mercoledì 26 marzo 2008

QUATTRO PRIORITA’ PER UNA NUOVA GIUSTIZIA PENALE



ANTIGONE ONLUS
per i diritti e le garanzie nel sistema penale


QUATTRO PRIORITA’ PER UNA NUOVA GIUSTIZIA PENALE

La percezione di insicurezza che viene sbandierata al fine di giustificare provvedimenti di natura repressiva non trova spiegazioni nella dimensione qualitativa e quantitativa del crimine. Essa va comunque tenuta in considerazione in quanto insoddisfatta è la domanda di giustizia e di tutela dei diritti. La magistratura deve assicurare efficienza attraverso processi dalla durata ragionevole. Un nuovo codice penale di ispirazione garantista, la riduzione del numero complessivo di reati, la depenalizzazione delle pratiche di consumo delle droghe e della condizione di immigrato, oltre ad avere ricadute positive sul sovraffollamento penitenziario avrebbero una immediata ripercussione positiva sul lavoro dei magistrati che così potrebbero concentrarsi solo su questioni di grave portata criminale, riducendo i tempi infiniti della giustizia.

La giustizia non è al centro di questa campagna elettorale. Laddove lo è viene declinata in termini di sicurezza urbana. Non ci si preoccupa oramai più della cifra ignota del crimine, del sistema investigativo che non riesce a risolvere i veri (o presunti) crimini più gravi, della giustizia oramai al collasso, dell’inefficienza dei tribunali, della lentezza e iniquità dei processi. Dopo un quindicennio durante il quale il gioco delle corporazioni e il pro o anti-berlusconismo ha fortemente condizionato le politiche e le parole della giustizia ora è calato il silenzio. Un silenzio che non fa presagire niente di buono. Noi pensiamo che la giustizia debba essere riformata nel segno della equità, della ragionevolezza, della minimizzazione dell’impatto penale. Non rinunciamo all’idea che il diritto penale debba essere un diritto penale minimo, che la pena carceraria debba essere la extrema ratio, che vada individuata una gerarchia di beni fondamentali da proteggere e che per tutti gli altri vadano trovate forme di protezione giuridica diverse.

Riteniamo che la giustizia debba essere un terreno su cui sperimentare un modello di comunità capace di includere, di costruire coesione sociale, di restituire dignità e memoria.

1. UNA GIUSTIZIA EQUA E UNA DIFESA PUBBLICA

Il sistema della giustizia si presenta fortemente discriminatorio. Il totale delle garanzie è a disposizione dei soli che possono permettersi una adeguata difesa tecnica. I non abbienti sono esclusi da ogni forma di tutela processuale. Il sistema di difesa dell’imputato non può più prescindere dall’istituzione di una difesa pubblica realmente funzionante, complementare rispetto alla libera professione. A questo fine, vanno anche riviste le due differenti figure del difensore d’ufficio e del gratuito patrocinio, a oggi non effettivamente in grado di garantire una difesa usufruibile dalla totalità dei cittadini.

2. IL DIRITTO PENALE DEVE GIUDICARE I FATTI E NON LE STORIE DI VITA

Va rivisitato il sistema sanzionatorio, che dopo l’approvazione della legge ex Cirielli sulla recidiva, è definitivamente improntato a giudicare la storia socio-penale degli imputati piuttosto che i singoli e concreti fatti da loro compiuti. Il nostro sistema penale tende a giudicare in modo diseguale due persone che hanno compiuto lo stesso reato a seconda dei precedenti loro contestati, della loro storia personale. La recidiva, la delinquenza abituale, professionale e per tendenza sono oggi causa di pene elevatissime per fatti non gravi. È necessario ritornare al diritto penale del fatto ponendolo in contrapposizione al nuovo e pericoloso diritto penale del reo. E’ necessario investire nelle misure alternative, come dimostrato dalle statistiche, vero antidoto alla recidiva.

3. I DIRITTI VANNO PROMOSSI E PROTETTI

La giustizia penale non può superare un limite invalicabile, quello costituito dai diritti fondamentali della persona. Per questo va prevista l’introduzione di un meccanismo indipendente di tutela delle persone private o limitate nella libertà. Figura necessaria, anche alla luce di recenti obblighi internazionali (protocollo Onu alla Convenzione sulla tortura, firmato nel 2003 ma non ancora ratificato dall’Italia). Nelle carceri, nelle caserme delle forze dell’ordine, nei luoghi di detenzione amministrativa per immigrati in via di espulsione, i diritti sono inevitabilmente e quotidianamente a rischio.

4. LA TORTURA VA MESSA FUORILEGGE

A oltre vent’anni dalla ratifica della Convenzione Onu contro la tortura va conseguito l’obiettivo dell’introduzione del crimine di tortura nel nostro codice penale. L’Italia versa oggi in un pericoloso e umiliante vuoto normativo che va urgentemente colmato. La tortura è un crimine contro l’umanità e la legislazione penale vigente è assolutamente insufficiente.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Buoncammino, emergenza salute
Pisu: «Sovraffollato». Bertocchi: «Zero misure alternative»

ALESSANDRA SALLEMI
CAGLIARI. C’è un’emergenza Buoncammino: stavolta per la quantità di pazienti con disturbi psichici che affollano un carcere troppo carico di detenuti. Poi ci sono le emergenze che, al contrario del significato stretto della parola, non hanno nulla di episodico: in permanenza, a Buoncammino, ci sono meno agenti penitenziari di quanti ne servirebbero; il carcere di Cagliari è per metà popolato di tossicodipendenti; ancora e sempre restano letteralmente impraticabili i progetti per promuovere le misure alternative alla carcerazione. La situazione non è cruda perché, come spiegavano ieri gli animatori delle associazioni organizzatrici della giornata per i diritti del detenuto, la direzione di Buoncammino oggi reca l’impronta della civiltà, così anche la gestione dell’area pedagogica e c’è un ufficio del magistrato di sorveglianza dove alberga sensibilità. Ma il punto non è qui.
La buona volontà delle persone è indispensabile però, da sola, non ha gli strumenti per bene operare in una realtà complessa come un carcere. Ieri davanti a Buoncammino si sono radunate le associazioni che promuovono i diritti dei detenuti e, dopo l’ispezione all’interno del carcere, hanno tenuto una conferenza stampa: con dati sulla situazione, appelli alle istituzioni per affrontare questioni di vita o di morte per singoli detenuti, proposte per dare una cittadinanza operante ai diritti dei detenuti. Alessandra Bertocchi del Comitato oltre il carcere, Pietro Paolo Pisu consigliere regionale di Rifondazione comunista ed ex presidente della commissione Diritti civili, Roberto Loddo portavoce dell’Associazione 5 novembre (la data dello sciopero della fame davanti a Buoncammino per chiedere la scarcerazione di 15 detenuti sieropositivi), Eleonora Casula della direzione regionale di Rifondazione hanno annunciato la conferenza di domani al teatro Nanni Loy di via Trentino (si comincia alle 16.30) cui hanno aderito 21 associazioni sarde e nazionali. Il consigliere Pisu ha elencato i numeri del carcere: 404 i detenuti, 22 le donne, il 50 per cento della popolazione reclusa è tossicodipendente, un altro 20 per cento è accusato di rapine legate alle necessità provocate dalla droga, l’età media dei detenuti è di 30 anni «segno che Buoncammino funziona da discarica sociale», sottolineava il consigliere regionale, 80 sono malati di epatite B e C, su 120 c’è una doppia diagnosi di tossicodipendenza e malattia mentale, tutti sono seguiti dallo specialista psichiatra, per nessuno è stata adottata una misura alternativa al carcere. Di fronte a una situazione seria, le forze in campo sono sotto di 50 unità. Un vuoto che si allarga perché vanno via dalla casa di pena 3 agenti penitenziari ogni mese. Il nuovo istituto, in costruzione a Uta, verrà consegnato nel dicembre 2009: potrà ricevere fino a 600 detenuti, ma il direttore resterà «diviso» tra Uta e la colonia penale di Mamone.
Fin qui i numeri, ottenuti durante l’ispezione da una direzione «molto disponibile»: le associazioni hanno presentato un elenco di richieste. Loddo: «Bisogna arrivare a istituire la figura del garante dei detenuti. Esiste in alcune città (in Sardegna a Sassari), ma dovrebbe esserci dappertutto. Il garante, tra le altre prerogative, ha quella di poter fare ispezioni in qualunque momento. Rispetto alle leggi che già esistono, segnaliamo il fatto che non viene ancora rispettato il protocollo sulla territorializzazione della pena e che le misure alternative al carcere proprio non vengono avviate. Noi chiediamo con forza un’amnistia, ma non come è stato per l’indulto di 2 anni fa, che non conteneva nulla per il reinserimento sociale». Alessandra Bertocchi, una lunga esperienza di tutoraggio di detenuti e famiglie: «Un ex carcerato può anche trovare un lavoro - spiega - ma spesso non riesce a mantenerlo perché è in una condizione psicologica di grande disagio e occorre un sostegno».

Don Ettore Cannavera, riflessioni da "La Collina"

L'Associazione 5 Novembre, ha intervistato Don Ettore Cannavera, fondatore della comunità di accoglienza "La Collina", rivolta a giovani-adulti, di età compresa tra i 18 ed i 25 anni, che vengono affidati dalla Magistratura di Sorveglianza come misura alternativa alla detenzione. Un interessante intervista sui temi della Giustizia, del Carcere, del precariato giovanile e della cultura della Solidarietà e dell'accoglienza.