giovedì 27 marzo 2008

Basta con le Commissioni… adesso serve il Garante


Basta con le Commissioni… adesso serve il Garante

di Gennaro Santoro (Coordinatore Associazione Antigone)


Aprile on-line, 27 marzo 2008


Dopo l’istituzione e il lavoro di tante Commissioni per la riforma del Codice penale è necessario che nella prossima legislatura non vi sia l’ennesimo gruppo di studio. Il ‘75 e il ‘98 hanno segnato alcune conquiste che hanno posto al centro del carcere la persona ristretta, ma il nostro codice penale è ancora quello fascista, che per i fatti di Genova ha prodotto una disuguaglianza mostruosa.


Diritti umani, diritti sociali, giustizia ed eguaglianza. Sessanta anni fa i nostri costituenti consegnavano ad un paese uscito da due guerre mondiali le fondamenta dello Stato sociale di diritto. Dopo 60 anni è il Ministro Amato ad ammettere su Repubblica che "Bolzaneto è una gran brutta storia", e ad aggiungere che è dura da accettare che ancora oggi ci siano servitori dello Stato che hanno dimostrato di disprezzare la disciplina costituzionale della libertà personale.

Mauro Palma, presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura, ha posto un chiaro quesito: "Quale messaggio ci invia su noi stessi e sul nostro sistema sociale un ordine di priorità che penalizza più un danneggiamento o un furto che non una giovane spinta con la testa nel water da un agente?".


Il codice penale, scritto in periodo fascista, tutela principalmente i beni materiali piuttosto che la dignità delle persone, la loro incolumità. I costituenti avevano ben chiaro tale limite e auspicavano un’immediata riforma del sistema delle pene alla luce del nuovo dettato costituzionale incentrato sul rispetto della persona come pre-regola del vivere democratico.

Un codice, quello fascista ancora vigente, che per i fatti di Genova ha prodotto una disuguaglianza mostruosa: 5 anni e 8 mesi la pena massima richiesta per le torture inflitte dalle forze dell’ordine per un totale di 76 anni di pena contenuti nella richiesta di rinvio a giudizio; 11 anni di pena massima inflitti per le devastazioni e i danneggiamenti dei manifestanti per un totale di oltre 102 anni di pena disposti in sentenza.


Forze dell’ordine, preme evidenziare, che, al contrario dei manifestanti condannati, non solo non sconteranno pene grazie alla prescrizione rivista dalla legge Cirielli (la stessa che introduce la tolleranza zero contro i recidivi). Vieppiù, sono stati promossi e non sospesi dai loro incarichi in quanto, come spiega il Ministro Amato "Prima della sentenza penale è possibile sospendere un funzionario dal servizio soltanto se accusato di alcuni gravi reati, come la collusione con un’associazione mafiosa. Qui, però, davanti a reati trattati come abuso d’ufficio o violenza privata ciò è impossibile. Altro sarebbe il discorso se esistesse una norma che punisse espressamente gli atti di tortura o i comportamenti crudeli e disumani, che ritengo possano essere parificati, per gravità, alla collusione mafiosa".


Dopo l’istituzione e il lavoro di tante commissioni per la riforma del codice penale, vorremmo che nella prossima legislatura non vi sia l’ennesimo gruppo di studio. Il lavoro della commissione Pisapia restituirebbe agli italiani un sistema più efficace ed equilibrato. La riduzione del numero complessivo di reati, infatti, permetterebbe ai magistrati di poter concentrarsi solo su questioni di grave portata criminale, riducendo i tempi infiniti della giustizia. Assicurerebbe, dunque, alle vittime un conforto nella giustizia, agli imputati di non scontare in attesa di giudizio (attualmente, il 60% della popolazione carceraria) le lungaggini processuali, ai condannati di non vivere in celle sovraffollate e disumane.


Nel 1948 è entrata in vigore la Costituzione che all’art. 27 sancisce che "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". Grazie ad un emendamento dell’onorevole Aldo Moro fu chiarito una volte per tutte che la privazione della libertà personale, le varie carceri non possono costituire un "non luogo" dove la legalità possa essere derogata in nome di "valori" superiori, come avviene nella "cura Ludovico"‘nel film Arancia meccanica, dove in nome della sicurezza e del reinserimento sociale si legittima la lesione istituzionale dell’incolumità fisica e della dignità della persona umana. Il ‘68, le lotte per l’eguaglianza, capolavori denuncia come Detenuto in attesa di giudizio hanno portato poi all’approvazione dell’ordinamento penitenziario del ‘75 che ha posto al centro del pianeta carcere la persona ristretta. Nel 1998 la legge Simeone - Saraceni perfezionava la legge Gozzini sulle misure alternative, quella che realmente ha permesso (e permette) di sconfiggere la recidiva dei condannati, abbattendola in 8 casi su 10 tra chi ha usufruito di misure alternative (contro la media dei 3 su 10 tra chi ha espiato la sola restrizione in carcere).


Poi, si sono susseguite le politiche demagogiche ed inefficaci dei pacchetti sicurezza e le sospensioni dello stato di diritto targate Napoli e Genova 2001. Il 2008 potrebbe essere l’anno della introduzione del Garante delle persone private della libertà personale, dell’introduzione del reato di tortura e, soprattutto, dell’entrata in vigore del nuovo codice penale. I costituenti e i cittadini ne sarebbero grati.


1 commento:

Roberto Loddo ha detto...

Sassari: un detenuto tenta di sgozzarsi davanti al giudice…

di Daniela Scano



La Nuova Sardegna, 28 marzo 2008



Si disperava, cercando lo sguardo della ex moglie che si stava costituendo parte civile. Piangeva e implorava: "Perché non mi guardi? Non farmi questo". All’improvviso ha urlato "guarda" e ha fatto un gesto di traverso sul collo. Per un istante i presenti hanno pensato a una minaccia, poi dalla ferita ha cominciato a sgorgare il sangue. Sei agenti si sono lanciati su Pietro Paolo Carboni, 39 anni, per strappargli la lama che chissà come era riuscito a portare fin dentro l’aula del tribunale.

Momenti di panico nell’aula delle udienze preliminari dove ieri mattina un detenuto, imputato di maltrattamenti in famiglia, ha tentato di togliersi la vita tagliandosi la gola con una lametta o con pezzetto di lamiera. Saranno le indagini ad accertare come l’uomo si sia procurato r"arma". Chi ha assistito alla scena, verificatasi durante una udienza in camera di consiglio, ha escluso che Carboni volesse compiere un gesto dimostrativo.

L’uomo, che era riuscito non si sa come a eludere i controlli in carcere, è stato salvato dalla polizia penitenziaria e ora è ricoverato nella infermeria della casa circondariale. Le ferite al collo sono numerose, almeno una decina, ma per fortuna poco profonde. Al momento del tentato suicidio in aula c’erano il Gup Massimo Zaniboni, il pm Roberta Pischedda, la moglie del detenuto con il suo legale Paolo Spano, l’avvocato difensore Nicola Satta, una praticante legale e gli agenti della scorta che avevano tradotto il detenuto da San Sebastiano.

Pietro Paolo Carboni era imputato di avere trasformato in un incubo la vita della sua compagna. Gravi episodi di violenza domestica che a ottobre avevano fatto finire l’uomo dietro le sbarre, n difensore e il pm si erano accordati per due anni di reclusione che Carboni, che ha precedenti penali, avrebbe scontato in carcere. Una scelta consapevole, quella del patteggiamento, e pochi minuti di udienza per metterla in atto. Niente faceva prevedere ciò che è accaduto anche se la dinamica dei fatti dimostra che Carboni, già autore di gesti di autolesionismo, aveva pianificato tutto.

L’uomo ha cominciato a piangere fin dal momento dell’ingresso in aula. La presenza della moglie, arrivata per costituirsi parte civile, ha peggiorato il suo stato d’animo. Mentre il giudice scriveva il dispositivo di sentenza c’è stata la drammatica escalation. Carboni si è rivolto alla donna, che si era seduta in modo da non incrociare il suo sguardo, e le ha chiesto per tre volte "perché mi fai questo?".

È successo tutto in un attimo. Pietro Paolo Carboni, al quale erano state tolte le manette dubito dopo l’ingresso in aula, ha cominciato a tagliarsi il collo e a grondare sangue. Il primo a tentare di strappare di mano la lama all’uomo è stato il suo difensore. L’avvocato Nicola Satta è stato spinto di lato dal cliente che, dicono i presenti, con una forza straordinaria si è scrollato di dosso anche tre agenti. L’udienza è stata sospesa e la moglie di Carboni è scappata fuori dall’aula in stato di choc. Pietro Paolo Carboni è stato placcato da sei poliziotti penitenziari che a fatica lo hanno ammanettato e riportato in carcere, dove l’uomo è stato medicato in infermeria.

La scena ha scosso tutti i presenti. Il giudice ha sospeso l’udienza e ha rinviato al 24 la lettura del dispositivo della sentenza. Dal Gup Zaniboni e dal segretario del Sappe, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria, sono arrivate parole di elogio per il coraggio e la prontezza di riflessi degli uomini della scorta.

L’episodio ripropone il problema della sicurezza a palazzo di giustizia. Nell’aula delle udienze preliminari non ci sono sistemi di isolamento dei detenuti dal pubblico.

Don Ettore Cannavera, riflessioni da "La Collina"

L'Associazione 5 Novembre, ha intervistato Don Ettore Cannavera, fondatore della comunità di accoglienza "La Collina", rivolta a giovani-adulti, di età compresa tra i 18 ed i 25 anni, che vengono affidati dalla Magistratura di Sorveglianza come misura alternativa alla detenzione. Un interessante intervista sui temi della Giustizia, del Carcere, del precariato giovanile e della cultura della Solidarietà e dell'accoglienza.