoluto (2 milioni e 200mila, più 5 milioni di persone in libertà condizionata) e in rapporto alla popolazione (uno ogni 100 abitanti). Complice la crisi economica, gli americani si stanno però convincendo che è arrivato il momento di cambiare politica, penale e penitenziaria: non costruiscono più carceri, chiudono alcune di quelle esistenti, puntano sulle misure alternative alla detenzione, che costano meno e producono più sicurezza. Una svolta, segnalata a più riprese, nei giorni scorsi, dal New York Times.


Per l’Italia viene meno quello che, per decenni, è stato un modello di riferimento. Come in Francia e in Gran Bretagna, anche l’Italia si è infatti ispirata alla "tolleranza zero", soprattutto con le leggi sugli immigrati, sulla droga e sulla recidiva, riempiendo le carceri di persone che appartengono agli strati più bassi della popolazione, soprattutto di stranieri (38%) e tossicodipendenti (27%). La popolazione detenuta cresce al ritmo di 1000 al mese, le carceri scoppiano e diventano sempre di più criminogene e patogene. "Siamo fuori dalla Costituzione", ha ammesso nelle scorse settimane Alfano. Ma, a differenza dell’amico americano, il Governo Berlusconi non intende rinunciare alla politica del pugno di ferro e della carcerizzazione a oltranza, anche se le statistiche rivelano che la criminalità è in diminuzione. Piuttosto, preferisce costruire nuove prigioni: come, dove, con quali soldi e con quale personale è tutto da vedere. Il 2 maggio, quando verrà presentato il "piano carceri", lo scopriremo. Certo è che la crisi si fa sentire anche in Italia, dove il sistema penitenziario costa 3 miliardi di euro l’anno, nonostante le condizioni pietose in cui versa, mancano all’appello 5mila poliziotti, non ci sono educatori e il bilancio è perennemente in rosso. I soldi, insomma, non ci sono o scarseggiano e i tempi per la costruzione di nuove strutture o per l’ampliamento di quelle esistenti, per quanto rapidi, non riusciranno mai a tenere il passo con l’aumento vertiginoso dei detenuti. Né sarà il capitale privato, ammesso che si trovi, a risolvere rapidamente questi problemi. E poi: a che serve aprire nuove prigioni se non ci sono poliziotti e educatori? Una soluzione ci sarebbe: anche in Italia le statistiche dicono che conviene di più - ai fini della sicurezza collettiva - far scontare la pena con misure alternative al carcere piuttosto che chiusi a quattro mandate dentro una cella. Nel primo caso la recidiva è del 19%, nel secondo sale al 69%. Non solo: si calcola che la diminuzione di un solo punto percentuale della recidiva corrisponde a un risparmio, per la collettività, di circa 51 milioni di euro all’anno a livello nazionale. In tempi di crisi, non è poca cosa.

3 commenti:

Roberto Loddo ha detto...

Lettere: C.D.T. di Secondigliano; qui moriamo nell’indifferenza



Ristretti Orizzonti, 6 aprile 2009



Ci domandiamo spesso, tutti i giorni, come fare ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sui nostri gravi problemi… a volte le risposte sono scontate: cioè nessuno ci considera perché siamo detenuti. Quindi in difetto a prescindere.

Ma qui non stiamo parlando di sentenze sbagliate o di errori di giustizia né di innocenza o di colpevolezza rispetto a questo o quello che ognuno di "noi" ha commesso; qui si tratta di diritti e doveri.. perché noi rispettiamo i nostri doveri, e nessuno si accorge che i nostri diritti vengono continuamente ignorati!

Siamo d’accordo per la certezza della pena per quelli che commettono orrori come violenze sessuali, pedofilia e morti senza senso. Ma pensiamo che il "Diritto alla vita" sia sacrosanto.

Il diritto alla vita e l’ipocrisia di farci credere nella famosa frase: "La legge è uguale per tutti".

Purtroppo tutti i giorni ci accorgiamo, con i vari fatti di cronaca, che non sempre quella famosa frase, si rispetti alla lettera. Quindi lasciatecelo gridare questo nostro diritto alla vita, fra tutte le bugie alle quali dobbiamo soccombere quotidianamente, cercando disperatamente di sopravvivere in questo Centro Diagnostico Terapeutico.

Dovete sapere che in questo reparto creato appositamente per noi malati terminali (ma detenuti) non esiste purtroppo nessun tipo di considerazione umana, qui i vari Dottori che dovrebbero assisterci nelle nostre cure e prepararci anche psicologicamente ad una fine meno dolorosa, forse non ricordano nemmeno il nome di Ippocrate al quale hanno giurato all’inizio della loro carriera.

I nostri problemi e richieste di aiuto passano inosservate e ignorate senza mai avere risposta. Le problematiche sono molteplici, a partire dalle nostre patologie, che spesso non hanno soluzione, ma, anche se questo è un problema al quale non c’è rimedio, noi pensiamo e proponiamo ogni giorno che esiste un modo per garantirci maggiore vivibilità, rispettando il nostro diritto alla vita, è forse chiedere troppo?

Ci si mobilita per i diritti del Tibet, per le moratorie contro la pena di morte, per le balene e anche per tenere in vita quelli che vivi non lo sono già più (vedi il caso di Eluana), speriamo che qualcuno di voi trovi la forza e decida di darci un segno, una risposta, una parola o quantomeno un po’ di considerazione, non lasciateci morire nell’indifferenza.

Ebbene si, nella nostra Italia e più precisamente a Napoli nel carcere di Secondigliano nel reparto del C.D.T. al 4° piano ci sono 18 uomini (malati terminali) ma esseri umani, persone anche se detenute che ogni giorno lottano per sopravvivere nella più totale indifferenza, dove una diagnosi vera e propria per le nostre patologie non esiste, ma qualcuno si ostina a dire che qui ci curano, che questo è un centro clinico idoneo per noi malati con patologie che vanno dai tumori all’aids in fase terminale, dall’epatite alle cirrosi epatiche.

Insomma come dire, siamo stanchi di aspettare che altri come noi finiscano in questo squallore dove non esiste igiene, dividiamo le celle con zecche e scarafaggi e insetti di ogni tipo, costretti a cucinarci a nostre spese, (perché il vitto è insufficiente e poco commestibile) e se non bastasse spesso e volentieri mancano i farmaci di prima necessità e i così detti salvavita che ci dobbiamo procurare facendoceli spedire dai nostri familiari (sempre a nostre spese). Chiediamo aiuto a qualcuno di competenza che ascolti questo nostro grido di dolore e che venga a verificare (magari a sorpresa in modo tale da non permettere ai signori della Penitenziaria di preparare una facciata per l’occasione) le nostre precarie condizioni dove la qualità della vita è rimasta purtroppo fuori dal muro… insieme a tutti i nostri diritti di malati e ancora prima di esseri umani.



18 detenuti del Centro Diagnostico Terapeutico

del carcere di Secondigliano

Roberto Loddo ha detto...

Lettere: ho l’Aids e sono in carcere, per una sentenza del 1993



Ristretti Orizzonti, 6 aprile 2009



Sono un uomo di 42 anni e in passato purtroppo ho fatto cose e commesso reati di cui oggi mi pento amaramente, quando credevo di avere chiuso "definitivamente con il mio passato ed avevo cercato di ristrutturare la mia vita impegnandomi con tanta buona volontà lavorando onestamente e riscoprendo tutti gli affetti di cui avevo perso la conoscenza, quando tutto sembrava andare per il verso giusto e la mia vita avere preso una giusta direzione, serena e felice ecco che improvvisamente riappare alla porta quel passato che sembrava lontano.

Si è presentato con una condanna da scontare in carcere e inverosimilmente la stessa condanna che mi era stata sospesa anni prima "grazie" e a causa di una grave patologia dalla quale sono affetto. Secondo voi, è giusto che un uomo dopo avere lottato per dimostrare alla legge, che nonostante un passato "burrascoso", quali possono essere le conseguenze di anni di tossicodipendenza, è riuscito a reinserirsi socialmente lavorando e cercando di ricostruirsi una famiglia, venga di punto in bianco, improvvisamente allontanato e rinchiuso in un carcere a più di 600 chilometri di distanza dalla sua attuale residenza? Senza avere più quelle cure mediche e quelle attenzioni particolari della famiglia che riuscivano a mantenerlo in vita, senza pensare a questa terribile malattia che è l’aids? Ebbene sì!

Questo è quanto mi sta succedendo da quasi due anni, difatti, dal novembre 2006 sono stato arrestato per scontare un residuo di pena che risale ad una sentenza emessa nel lontano 1993. Senza tenere conto, appunto, che dall’epoca dei fatti, la mia vita era totalmente cambiata. E come se non bastasse a distruggere tutto quello che di buono ero riuscito a creare, per di più sono stato trasferito in un carcere di Napoli, lontano da tutti i miei cari, con le molteplici conseguenze che questo comporta e cioè:la difficoltà di vederli regolarmente al colloquio.

Come dicevo, c’è da considerare, cosa che non hanno fatto i "signori" della legge, il fatto che sono gravemente malato di aids con molte patologie correlate che mi provocano non pochi problemi di sopravvivenza e di depressione. Mi trovo rinchiuso nel carcere di Secondigliano, che letto così, sulla carta risulta essere un centro attrezzato per assistere i pazienti di questa stramaledetta patologia e invece, purtroppo per me e per tutti gli altri detenuti, viviamo, sopravviviamo in condizioni a dir poco disumane.

Il famoso monitoraggio e la necessaria assistenza medica della quale abbiamo disperatamente bisogno, qui non esiste. Siamo mischiati come bestie malate con l’elevatissimo rischio di contrarre nuove infezioni e patologie; qui purtroppo l’igiene è rimasta fuori dal muro, difatti, più che un centro clinico, questo sembra una discarica comunale; dobbiamo procurarci noi a nostre spese i vari prodotti disinfettanti per cercare di tenere pulita la cella, ma non possiamo certo fare miracoli contro la ruggine e le costanti perdite d’acqua dai tubi rotti dei sanitari.

Da non sottovalutare poi c’è la questione dell’alimentazione, il vitto che per noi malati di fegato dovrebbe essere particolarmente curato... e invece... credo che voi non potreste nemmeno immaginare cosa riescono a prepararci da mangiare; se non fosse per i tanti soldi che spendiamo per fare la spesa e cucinare da soli, credo proprio che sarei già morto se avessi dovuto mangiare quelle porcherie che nemmeno i cani che stanno sotto le nostre finestre riescono a mandare giù.

Se poi volessi allungare la lista delle cose che non funzionano, ci sarebbe da dire che qui non esiste nessun tipo di attività, un corso, una scuola, ne tanto meno un sostegno psicologico, che in qualche modo dovrebbe prepararci ad una fine più dignitosa di questa che ci si sta presentando all’interno di questo carcere.

D’accordo con la certezza della pena, ma almeno ci dessero il diritto che abbiamo ad essere curati e che qui dentro ci vediamo negato in continuazione. E quanto dico mi è successo in più di tre occasioni dove appunto sarei dovuto essere trasferito in un ospedale esterno (civile) per ricevere delle cure specialistiche, ma nonostante il permesso del Magistrato di sorveglianza di Napoli che autorizzava il mio trasporto in ospedale, visita e cura non venivano effettuate perché i signori della Polizia Penitenziaria non si erano organizzati con la scorta per accompagnarmi, procurandomi così, se possibile, un ulteriore peggioramento e come se non bastasse, anche all’interno di questo Cat di Secondigliano succedono cose e fatti piuttosto insoliti come ad esempio: la sparizione di referti medici, di analisi fatte, addirittura di radiografie.

A questo punto, secondo voi, vorrei sapere chi è colui che si ostina ancora oggi a chiamare questo posto indefinibile: Centro Diagnostico Terapeutico, dove si riscontra giornalmente un degrado costante di una situazione diventata oramai insostenibile. Non lasciate che il pregiudizio vi porti a giudicare tutti alla stessa maniera, c’è anche chi non merita tutto questo, perché ancora crede e spera che la sua vita, un giorno (non troppo lontano) possa ancora cambiare!



Spartaco Ambrosio

Centro Diagnostico Terapeutico di Secondigliano

Roberto Loddo ha detto...

Lazio: il Garante; il sovraffollamento, è una emergenza sociale



Ansa, 6 aprile 2009



Continua a salire il numero dei detenuti reclusi nelle carceri italiane: secondo i dati del Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria (Dap), al 31 marzo i reclusi in tutta Italia hanno sfondato la soglia dei 61.057, 58.411 uomini e 2.646 donne, oltre 18.000 in più di quanto consentirebbe la capienza regolamentare di 43.177 posti.

Lo rende noto il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, coordinatore della Conferenza Nazionale dei Garanti, spiegando che nel Lazio, in particolare, i detenuti reclusi sono 5.537 (5.099 uomini e 438 donne), a fronte di una capienza regolamentare di 4.449 posti. La maggior parte è reclusa a Rebibbia (1.465), seguono Regina Coeli (863), Viterbo (663) e Civitavecchia (501).

Secondo Marroni, le cifre dicono che anche nel Lazio c’è un’emergenza sovraffollamento: "I confronti si fanno con i detenuti presenti e i posti regolamentari: quello della capienza tollerata, che si ottiene aggiungendo letti nelle celle e riducendo gli spazi, è un dato che non dovrebbe essere preso in considerazione".

"Non sono contrario all’idea del governo di costruire nuove carceri, se queste andassero a sostituire quelle davvero fatiscenti. Il fatto - ha spiegato - è che per problemi diversi, il primo dei quali è la carenza di personale, ci sono strutture moderne sotto utilizzate e carceri nuove di zecca chiuse, come l’Istituto di Rieti, che potrebbe essere una valvola di sfogo per il sistema penitenziario del Lazio.

Una situazione del genere è una palese violazione della norma costituzionale secondo cui la pena deve punire, ma anche rieducare. Nelle ultime settimane abbiamo contato un suicidio nel carcere di Velletri, uno a Viterbo ed un tentato suicidio a Rebibbia. Un carcere così - ha concluso - è una vera e propria emergenza sociale".

Quanto alle presenze effettive dei detenuti nelle altre carceri del Lazio, secondo i dati forniti dal Garante Angiolo Marroni, a Cassino ci sono 219 detenuti, 449 a Frosinone, 169 a Latina, 42 a Paliano, 46 a Rieti, 335 a Rebibbia Reclusione, 358 a Rebibbia Femminile, 30 a Rebibbia III Casa, 363 a Velletri. Quasi ovunque le presenze superano la capienza effettiva.

Don Ettore Cannavera, riflessioni da "La Collina"

L'Associazione 5 Novembre, ha intervistato Don Ettore Cannavera, fondatore della comunità di accoglienza "La Collina", rivolta a giovani-adulti, di età compresa tra i 18 ed i 25 anni, che vengono affidati dalla Magistratura di Sorveglianza come misura alternativa alla detenzione. Un interessante intervista sui temi della Giustizia, del Carcere, del precariato giovanile e della cultura della Solidarietà e dell'accoglienza.