lunedì 31 marzo 2008


Giustizia: grazia a Sofri; la sconcertante risposta di Napolitano

di Gianfranco Spadaccia (Garante diritti dei detenuti di Roma)


Fuoriluogo, 31 marzo 2008


Sono francamente sconcertato ed anche preoccupato e indignato per la risposta che il Quirinale ha dato alla iniziativa con la quale Franco Corleone aveva sollecitato una sua decisione sulla questione della grazia ad Adriano Sofri.

Premetto che, senza minimamente contestare la "verità giudiziaria" contenuta nella sentenza definitiva di condanna, considero la permanenza in carcere di Sofri come una scandalo intollerabile che avviene in aperta violazione dell’art. 27 della Costituzione o almeno sulla base di una interpretazione eccessivamente e ingiustamente restrittiva di tale norma.


Proprio per questo tuttavia ritenevo sbagliata la sollecitazione ufficiale della grazia affidata - pur con le migliori intenzioni - a una iniziativa nonviolenta come lo sciopero della fame. Sono stato fra coloro che, con Pannella, durante la presidenza di Ciampi, si sono battuti perché la grazia tornasse ad essere, come da Costituzione, un potere esclusivo di cui il Presidente della Repubblica era stato espropriato dal Ministro della Giustizia anche a causa delle interpretazioni e dei comportamenti dei suoi massimi collaboratori.


La Corte Costituzionale ha ripristinato nella sua integrità questa prerogativa presidenziale come atto extra ordinem e perciò sovrano, eccezionale e letteralmente gratuito. Temevo e temo la burocrazia del Quirinale che ha operato in passato per l’annullamento di questa prerogativa e che torna ora a limitarla, ad imbrigliarla e procedurizzarla.

È quanto si è purtroppo verificato. Mi dispiace che Giorgio Napolitano non si sia reso conto della gravità di celarsi dietro le motivazioni di un suo Consigliere, distaccato dalla magistratura per seguire gli affari della Amministrazione della Giustizia. Questo funzionario può istruire, ma solo istruire, le pratiche per il Capo dello Stato.


Non è ammissibile che sia chiamato a comunicare e a motivare, sia pure "per conto" del Capo dello Stato, un atto con il quale si respinge la possibilità di concedere la grazia. Ieri i burocrati del Quirinale pretendevano che la Grazia non potesse essere concessa senza la concorrente volontà del ministro della Giustizia e senza una richiesta esplicita dell’interessato.


Oggi pretendono di ingessarla nei limiti delle "eccezionali esigenze umanitarie", a cui ha fatto riferimento nella sua decisione la Corte Costituzionale. Come se quella motivazione non dovesse essere invece riferita al singolo conflitto di attribuzione sollevato da Ciampi (che, se non ricordo male, nasceva dal caso Bompressi e non dal caso Sofri) e potesse essere considerata sostitutiva e limitativa delle norme costituzionali.


Napolitano chiede a Corleone, in una lettera "allegata" a quella del suo funzionario, di "apprezzare le decisioni prese dall’A.G. che hanno grandemente alleviato le condizioni di Adriano Sofri". Ciò che non è apprezzabile è questa affermazione del Presidente della Repubblica per il quale evidentemente non conta nulla il fatto che siano passati ormai quasi quaranta anni dalla commissione dell’omicidio Calabresi, che Adriano Sofri in questo lungo periodo di tempo sia divenuto una persona certamente diversa da allora, che abbia reso omaggio alle leggi dello Stato e - pur contestandola - alla stessa verità giudiziaria sottoponendosi al processo e alla pena.


Questa dichiarazione ci preoccupa e ci indigna per Adriano Sofri, ma ci preoccupa per la tendenza e la logica che sembra affermare. Perché se i principi della rieducazione e del reinserimento sociale non valgono per Adriano Sofri, a maggior ragione rischiano di non valere in qualsiasi altra circostanza e per la maggior parte dei detenuti. E questo ci appare come un inaccettabile stravolgimento della Costituzione e della legalità repubblicana.


6 commenti:

Roberto Loddo ha detto...

Giustizia:
Bertinotti risponde alle domande di "Radio Carcere"

Il Riformista, 2 aprile 2008




Elezioni 2008. I candidati premier rispondono a radio carcere sulle riforme del processo penale. Una giustizia celere, efficiente, eguale per tutti e garantista per imputati e vittime dei reati, questa è per la Sinistra Arcobaleno la priorità irrinunciabile. Ecco perché è importante indicare con chiarezza, coraggio, lucidità e, soprattutto, senza demagogia, la strada per raggiungere tali obiettivi. Siamo consapevoli che lo Stato debba garantire la sicurezza e tutelare i beni primari di tutti, ma anche che le vittime prime di una giustizia che non funziona sono i soggetti più deboli.

Le nostre proposte possono essere sintetizzate in 4 punti: certezza dei tempi del processo e della pena, per restituire alla giustizia il fondamento primo per la sua condizione popolare, la trasparenza; ampia depenalizzazione, con un diritto penale minimo ma efficace, che sostituisca l’eccesso di ricorso a pene detentive, il cui fallimento è ormai evidente; previsione di pene diverse dal carcere, per incidere sulla recidiva e aiutare il reinserimento del reo, tenendo conto dei diritti delle vittime; interventi organizzativi sulla farraginosa macchina giudiziaria che, da soli, potrebbero dimezzare i tempi processuali (il 30% dei processi vengono rinviati per problemi burocratici; i cosiddetti "tempi morti" della giustizia incidono per oltre il 20% sulla durata dei processi).

Proprio per evitare strumentalizzazioni, alcuni chiarimenti sono necessari. La depenalizzazione dei reati minori non equivale affatto ad impunità: anzi, a fronte di una ipotetica condanna a decenni dai fatti, si prevede una immediata ed efficace sanzione amministrativa. Inserire nel codice pene non carcerarie per i reati di non grave allarme sociale (interdittive, prescrittive, lavori socialmente utili, etc.) non significa affatto essere contro un modello sanzionatorio, ma prendere atto del fallimento dell’attuale sistema, dalla faccia feroce ma totalmente inefficace, e sostituirlo con sanzioni più eque e adeguate che, proprio perché effettivamente scontate, elimineranno quel senso di impunità, presupposto della recidiva; diminuiranno i reati e maggiore sarà la sicurezza, sia reale che percepita, per i cittadini tutti. Si avrà, inoltre, un’accelerazione dei tempi processuali, venendo meno la quasi certezza della prescrizione per molti reati e le impugnazioni meramente dilatorie, senza però eliminare i tre gradi di giudizio, garanzia per gli innocenti, e senza prevedere che diventi provvisoriamente esecutiva la condanna di primo grado (in contrasto con il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza).

I dati ufficiali sono chiari, chi sconta la pena in carcere ha un tasso di recidiva superiore al 60%; chi usufruisce di pene alternative ha una recidiva inferiore al 15%: è evidente quanto inefficaci, oltre che anacronistici, siano non solo l’attuale sistema sanzionatorio ma anche l’attuale codice, risalente al fascismo, e che prevede solo pene pecuniarie o carcerarie.

L’estensione abnorme del ricorso al carcere non aiuta certo il reinserimento sociale: ecco perché è non solo ragionevole, ma anche più efficace nel contrasto del crimine, prevedere la detenzione carceraria quale extrema ratio, limitata ai casi di doverosa tutela della collettività.

La depenalizzazione e la modifica dell’attuale sistema sanzionatorio sarà molto positiva. Evitando di celebrare tre gradi di giudizio per reati dal disvalore assolutamente esiguo, piuttosto che per condotte collegate allo stato di tossicodipendenza o alla marginalità sociale (alle quali occorre rispondere con strutture per la disintossicazione e il reinserimento), la magistratura potrà occuparsi dei reati gravi, evitando, tra l’altro, le sempre più numerose scarcerazioni per decorrenza dei termini.

Non solo, ma saranno meglio tutelate le garanzie processuali, con una incisiva diminuzione degli errori giudiziari; maggiore sarà anche l’attenzione per le vittime del reato e per istituti, quali la confisca, che si sono mostrati incisivi nel contrasto alla criminalità economica e mafiosa (con la destinazione dei beni sequestrati a fini sociali o al risarcimento delle vittime).

Un diritto penale minimo, con una pena non vendicativa ma equa e certa, porterà a una diminuzione della carcerazione preventiva, che sarà l’eccezione e non la regola, come previsto dalla Costituzione, e contribuirà a rendere effettivo il diritto di difesa, soprattutto per i meno abbienti. Il carcere, previsto per i reati più gravi, non sarà più quel luogo che mal si concilia con la finalità rieducativa della pena, ma dovrà essere luogo di recupero umano e di reinserimento sociale, anche perché ogni detenuto recuperato è un pericolo in meno per la collettività. I principi costituzionali della ragionevole durata dei processi, della parità delle parti (accusa e difesa) e della terzietà del giudice, diventeranno realtà e non continueranno a rimanere mere parole. Sarà così possibile evitare reciproche ingerenze e interferenze tra i diversi poteri dello Stato, creando le premesse per quel clima di leale collaborazione che è indispensabile per soluzioni equilibrate su temi delicati quali quello del segreto delle indagini, del rispetto della privacy, dei limiti alle intercettazioni telefoniche e, più in generale, di una corretta informazione, evitando le condanne mediatiche.

Il consenso al Programma della Sinistra Arcobaleno, qui accennato nelle sue linee di fondo, potrà restituire ai cittadini la fiducia nella Giustizia e, al Paese, una Giustizia degna di questo nome.



Fausto Bertinotti

candidato premier per la Sinistra L’Arcobaleno

Roberto Loddo ha detto...

Giustizia: Cgil; riforma sanità penitenziaria è un atto di civiltà



Comunicato stampa, 2 aprile 2008


Con la firma del Presidente del Consiglio si da avvio al processo di trasferimento delle funzioni di assistenza sanitaria in carcere dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale.
Una riforma che il sistema penitenziario italiano aspettava da decenni e che di fatto rappresenta il più importante intervento legislativo sulla condizione carceraria dalla Gozzini in avanti: sancire l’universalità del diritto alla salute anche per le persone momentaneamente private della libertà personale è la più grande affermazione della supremazia dei diritti di cittadinanza sui bisogni di contenimento carcerario.
Per gli attuali 52.000 detenuti la riforma sancisce la parità di trattamento con i cittadini liberi e garantisce interventi a tutela della salute nelle carceri in maniera complementare ed organica all’obiettivo più generale della risocializzazione dei condannati.
Ora Regioni, Aziende Sanitarie, Comuni, istituzioni centrali ed istituti penitenziari dovranno operare in sinergia per realizzare condizioni di protezione della salute iniziando dalle conoscenze epidemiologiche tipiche del regime detentivo per passare a vere e proprie azioni di promozione della salute: particolare importanza assumeranno l’attività fisica, l’alimentazione, il contrasto all’abuso di alcool ed alle dipendenze da fumo, la garanzia di salubrità degli ambienti di vita e il rispetto della legge sulla sicurezza dei luoghi, di lavoro e di vita.
Una particolare attenzione dovrà essere rivolta a quelle patologie che comportano interventi a lungo termine (HIV, malattie mentali, tossicodipendenze ecc) e risulterà indispensabile attivare sistemi di valutazione della qualità dell’intervento a cominciare dall’utilizzo della farmaceutica e della diagnostica.
Una legge che interessa anche più di 5.000 operatori sanitari fra dipendenti di ruolo del Ministero della Giustizia e professionisti sanitari con contratti atipici che con la firma del decreto transiteranno alle dipendenze del servizio sanitario nazionale migliorando non solo le proprie condizioni di lavoro, ma anche la necessaria autonomia dell’intervento sanitario dalle costrizioni della detenzione.
Per alcuni di loro, da anni sottoposti ad un regime di convenzione senza diritti e prospettive, si potranno anche aprire verifiche su processi di stabilizzazione del rapporto di lavoro, oltreché, immediati miglioramenti delle condizioni di lavoro.

Rossana Dettori
Segretaria Nazionale Fp Cgil

Roberto Loddo ha detto...

Giustizia: Gonnella e Libianchi; una riforma attesa da dieci anni



Dire, 2 aprile 2008



Parlano il presidente di Antigone e quello del Coordinamento nazionale degli operatori per la salute nelle carceri italiane: "Finalmente la salute delle detenute e dei detenuti viene trattata come quella dei cittadini liberi".

"Lo attendevamo da 10 anni. Il passaggio della sanità penitenziaria al Servizio sanitario nazionale è un provvedimento di grande rilievo. Finalmente la salute delle detenute e dei detenuti viene trattata come quella dei cittadini liberi. È stato rispettato un principio - quello della salute uguale per tutti - che era presente nella riforma Bindi del 1998. Un ringraziamento va fatto in modo esplicito a chi nel ministero della Giustizia ci ha creduto superando le resistenze corporative.

Ora si tratterà di monitorare il lavoro delle Asl per evitare omissioni o resistenze". Così Patrizio Gonnella, presidente di Antigone e di Sandro Libianchi, presidente del Coordinamento Nazionale degli Operatori per la Salute nelle Carceri Italiane.

"È con estrema soddisfazione - dichiara Sandro Libianchi, Presidente di Conosci onlus (Coordinamento nazionale degli operatori per la salute nelle carceri italiane), che si apprende che il Consiglio dei Ministri ha oggi approvato il Decreto concernente il trasferimento di tutte le competenze in tema di medicina penitenziaria, ancora sotto la responsabilità del Ministero della Giustizia, alle Regioni e quindi alle Asl del Servizio Sanitario Nazionale.

Dopo circa dieci anni di incertezze ed alta instabilità di un sistema di mera erogazione di prestazioni sanitarie che si basava sul leggi del 1970, addirittura precedenti la costituzione stessa del Ssn, le Regioni possono finalmente iniziare a progettare un vero e proprio sistema sanitario sulla base delle Linee di Indirizzo allegate al provvedimento. Tali linee di indirizzo sono rivolte sia alle strutture penitenziarie per adulti e minori, sia agli Ospedali psichiatrici giudiziari".

"Ora - continuano -, nei limiti temporali previsti dal provvedimento, la Conferenza Stato-Regioni dovrà emanare i provvedimenti successivi al decreto che dovranno essere adottati dalle Regioni per l’avvio del nuovo sistema sanitario. Essi riguarderanno i modelli applicativi e la contrattualizzazione di circa 5.500 operatori della Sanità in carcere.

Nelle fasi iniziali di questo processo, sarà certamente necessaria una attenta vigilanza sulla regolare applicazione di quanto previsto dal Decreto da parte delle Regioni e delle Asl, anche per cercare di dare una certa uniformità all’intero sistema che dovrà dapprima integrarsi per poi essere poi assorbito dal Ssn.

Le Regioni a statuto speciale e le province autonome potranno essere avvantaggiate in quanto per esse si prevede un ritardo di applicazione legato alla necessità previste dagli specifici statuti e potranno così avvalersi dell’esperienza delle Regioni e delle Aziende Sanitarie Locali che avranno applicato il decreto prima di loro. Si dà, in ultimo, atto ai Ministeri interessati (Sanità, Giustizia, Funzione Pubblica, Economia), alla Conferenza Stato Regioni-Commissione Sanità, alle associazioni di categoria, alle parti sindacali ed alle Agenzie di settore (Aran, Sisac) di essere riusciti in un tempo relativamente breve, a raggiungere un accordo unanime sull’intero testo approvato, superando le resistenze di una sparuta minoranza oppositiva".

Roberto Loddo ha detto...

Giustizia: Manconi; diritto a salute dei detenuti meglio tutelato



Comunicato stampa, 2 aprile 2008



Dichiarazione del Prof. Luigi Manconi, Sottosegretario alla Giustizia con delega sull’Amministrazione penitenziaria.

"Con la firma del Presidente del Consiglio giunge finalmente a compimento la riforma della sanità penitenziaria, con il completo trasferimento delle competenze, dell’assistenza e del personale dal Ministero della giustizia al Servizio sanitario nazionale.

Per questo obiettivo abbiamo lavorato lungo venti mesi e il risultato raggiunto è tanto più importante se si tiene conto che tale provvedimento era previsto dalla riforma sanitaria del 1999; e che da allora resistenze e ostilità, corporativismi e chiusure, ne avevano impedito l’attuazione. È con grande soddisfazione dunque che possiamo indicare questa come una delle più importanti realizzazioni del Governo Prodi e di questo Ministero. La popolazione detenuta viene inserita a pieno titolo nel Servizio sanitario nazionale e il diritto alla salute viene più efficacemente tutelato. I detenuti vengono di conseguenza inclusi nella pienezza del sistema dei diritti di cittadinanza per quanto riguarda quella fondamentale garanzia rappresentata dalla tutela della salute".

Roberto Loddo ha detto...

Giustizia: firmato il Decreto, la Medicina Penitenziaria al Ssn



Comunicato stampa, 2 aprile 2008



La tutela della salute dei detenuti e degli internati negli istituti penitenziari passa al Servizio Sanitario Nazionale. Prodi firma il Dpcm proposto dai ministri Turco e Scotti.

Con un intervento atteso ormai da dieci anni e giunto al termine di un percorso che ha visto seriamente impegnati il Ministero della Giustizia e quello della Salute unitamente alle Regioni, la tutela della salute dei detenuti e degli internati negli istituti penitenziari passa al Servizio Sanitario Nazionale. L’Iter si è perfezionato con il Dpcm di attuazione dell’art. 2 (comma 283) della legge finanziaria 2008 sottoscritto ieri dal Presidente del Consiglio dei Ministri Romano Prodi e dai ministri proponenti Livia Turco e Luigi Scotti.

Il principio costituzionale del fine rieducativo della pena diventa così ancora più concreto. Si sostanzia nel diritto per i detenuti e gli internati, al pari dei cittadini liberi, ad ottenere un’assistenza sanitaria organizzata secondo un principio di globalità degli interventi sulle cause che possono pregiudicare la salute, di unitarietà dei servizi e delle prestazioni, di integrazione dell’assistenza sociale e sanitaria e di garanzia della continuità terapeutica. Stato, Regioni, Comuni, Aziende sanitarie e Istituti penitenziari potranno da ora in poi uniformare le proprie azioni e potranno realizzare, insieme e responsabilmente, nuove condizioni di tutela della salute dei detenuti. Il diritto alla salute, il principio del riconoscimento della piena parità di trattamento degli individui liberi e di coloro che sono detenuti e internati, ed anche dei minorenni sottoposti a provvedimenti penali, è uno dei criteri di riferimento della riforma, che stabilisce l’importanza di un intervento sinergico di tutte le Istituzioni, a garanzia della salute e del recupero sociale di quanti scontano, a vario titolo, una pena.

"Con questo provvedimento che equipara sotto il profilo della tutela del diritto alla salute i cittadini in stato di detenzione con tutti gli altri utenti del Ssn, la sanità italiana esce rafforzata - afferma il Ministro della Salute Livia Turco - e si dimostra capace di rispondere ai nuovi bisogni di salute in ambiti di intervento delicati come quello dell’assistenza sanitaria nelle carceri e negli Opg. L’obiettivo è di fornire una più efficace assistenza migliorando la qualità delle prestazioni di diagnosi, cura e riabilitazione negli istituti penitenziari".

"La riforma - afferma il Ministro Luigi Scotti - nel valorizzare le competenze specifiche della amministrazione penitenziaria e del sistema sanitario nazionale mette le Istituzioni nelle condizioni di lavorare al meglio per il recupero complessivo dei detenuti. Ma, soprattutto segna un passo importante, dal quale sarà impossibile recedere in futuro perché rafforza nella coscienza di ciascuno di noi la consapevolezza che chiunque sia sottoposto, per una qualsiasi ragione, a misure restrittive, non può mai essere considerato problema da rimuovere, soggetto da dimenticare, cittadino di serie B. Ma, come ci insegna la nostra Costituzione, è una persona la cui dignità e i cui diritti vanno comunque rispettati".



Il Ministro della Giustizia, Luigi Scotti

Anonimo ha detto...

è uscito qualcosa sull'Assemblea di ieri alll'Asarp?

Don Ettore Cannavera, riflessioni da "La Collina"

L'Associazione 5 Novembre, ha intervistato Don Ettore Cannavera, fondatore della comunità di accoglienza "La Collina", rivolta a giovani-adulti, di età compresa tra i 18 ed i 25 anni, che vengono affidati dalla Magistratura di Sorveglianza come misura alternativa alla detenzione. Un interessante intervista sui temi della Giustizia, del Carcere, del precariato giovanile e della cultura della Solidarietà e dell'accoglienza.