mercoledì 23 aprile 2008

Giustizia: la crisi del sistema penitenziario in cinque punti


Giustizia: la crisi del sistema penitenziario in cinque punti

di Valter Vecellio


Agenzia Radicale, 23 aprile 2008


1) "Se il prossimo governo non inserirà nella propria agenda l’emergenza penitenziaria non potrà non ricorrere ad un altro atto di clemenza". Così, l’altro giorno, la Uil-Penitenziari. Un grido d’allarme, un appello che naturalmente nessuno ha ritenuto di dover cogliere e valorizzare. Risulta che il dato in crescita degli ingessi in carcere sia ormai un dato consolidato e costante. Di questo passo, la border-line di "quota" 62 mila detenuti sarà toccata entro la fine dell’anno. Questo significa il rischio di implosione del sistema penitenziario, con le prevedibili, inevitabili tensioni e possibili rivolte che ne deriveranno. Occorrerebbe intervenire strutturalmente, e siamo in grave ritardo. In caso contrario, "è realistico immaginare che un nuovo indulto non appartenga alla fantascienza ma alle necessità possibili", dice Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil-Penitenziari.


2) Il 20 per cento delle strutture carcerarie in uso è stato costruito nel periodo che va dal 1200 al 1500; un altro 60 per cento è stato costruito nel periodo oscillante tra il 1600 e il 1900. per le strutture che versano in condizioni di fatiscenza e inciviltà nel 2007 sono stati stanziati appena tredici milioni di euro per la manutenzione, a fronte dei quaranta stanziati nel 2000.


3) Nelle carceri italiane ci sono più imputati che condannati. Ogni dieci detenuti, sei sono in attesa di giudizio. Soltanto 20.190 degli oltre cinquantamila detenuti è stato condannato. Circa il 38 per cento è costituito da stranieri, circa 19.600. Percentuale che in alcune realtà supera addirittura il 70 per cento dei presenti, per esempio nei "complessi" carcerari di Alessandria, Fossano, Macomer, Padova, Parma e Trento; il 23,4 per cento è costituito da tossicodipendenti, grosso modo uno su quattro. Questi dati li si ricava dall’ultima "mappatura" curata dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.


L’indulto ha liberato oltre 25mila persone. Così dai 61.264 detenuti del 30 giugno 2006 si era passati al minimo storico dei 33.326 nel settembre 2006. Una preziosa boccata d’ossigeno, di cui si sarebbe dovuto profittare per quelle riforme e quelle politiche che consentissero finalmente di cominciare a uscire dalla grave crisi in cui la giustizia italiana ormai cronicamente si dibatte. Un’occasione purtroppo sciupata; e fin dall’inizio, quando non si è fatto il successivo, logico, necessario passo: quello dell’amnistia. La situazione, oggi, è tornata al punto di partenza, e nelle nostre carceri ci sono oltre settemila persone in più rispetto la capienza.


E si deve, per paradosso, ringraziare la altrettanto cronica inefficienza di perseguire i crimini (le relazioni annuali dei Procuratori Generali documentano come la stragrande maggioranza di reati resta impunita), se, infatti, per paradosso tutti gli autori di reati fossero assicurati alla giustizia, il sistema in un solo giorno "collasserebbe". Ad ogni modo, se la situazione è tornata a quella pre-indulto, lo si deve alle attuali leggi sulle droghe, sull’immigrazione e sulla recidiva, che hanno continuato a far aumentare gli ingressi in carcere, con un incremento di circa un migliaio di persone al mese.

La capienza regolamentare di 43.149 posti è stata superata il 30 giugno 2007, con 43.957 presenze, ed è continuata ad aumentare fino alle 48.693 unità del 31 dicembre, e le oltre 50mila del 21 febbraio 2008. Senza il provvedimento di indulto oggi saremmo alla cifra record di 72.000 detenuti.


4) Un dato tipico della popolazione carceraria italiana è quella dei detenuti in attesa di giudizio. Sono il 60 per cento circa, più dei condannati: complice la lentezza dei procedimenti penali nel nostro paese. Tra i condannati, il 29,5 per cento sconta una pena per reati contro il patrimonio, il 16,5 per cento contro la persona, il 15,2 per cento per violazione della legge sulle droghe, il 3,7 per cento per reati contro l’amministrazione, il 3,2 per cento per associazione mafiosa.

Le donne rappresentano il 4 per cento dell’intera popolazione carceraria, per loro non vale il problema del sovraffollamento: sono 2.278 su 2.358 posti disponibili. Tuttavia esiste il problema delle detenute madri con bambino al seguito, di età inferiore ai tre anni. I detenuti stranieri sono il 35 per cento della popolazione. Nel 1990 erano solo l’8 per cento. Per lo più si tratta di africani. Il 23,4 per cento dei detenuti è tossicodipendente e il 4 per cento in trattamento metadonico. Un altro 2 per cento ha problemi di alcolismo. Per quanto riguarda la durata delle pene, il 31,9 per cento dei detenuti sconta pene inferiori ai tre anni, e potrebbero beneficiare - almeno in astratto - delle cosiddette pene alternative. Il 21,3 per cento sconta pene tra i tre e i sei anni, il 46,8 per cento sconta pene di durata superiore.


5) C’è anche un problema di carenza di personale di polizia penitenziaria. Il segretario generale del sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe) Donato Capace, ricorda che mancano circa settemila agenti: 4.425 uomini e 335 donne. Le carenze più consistenti si registrano in Lombardia (1.200 unità), Piemonte (900 unità), Emilia Romagna, Toscana, Veneto, Liguria.


4 commenti:

Roberto Loddo ha detto...

Giustizia: Antigone; non "mettete mano" al Sistema Penale...



Agi, 24 aprile 2008



Introdurre il crimine di tortura per chi maltratta i detenuti, istituire un organismo - quale il difensore civico - per la tutela delle persone private della libertà, esecuzione della pena fuori dal carcere per le madri detenute che tengono con sé bambini sotto i 3 anni, migliorare i meccanismi per la difesa d’ufficio e il gratuito patrocinio per i meno abbienti, rivedere la legge sulle droghe "che oggi produce il massimo numero di carcerazioni".

Lo chiede al nuovo Governo Patrizio Gonnella, Presidente dell’Associazione Antigone, che si batte per i diritti dei detenuti. "Auspico che non si metta mano al sistema penale - aggiunge Gonnella - perché temo che possano esserci interventi peggiorativi e chiedo che non si tratti il tema della sicurezza per recuperare consensi. Non sia sull’onda dell’emotività che si affrontino questioni così delicate".

Roberto Loddo ha detto...

Giustizia: Ferrara (Dap); nuove carceri? non sono la soluzione



Ansa, 24 aprile 2008



È "velleitario" pensare di risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri soltanto con la costruzione di nuovi istituti di pena; piuttosto, servono "interventi strutturali" come l’accelerazione del processo penale e l’abbattimento dell’elevato numero dei detenuti stranieri che sono arrivati a circa il 37% del totale. Il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), Ettore Ferrara, spiega così all’Ansa, la necessità di agire tempestivamente per evitare che, al ritmo di mille detenuti al mese, le carceri tornino a riempirsi come prima dell’indulto.

Dai 38.874 detenuti dell’agosto 2006 (vale a dire subito dopo il varo dell’atto di clemenza), dopo 19 mesi si è arrivati a 52.686 e si sta inesorabilmente marciando verso i 63mila, record storico raggiunto nel luglio di due anni fa. "Bisogna innanzitutto intervenire sull’accelerazione del processo penale, visto l’elevato numero dei detenuti in custodia cautelare: se si riduce il tempo del processo, si riduce anche il tempo della misura cautelare", è la prima osservazione di Ferrara.

I detenuti definitivi sono infatti appena 21.645, mentre 16.185 sono in attesa di giudizio, 9.570 gli appellanti, 3.719 i ricorrenti. Il secondo problema resta quello dei detenuti stranieri. "Il nostro sistema penitenziario - fa notare Ferrara - è per il recupero e il reinserimento sociale. Ma che senso ha parlare di reinserimento per persone lontane dal paese di origine? Servirebbe intervenire con accordi internazionali per garantire, in maniera più fattiva, l’espulsione dei detenuti stranieri nelle carceri italiane". Ma non solo.

"Se gli extracomunitari o gli stranieri in genere entrano in carcere per aver commesso reati non gravi, forse sarebbero più efficaci misure alternative alla detenzione". In altri termini, il capo del Dap ipotizza un doppio binario per i detenuti stranieri: da un lato la "depenalizzazione per coloro che violano le leggi sull’immigrazione o hanno commesso reati non gravi come ad esempio la contraffazione di cd o dvd"; dall’altro "tentare di rimpatriare nei paesi di origine, con accordi bilaterali, i detenuti stranieri che hanno commessi violenze o delitti efferati.

Se vogliamo più sicurezza, allora è necessario che in carceri ci siano solo coloro che hanno commesso reati di grave allarme sociale". Ferrara non condivide l’idea di risolvere il problema del sovraffollamento solo con la costruzione di nuove carceri: "Ci vogliono anni e decine milioni di euro. L’ultima finanziaria ha stanziato 70milioni di euro per l’edilizia penitenziaria. Con questi soldi potremmo costruire solo tre carceri per un totale di circa duemila persone. È velleitario pensare a questa come unica soluzione".

Roberto Loddo ha detto...

Giustizia: CNVG; psicologi carcerari, orario ridotto del 50%



Comunicato stampa, 23 aprile 2008



Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia: "Psicologi precari in carcere non passano al Ssn. Ridotte del 50% le ore di assistenza psicologica ai detenuti".

Con il decreto del Presidente del Consiglio del 19.03.2008 si dà finalmente avvio al trasferimento della sanità penitenziaria al S.S.N., in attuazione della l. 230/1999. Ci sono voluti 9 anni perché le persone in carcere potessero godere dello stesso trattamento riservato a tutti i cittadini per la tutela della salute, ma a quanto pare il Dpcm non sembra del tutto garantire ancora quella psichica. Medici e paramedici penitenziari passano in forza alle Asl, ma dal provvedimento rimangono esclusi i 480 psicologi (esperti ex art. 80) che svolgono attività di consulenza per l’Amministrazione penitenziaria in regime trentennale di precariato. Nel passaggio, solo 16 psicologi di ruolo nel settore adulti transitano alle Asl ed a loro viene riconosciuto una funzione dirigenziale(detto personale proviene da ruoli diversi dell’Amministrazione penitenziaria e con una riqualificazione interna ha assunto tali mansioni). I 39 psicologi già vincitori di concorso pubblico non sono stati mai assunti.

La Cnvg esprime solidarietà ai 480 psicologi che sono stati inspiegabilmente discriminati. C’è da chiedersi quale logica abbia guidato la decisione che l’attività degli psicologi fosse espropriata della funzione di cura del disagio psichico, propria delle competenze di tali professionisti. L’Amministrazione Penitenziaria opera artificiose frammentazioni interne al ruolo dello psicologo, il quale viene chiamato in causa per la sola convalida dei percorsi trattamentali nell’ambito dell’osservazione di personalità ed esclude che i detenuti fino ad allora osservati, possano avere diritto al trattamento psicologico, qualora necessario.

Si ha inoltre l’impressione che l’impiego temporaneo degli psicologi ministeriali presso le Asl, "a titolo non oneroso" per l’accoglienza dei nuovi giunti ed eventuale sostegno psicologico all’ingresso, venga considerato un servizio del tutto marginale e non risolutivo dei bisogni presenti. È ben noto infatti che nella popolazione detenuta il disagio psichico, sia esso preesistente od anche causato dalla pesante condizione detentiva, assume proporzioni assai rilevanti che richiederebbe un adeguato e costante supporto da parte degli psicologi in tutto il percorso detentivo.

La Cnvg esprime preoccupazione per la drastica riduzione di oltre il 50% dell’impegno professionale degli psicologi, riducendo a circa 6 minuti al mese per detenuto l’ intervento psicologico. Si assiste così al totale annullamento di professionalità e servizi, rendendo oltremodo più precarie le posizioni di diritto della popolazione detenuta.

Auspichiamo pertanto che la questione possa essere riesaminata e risolta all’interno di un riassetto più generale del sistema penitenziario, le cui gravi carenze si trascinano da molti anni e vengono puntualmente denunciate non solo dal Volontariato, ma da tutti gli operatori istituzionali della Giustizia.



Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia

Roberto Loddo ha detto...

Monza: progetto "Scarcerando" per i detenuti malati mentali



Dire, 22 aprile 2008



"Alcuni sono entrati che erano già malati, in altri i disturbi sono emersi con la detenzione", spiega Davide Motto, della cooperativa Lotta contro l’emarginazione. Mercoledì la presentazione del libro che racconta la loro storia.

Racconta Lorenzo che è finito in carcere per aver rubato dei dvd. Mentre parla con lo psicologo ridacchia. Ha tentato di suicidarsi due volte. Fabrizio, invece, dice che è tornato in carcere, dopo l’indulto, perché "mi sono fatto prendere da una gran sete di alcool, altre volte ho resistito, ma faceva caldo" e conclude che "mi piacerebbe tornare a lavorare, al momento non sono in grado... per problemi di denti". Sono due dei 19 casi seguiti, con il progetto "Scarcerando", dalla cooperativa "Lotta contro l’emarginazione" e dai due psichiatri degli ospedali San Gerardo di Monza e Civile di Vimercate. Storie drammatiche, di malati mentali che sono finiti in carcere. Ora un libro, che ha lo stesso titolo del progetto, racconta le lo storie. Verrà presentato mercoledì 23 aprile, dalle 9.30 alle 13.00 presso la Sala Teatro della Casa Circondariale di Monza. Interverranno, fra gli altri, Massimo Parisi, direttore del carcere di Monza, Patrizia Ciardiello, garante dei diritti dei detenuti, e Stefano Carugo, assessore alle Politiche sociali del comune di Monza.

Per alcuni dei detenuti seguiti dal progetto "Scarcerando", la malattia era già conclamata, per altri i sintomi si sono manifestati proprio con la detenzione. "Con questo progetto, che è durato due anni, abbiamo cercato di assisterli in carcere insieme al medico dell’istituto -spiega Davide Motto, della cooperativa Lotta contro l’emarginazione-. E abbiamo garantito che fossero seguiti una volta usciti dai servizi territoriali". Le carceri lombarde sono ormai quasi tutte al limite del sovraffollamento, anche quello di Monza. "Purtroppo le condizioni di vita all’interno degli istituti finisce per aggravare lo stato di salute di queste persone", conclude Davide Motto.

Don Ettore Cannavera, riflessioni da "La Collina"

L'Associazione 5 Novembre, ha intervistato Don Ettore Cannavera, fondatore della comunità di accoglienza "La Collina", rivolta a giovani-adulti, di età compresa tra i 18 ed i 25 anni, che vengono affidati dalla Magistratura di Sorveglianza come misura alternativa alla detenzione. Un interessante intervista sui temi della Giustizia, del Carcere, del precariato giovanile e della cultura della Solidarietà e dell'accoglienza.