di Giancarlo Trovato
La Rinascita, 23 febbraio 2008
In occasione dei precedenti innumerevoli turni elettorali, facce tristi e compassionevoli accompagnavano i candidati in carcere per ricordare ai detenuti che il voto era l’ottima occasione per far valere i loro diritti. Specie se la croce andava a porsi su un simbolo di sinistra. Al momento questa tradizione sembra essere messa da parte: non c’è tempo o è tempo sprecato. Di carcere non si parla e di giustizia se ne parla a sproposito.
Sempre per colpa dei meccanismi della famigerata legge elettorale, questa volta i manovratori delle varie compagini politiche sono impegnati a tempo pieno nel fare i conti per conquistare il potere o perlomeno per occupare una strategica posizione in Parlamento.
Quanti non se la sbrogliano bene con i conti, vanno in giro e in televisione a seminare promesse: la situazione è drammatica, ma si sistema tutto! Non mancano le ricette miracolose. Anzi, c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Nell’attesa di vedere qualcuno entrare in carcere per spargere anche lì una ventata di belle promesse, al detenuto - messa da parte la speranza che qualcuno s’interessi anche di lui - non resta che guardare all’esterno e chiedersi se non sarebbe meglio prolungare per l’arco di un’intera legislatura la propaganda elettorale, quando tutti sono sicuri di realizzare quei miracoli dati per certi. Se è così facile garantire un congruo salario a tutti e se è alla portata di mano far star tranquille le mamme con ricchi benefici economici, sorge il dubbio che Prodi sia caduto sotto il fuoco amico. È pure normale chiedersi perché nei venti mesi nessuno abbia suggerito a lui le facili soluzioni, piuttosto che attendere di renderle note agli elettori.
Da destra e da sinistra l’imperativo è cambiare il Paese. E non è una gran novità. È sempre quello dalle prime elezioni dell’Italia repubblicana. Nessuno pensa che un vero cambio del Paese porterebbe pure ad un mutamento degli italiani, spingendoli a cacciare via per sempre tutti i mestieranti della politica, interessati unicamente ai bene di se medesimi e dei loro "grandi elettori". Nessuno di questi vive in carcere e tanto meno ci vuole entrare.
Nessuno, pertanto, se ne interessa nonostante ospiti circa cinquantamila cittadini, la maggioranza dei quali nell’attesa di espiare una pena per reinserirsi a pieno titolo nella società. Sono in attesa soprattutto che si metta mano a radicali riforme affinché il carcere sia realmente rieducativo. Ma di questo nessuno ne parla, trascurando che il problema della sicurezza sociale deve essere risolto partendo da lì dentro.
Spiegando i dodici punti programmatici del suo schieramento, Walter Veltroni ha posto al decimo posto quello della sicurezza e della giustizia, limitandosi a fumose affermazioni: "Dobbiamo far sentire sicuri i cittadini aumentando la presenza di agenti per strada e anche utilizzando nuove tecnologie. La vera emergenza giustizia, quella che l’opinione pubblica avverte come tale, è quella dei tempi del processo, sia penale che civile, che vedono l’Italia agli ultimi posti in Europa e nel confronto con i Paesi avanzati il mondo".
Dato che le lungaggini dell’amministrazione della giustizia colpiscono soprattutto tanti detenuti innocenti, non ha dedicato nemmeno un accenno al tema del carcere e a quello intimamente collegato del degrado sociale. Ha promesso la certezza della pena, ma ha dimenticato quanti trascorrono anni in carcere per la mancanza di certezza della sentenza.
Gli sarebbe stato sufficiente verificare quanto lo Stato spende per errori giudiziari e per ingiuste detenzioni. Non ha, però, dimenticato di porre l’accento sul fatto "che da troppi anni c’è uno scontro nel Paese sulla giustizia e tra politica e magistratura".
Non ha perso l’occasione per ricordare che ormai la giustizia è fraintesa con il lasciare in pace i potenti. Pur scimmiottando i modelli statunitensi, Veltroni ha trascurato che in America e ovunque nel mondo i potenti coinvolti in vicende giudiziarie non si sognano neanche un po’ di prendersela con i giudici, ma accettano normalmente che la giustizia faccia il suo corso, mentre in Italia il magistrato che sfiora certi interessi deve mettere in conto che potrà essere aggredito, in virtù della consolidata tattica del difendersi non tanto dalle accuse quanto dal processo.
L’insegnamento offerto al cittadino è che, invece di chiedere più giustizia, si chiede meno giustizia tutte le volte che si incrociano determinati interessi. La giustizia, oggi vista solo come campo di battaglia dove consumare vendette e scontri politici, non riacquista il suo valore e la sua dignità" con l’aumento (...promesso!) di organico e di stipendi. Amaramente l’attuale concezione della giustizia lascia irrisolto il quesito se i peggiori nemici della società civile sono veramente quelli che stanno in carcere.
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