martedì 7 ottobre 2008

ddl sulle detenute madri presentato in Parlamento


Adnkronos, 6 ottobre 2008


Approda in Parlamento un nuovo disegno di legge a tutela dei figli delle madri detenute costretti per un ingiusto destino alla prigionia forzata. Il nuovo testo che ricalca la proposta di legge presentata nella scorsa legislatura dall’on. Enrico Buemi porta ora la firma dei senatori del Pd Donatella Poretti e Marco Perduca e mira alla la realizzazione di case-famiglia protette, o l’individuazione di strutture analoghe. Tra i punti cardine del testo, la previsione che la madre detenuta potrà accompagnare il figlio al pronto soccorso o in ospedale quando ne abbia bisogno. Un diritto che appare scontato, soprattutto perché riguarda i piccoli che non abbiano varcato la soglia del terzo anno d’età. Per una migliore tutela della sfera psico-affettiva e dello sviluppo del bambino, inoltre, si stabilisce un nuovo limite di età del figlio, ossia dieci anni anziché tre, per la convivenza con la madre in custodia cautelare o in esecuzione della pena presso una casa-famiglia protetta.


Nel ddl, costituito da sei articoli, viene poi affidata al Giudice la discrezionalità per estendere, a seconda dei singoli casi, questi provvedimenti anche alle madri di figli con più di dieci anni. Più diritti inoltre per i figli di detenute straniere: si prevede, nell’ottica di ricongiungere e assicurare continuità nella formazione del bambino, un permesso di soggiorno per i piccoli. Tutte misure dunque che vogliono cancellare l’impatto traumatico dei piccoli con l’ambiente carcerario. Ma "non sempre si tratta di un trauma" e spesso con il "recupero del minore si può arrivare anche a quello della madre", spiega all’Adnkronos lo psicanalista Francisco Mele, che ha lavorato in Argentina in ospedali psichiatrici e istituzioni minorili e che è stato a contatto con il fenomeno delle madri detenute. Mele, che dirige il Settore Terapia Familiare del Ceis ed è docente di Sociologia della Famiglia e di Pedagogia della devianza e dell’emarginazione minorile presso l’Istituto "Progetto Uomo", sottolinea come in certi contesti delinquenziali in cui cresce il bambino l’impatto con il carcere sia diverso.


Premettendo la positività del nuovo ddl perché tutto ciò che "riguardi il bene del minore è da appoggiare", Mele sottolinea che però "occorre vedere per quale ragione la madre sia finita in carcere. È sicuramente riscontrabile un trauma nel minore quando il contesto familiare in cui viveva era sano e tranquillo" e la madre è finita in carcere per "un incidente di percorso". "Diverso è invece il discorso - spiega lo psicanalista - per i bimbi nati in un contesto delinquenziale dove la criminalità organizzata, il furto e altri reati fanno da padroni e sono la normalità". Dunque, diversi sono i modelli a cui si ispirano i piccoli, diversa è la reazione e l’incidenza nella sfera psico-affettiva. Particolarmente positiva è per Mele la previsione dell’allungamento del limite d’età del minore da 3 a 10 anni, perché attraverso un lavoro di tipo educativo e psicologico del piccolo nel contesto familiare si può aiutare la madre a cambiare.


"Da una parte - spiega l’esperto - si rinforza il sistema psico-emotivo del bimbo e dall’altra si cerca di cambiare il sistema morale di certe famiglie". Inoltre, ribadisce Mele, occorre differenziare ogni madre: "la madre infanticida - aggiunge - come fa ad accudire un figlio? Lì si deve intervenire psicologicamente. Si tratta di un lavoro terapeutico che agisce sulle emozioni perché spesso non siamo educati a gestirle. E attraverso il bimbo ci può essere il recupero anche della madre". C’è infine un ultimo punto importante da affrontare, precisa lo psicanalista: La giustizia - conclude Mele - rappresenta il "Terzo" e molti bambini crescono nella convinzione che il giudice è cattivo perché ha punito ingiustamente la madre e quindi si costruiscono un’idea sbagliata di giustizia. È proprio sul limite tra giustizia e ingiustizia che si deve lavorare per insegnare ai piccoli i giusti valori.


Sono una settantina i bambini di età inferiore a tre anni, che insieme alle loro madri vivono nelle carceri italiane. Figli di donne detenute in attesa di giudizio o in esecuzione di pena, che sono costretti a restare dietro le sbarre a causa delle norme adottate per evitare il dramma della separazione tra madre detenuta e figlio in tenera età. Dai dati del V Rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia, a cura dell’Associazione Antigone e presentato a Roma a luglio scorso, sarebbero 2.385 le donne detenute, 68 delle quali madri, e 70 i bambini di età inferiore ai tre anni reclusi con le mamme; mentre altre 23 donne detenute, al momento, risultavano in gravidanza.


In Europa sono 800.000 i bambini figli di genitori detenuti, 43.000 gli italiani. Gli istituti penitenziari dedicati esclusivamente alla popolazione femminile sparsi per l’Italia sono 7 e 62 le sezioni femminili situate in istituti penitenziari maschili. Le donne sul totale della popolazione carceraria incidono nei termini del 4 - 5% e di queste il 43% è rappresentato da donne straniere. La maggior parte delle donne finisce in carcere per reati come il furto, lo spaccio di sostanze stupefacenti, infrazioni della legge penale legate allo sfruttamento della prostituzione. Le nomadi vengono incarcerate soprattutto per piccoli furti e per ragioni legate al loro stile di vita hanno difficoltà ad ottenere misure alternative al carcere, le stesse che incontrano le detenute italiane i cui reati sono legati al mondo della tossicodipendenza e per i quali è alta la recidiva.


È stata la legge 40 del 2001, riguardante le misure alternative alla detenzione "a tutela del rapporto tra detenute e figli minori", voluta dall’allora Ministro per le Pari Opportunità Anna Finocchiaro, a indicare per prima come evitare la detenzione in carcere a donne con figli minori di 10 anni. Tutte le detenute, anche se hanno commesso reati gravi, possono oggi usufruire del provvedimento ad alcune condizioni: aver scontato un terzo della pena e, nei casi di ergastolo, aver scontato almeno 15 anni.

Per essere ammesse alle misure, non ci deve essere pericolo di commettere ulteriori delitti, condizione che mal si adatta a reati connessi all’uso di sostanze stupefacenti e alla prostituzione, che tipicamente presentano un alto tasso di recidiva e per cui sono incriminate la maggior parte delle detenute-madri. La normativa inoltre è stata spesso disapplicata dai giudici e presenta limiti di accesso ai benefici soprattutto per chi è in attesa di giudizio.


Le mamme straniere, in particolare, non avendo spesso un’abitazione dove scontare gli arresti domiciliari, sono costrette a tenere i bimbi in strutture di detenzione fino al compimento dei tre anni, quindi soffrire dell’ulteriore trauma della separazione. La "legge Finocchiaro", è stata però solo un punto di partenza. "La coabitazione dei bambini nei luoghi di pena - si spiega nel nuovo ddl - travalica qualsivoglia ragionamento giuridico o posizione ideologica, e rappresenta un’aberrazione da cancellare. È consolidato in letteratura l’orientamento che, per lo sviluppo psicologico del bambino, il rapporto madre-figlio sia di primaria importanza. Privare un bambino della figura materna, in quanto figlio di una detenuta, è una violenza che contraddice la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia".


Del resto, impedire a tante detenute di vivere la propria condizione di madre fuori dagli istituti penitenziari, spiegano i firmatari del testo "è un ostacolo alla riabilitazione della donna, oltre che un impedimento perché i bambini vivano in un ambiente più confortevole del carcere e più idoneo alla loro crescita". Non è quindi opportuno, spiega il nuovo disegno di legge, per la tutela degli affetti del bambino, il "limite della legge Finocchiaro sulla convivenza con i figli, per le detenute con bimbi di età non superiore ai 3 anni; né è opportuno stabilire a priori l’età dell’indipendenza del minore dalle cure parentali, perché relativa alla soggettività di ogni bimbo. Il presente disegno di legge - si legge - pur stabilendo il tetto normativo fino a dieci anni, per una migliore tutela dello sviluppo del bambino, affida al Giudice discrezionalità per estendere questi provvedimenti anche alle madri di figli con più di dieci anni".


(nell'immagine) Pablo Picasso - "Madre"


4 commenti:

Roberto Loddo ha detto...

Sassari: corsi formazione per ex detenuti, venerdì conclusione



La Nuova Sardegna, 6 ottobre 2008



Si concluderà venerdì a Marritza, all’associazione "Giovani in cammino", in località Le Tonnare, con la consegna degli attestati di partecipazione, lo "sportello tirocini per l’inserimento al lavoro di giovani in cerca di occupazione e di categorie svantaggiate, progetto di orientamento al lavoro organizzato dalla Camera di commercio nell’ambito delle tematiche sul mercato del lavoro. Obiettivo del progetto, al suo terzo anno, era creare i presupposti per l’inserimento attraverso l’attivazione di tirocini formativi e di orientamento in azienda. Il percorso era rivolto a imprese e operatori del Sassarese e categorie svantaggiate come detenuti ed ex detenuti.

Prima di tutto sono stati individuati i settori economici in cui promuovere i tirocini, poi sono stati avviati i contatti con imprese e accordi con operatori locali. Il coinvolgimento dei destinatari è stato conseguito con seminari informativi e percorsi di formazione. In seguito gli allievi, alcuni dei quali impegnati già dallo scorso anno, si sono costituiti in una cooperativa, affacciandosi così direttamente sul mondo del lavoro.

Nel percorso di formazione, che ha avuto una durata di circa sei mesi, è stato sviluppata l’attività in modo da simulare una vera realtà produttiva artigianale, con lezioni di falegnameria e restauro, conoscenza delle attrezzature, qualità e tipologie dei materiali, lavorazione artigianale e artistica del legno.

Roberto Loddo ha detto...

denuncia detenuti nuove Br "picchiati dalle guardie"



Ansa, 6 ottobre 2008



I detenuti del processo a carico del partito comunista politico-militare, all’inizio dell’udienza di oggi, nel dibattimento in corso davanti ai giudici della prima corte d’assise di Milano, hanno denunciato un pestaggio che due di loro avrebbero subito alcuni giorni fa nel carcere romano di Rebibbia. "Non possiamo consentire che questa udienza cominci - hanno detto dalle gabbie - in quanto due di noi sono stati selvaggiamente picchiati dalla guardie". Il presidente della corte, Domenico Luigi Cerqua, non ha consentito che gli imputati proseguissero e ha invitato loro a denunciare tutto per iscritto. La corte, su richiesta dei difensori e con il parere favorevole del pm Ilda Boccassini, ha acquisito la documentazione riguardante la situazione carceraria degli imputati, detenuti in vari istituti italiani, "qualcuno anche a 1200 chilometri da Milano". Il procedimento prosegue con la testimonianza di alcuni funzionari della Digos di Torino e Milano che collaboravano alle indagini, mentre fuori dal palazzo di giustizia di Milano si sta tenendo un presidio di solidarietà con gli imputati.

Roberto Loddo ha detto...

38% dei detenuti è straniero, record in C.C. Padova



Ansa, 6 ottobre 2008



Nelle sempre più affollate carceri italiane (56.768 detenuti contro 42.992 posti) aumenta la quota di stranieri: sono 21.178 (38,31%). In testa ai 206 istituti c’è la Casa Circondariale di Padova, dove l’80% dei carcerati non sono italiani (151 su 187). A seguire, Parma (76%) e Macomer in Sardegna (74,16%). Percentuali più basse ma numeri impressionanti nelle altre carceri: a San Vittore gli stranieri sono 935 su 1.461 detenuti; a Bologna 668 su 1.046; a Regina Coeli, 596 su 971. Il trend è in continua crescita se si pensa che nel 1990 gli stranieri erano circa l’8%.

Sull’incremento ha pesato anche la legge Bossi-Fini: circa il 20% dei detenuti extracomunitari è in carcere per aver disatteso la norme anti-clandestini. Puntare su accordi bilaterali (come quello, recente, tra Italia e Romania) per trasferire 3.300 detenuti stranieri nelle carceri dei Paesi d’origine e usare il braccialetto elettronico (se la tecnologia sarà sicura) su 4.100 detenuti italiani da mandare ai domiciliari, prevedendo pene più severe in caso di evasione: queste le linee di intervento allo studio dei ministeri della Giustizia e dell’Interno.

Roberto Loddo ha detto...

Napolitano; contro razzismo responsabilità comune



Redattore Sociale - Dire, 6 ottobre 2008



"Il valore supremo che deve guidare, come ci dicono l’insegnamento e l’impegno della Chiesa, è il rispetto della dignità umana, in tutte le sue forme e in tutti i luoghi". È Quanto ha detto il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al termine del colloquio, avvenuto al Quirinale, con Papa Benedetto XVI, durante il quale i due hanno toccato il tema del razzismo alla luce dei recenti episodi di violenza verso immigrati in diverse città italiane. Per Napolitano "il rispetto della dignità umana" implica "più che mai anche la coscienza e la pratica della solidarietà, cui non possono restare estranee, anche dinanzi alle questioni più complesse, come quella delle migrazioni verso l’Europa, le responsabilità e le scelte dei governi". Il Capo dello Stato parla di "rispetto della dignità umana se tradotto nella grande conquista del "superamento del razzismo", citando una frase di recente pronunciata da Castel Gandolfo da Benedetto XVI, e sottolinea l’allarme "per il registrarsi in diversi paesi di manifestazioni preoccupanti, mentre nulla può giustificare il disprezzo e la discriminazione razziale".

E dunque, conclude Napolitano, "rispetto a rischi e fenomeni di oscuramento di valori fondamentali, quello della dignità umana che insieme ad altri, che noi sentiamo di trovarci di fronte, come il santo Padre ha detto, ha un’emergenza educativa anche nel nostro Paese". Infine il Capo dello Stato sottolinea: "Superare quell’emergenza è nostra comune responsabilità, su diversi terreni, se siamo convinti che si debba suscitare nel mondo di oggi una grande ripresa di tensione ideale e morale. Non vediamo forse persino negli avvenimenti che stanno scuotendo le fondamenta dello sviluppo mondiale i guasti di una corrosiva caduta nell’etica dell’economia e nella politica".

Don Ettore Cannavera, riflessioni da "La Collina"

L'Associazione 5 Novembre, ha intervistato Don Ettore Cannavera, fondatore della comunità di accoglienza "La Collina", rivolta a giovani-adulti, di età compresa tra i 18 ed i 25 anni, che vengono affidati dalla Magistratura di Sorveglianza come misura alternativa alla detenzione. Un interessante intervista sui temi della Giustizia, del Carcere, del precariato giovanile e della cultura della Solidarietà e dell'accoglienza.