martedì 26 febbraio 2008

Riflessioni sul Carcere, oltre le sbarre dell'Ingiustizia

Conferenza per i Diritti dei Detenuti

Cagliari, Lunedì 17 Marzo


Ore 16:30

Teatro Nanni Loy - Via Trentino

Partecipano:

Francesco Caruso - Parlamentare indipendente PRC-SE
Cristina Cabras - Criminologa - Università di Cagliari
Franco Uda - vicepresidente CNVG - Presidente ARCI Sardegna
Riccardo Arena - Direttore Radio Carcere
Gennaro Santoro - Coordinatore Associazione Antigone
Gisella Trincas - Asso. sarda attuazione riforma psichiatrica

Don Ettore cannavera - Comunità la collina - Presidente CRVG

Introduce: Roberto Loddo - Associazione 5 Novembre - GC Cagliari Dip. Diritti Civili
Coordina: Piersandro Pillonca - Giornalista Sardegna1

Per ora, hanno aderito, ed interverranno: Alessia Camedda Presidente Arci Cagliari.
Eleonora Casula segreteria regionale PRC-Se Area diritti civili, associazione "gatoobrero". Paolo Pisu - Commissione Diritti Civili Consiglio Regionale. Alessandra Bertocchi - Comitato oltre il Carcere: Libertà e Giustizia - Coordinatrice Asso. Volontariato Provincia di cagliari - Giacomo Meloni Segretario Generale CSS Confederazione Sindacale Sarda
Oscar Riccio
- Psichiatra
Leonardo Filippi - Docente di Diritto Penitenziario


Mostra dei quadri sulla Giustizia e la Libertà
di Federico Carta e Marta Anatra.

Spettacolo Musicale e Teatrale
"Di respirare la stessa aria..."

regia Roberto Pinna
con Tino Petilli, Nanni Sortino, Sergio Soi e Lucia Muzzetto.
al Flauto Davide Antinori
musiche di Simona Deidda
al Pianoforte Gianluca Erriu

Reading delle Poesie scritte dai detenuti
lette dall'attrice Marta Proietti


Pensiamo che il carcere sia da tempo diventato una sorta di sostituto autoritario delle politiche di welfare. Le logiche di privatizzazione e lo smantellamento di servizi essenziali, il taglio di risorse per le politiche sociali, la crisi e ristrutturazione del sistema di welfare producono un effetto di maggiore incarceramento delle povertà e dell’esclusione sociale: immigrati, malati psichici, senza dimora e tossicodipendenti sono i volti del disagio più rappresentati nelle statistiche penitenziarie. Per questi motivi, stiamo organizzando una Giornata per i diritti umani e civili dei detenuti e delle detenute.

Associazione 5Novembre, Giovani Comunisti e Fgci di Cagliari, l'ELSA, l'ARCI, Associazione Antigone, Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia.

inoltre, hanno aderito:
Associazione Culturale ARC Comitato oltre il Carcere: Libertà e Giustizia, Cagliari Social Forum, Associazione Centofiori, Associazione "Gato Obrero", Asarp, Associazione Sarda per l'Attuazione della Riforma psichiatrica, Radio Carcere, Associazione Arci Carovana Sarda della Pace, Assotziu Consumadoris Sardigna, CSS Confederazione Sindacale Sarda, Comitato NOalG8, Associazione "Peppino Asquer"

per informazioni, adesioni, suggerimenti e critiche:
http://associazione5novembre.blogspot.com/
bastacarceri@hotmail.it

associazionediritticivili@yahoo.it

cellulare: 3316164008

10 commenti:

Vincenzo D'Ascanio ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
Roberto Loddo ha detto...

Giustizia: Caruso; proposta Fini su lavoro forzato è del 1891

Apcom, 4 marzo 2008

"La proposta di Fini di obbligare al lavoro i detenuti come forma di risarcimento sociale è una proposta arcaica e per nulla originale, in quanto contemplata nell’art. 276 del regolamento penitenziario entrato in vigore nel Regno d’Italia nel 1891". Lo sottolinea in una nota il deputato no-global del Prc Francesco Caruso.

"Poi fortunatamente - prosegue Caruso - il mondo è andato avanti, è stata promulgata nel novembre del 1950 la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che all’art.4 sancisce appunto che "nessun detenuto può essere costretto a compiere un lavoro obbligatorio", ma Fini forse non se ne è accorto che la democrazia e i principi democratici in Europa si sono radicati e sviluppati in questi ultimi 117 anni, per lui l’obiettivo è tornare al 1891". "Speriamo solo - conclude la nota - che Veltroni non lo insegua anche in questo delirio securitario ottocentesco".

Roberto Loddo ha detto...

Giustizia: sistema penitenziario, ormai il collasso è alle porte

di Gennaro Santoro
Coordinatore Associazione Antigone

Aprile on-line, 4 marzo 2007

L’approfondimento Se anche qui da noi si continua a percorrere la strada della carcerazione di massa, come accade in America, si avrà la fine di quelle conquiste che sembravano irreversibili. La commissione Pisapia ha elaborato un progetto di codice penale che garantirebbe maggiore efficacia della giustizia e dunque maggior sicurezza delle vittime, così come degli imputati e dei condannati

Gli Stati Uniti, esportatori di diritto, vantano una popolazione carceraria superiore a quella di qualsiasi altro Paese al mondo: 2milioni e 300mila persone private della libertà. Seguono la Cina, con 1 milione e mezzo di persone in carcere, e la Russia con 890mila detenuti. L’Europa, culla dei diritti, mantiene le distanze con i suoi 600mila detenuti.

Nell’Unione Europea il tasso medio di carcerazione è di 125 detenuti ogni 100mila abitanti. In America è di mille ogni 100mila (un detenuto su 100 abitanti). Carceri etniche, quelle private e americane, se nel 2006 un afro-americano su 15 era in prigione (uno su 9 se si guarda alla fascia di età compresa tra i 20 e i 34 anni), contro la presenza dietro le sbarre di un americano bianco su 106.

Ma il modello della disuguaglianza americana, quello della repressione totale a scapito del welfare state, sembra influenzare le politiche criminali dei paesi UE, dove in 23 stati su 27 è aumentata costantemente la popolazione carceraria. Dove Sarkozy propone il carcere a vita per i recidivi. Dove l’Italia vanta il suo primato per i tempi biblici della giustizia e il 60% della popolazione carceraria è in attesa di giudizio, presunta innocente. E non scherza il nostro paese neanche in tema di detenzione etnica: i detenuti stranieri superano il 35% della popolazione carceraria (nel 1990 rappresentavano l’8%) e gli africani sono i detenuti non autoctoni maggiormente presenti.

Intanto nelle patrie galere è di nuovo allarme sovraffollamento: quasi 51.000 i detenuti, oltre 7.700 detenuti in più rispetto la capienza regolamentare. Un dato preoccupante che sarebbe diventato tragico (72.000 detenuti) se non vi fosse stato nel frattempo il tanto contestato provvedimento di indulto.

Ma le leggi criminogene sulle droghe, sull’immigrazione e sulla recidiva (ex Cirielli) continueranno a far aumentare gli ingressi in carcere, con una crescita media mensile di circa 1.000 detenuti.

Un carcere - discarica sociale dove finisce solo la manovalanza del crimine se i condannati detenuti per mafia rappresentano il 3,2% e quelli per reati contro l’amministrazione sono il 3,7% della popolazione carceraria. Un carcere che continua a caratterizzarsi per uno "standard sociale" da far tremare i polsi: il 23,4% è tossicodipendente, il 64% ha un grado di istruzione tra analfabeta e licenza media inferiore, oltre il 35% è di origine straniera. Il collasso della giustizia ipertrofica e inefficace è alle porte.

La commissione Pisapia ha consegnato al paese un progetto di codice penale che garantirebbe maggiore efficacia della giustizia e dunque maggiore sicurezza dei diritti delle vittime, così come degli imputati e dei condannati. Un codice di ispirazione garantista che ridurrebbe il numero complessivo dei reati e permetterebbe ai magistrati di concentrarsi solo su questioni di grave portata criminale, riducendo i tempi infiniti della giustizia. Ma nel circo politico si è più attenti ai pacchetti sicurezza che, come insegnano Bauman e la storia, portano più voti e permettono alla politica di nascondere le proprie responsabilità sul tramonto del welfare state.

Il carcere, come sostenevano Gramsci e i costituenti, è la cartina di tornasole di una società. Il nostro è una discarica sociale inefficace dove il 68% dei detenuti, una volta fuori, commette nuovamente un crimine. Bisogna investire su una riforma organica della materia e sulle misure alternative perché abbattono la recidiva al 19%. Bisogna trovare gli strumenti per far capire che soltanto un potenziamento delle politiche sociali può garantire (anche) più sicurezza urbana. Altrimenti la deriva americana della carcerazione di massa spazzerà quelle conquiste del dopo guerra che sembravano irreversibili. Altrimenti la dignità della persona umana non sarà più il fondamento e la ragion d’essere dello Stato.

Roberto Loddo ha detto...

Giustizia: nasce associazione per italiani detenuti all’estero

Ansa, 5 marzo 2008

Allo scopo di difendere i diritti civili dei cittadini italiani detenuti nelle carceri di tutto il mondo, è nata "Prigionieri del silenzio". L’associazione, senza fini di lucro, è presieduta da Katia Anedda, compagna di Carlo Parlanti, il manager italiano detenuto in un carcere americano da oltre 3 anni, e si avvale della consulenza legale del penalista romano Gianluca Arrighi e dell’avvocato Emanuela Santarelli.

Lo scopo,come è spiegato in un comunicato dell’associazione, è creare un movimento d’opinione pubblica in favore dei detenuti italiani all’estero e promuovere iniziative a sostegno delle famiglie sia durante lo svolgimento del processo sia nella fase del reinserimento nella vita sociale dei condannati che hanno espiato la pena. "Prigionieri del silenzio" vuole essere espressione di solidarietà in quello che, secondo l’associazione, è un settore nel quale "le istituzioni governative sembrano disinteressarsi in modo preoccupante".

Roberto Loddo ha detto...

Droghe: Ferrero; la "Fini-Giovanardi" continua a fare danni

Dire, 5 marzo 2008

"La Fini-Giovanardi continua a colpire i consumatori e il Partito Democratico non se ne preoccupa". Lo dichiara il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero, intervenendo sul caso del giovane arrestato a Catania. Un ragazzo che "trovato in possesso di una modica quantità di droga per uso personale - ricorda Ferrero - in base all’articolo 75 bis della legge Fini-Giovanardi per due anni dovrà rientrare nella propria abitazione entro una determinata ora e non uscirne prima di un’ora prefissata".

L’episodio per il ministro "mostra con chiarezza come la legge voluta dalla destra si traduca in una sorta di arresti domiciliari per un semplice consumatore di droga. Un’indicazione molto chiara - continua - di quale potrà essere l’attitudine della destra italiana se dovesse tornare a governare il Paese: altro che lotta alle narco-mafie, per questi signori il problema è punire in ogni modo i consumatori". In questo contesto, chiude il ministro, "stupisce come il Partito Democratico non abbia indicato questo tra i temi del proprio programma e non ritenga di dover dire nulla di diverso dalle destra sul tema della droga e del consumo di sostanze. Per chi ha a cuore i diritti e la libertà la Fini-Giovanardi resta infatti una legge pericolosa e da cancellare".

Roberto Loddo ha detto...

Giustizia: nasce associazione per italiani detenuti all’estero

Ansa, 5 marzo 2008

Allo scopo di difendere i diritti civili dei cittadini italiani detenuti nelle carceri di tutto il mondo, è nata "Prigionieri del silenzio". L’associazione, senza fini di lucro, è presieduta da Katia Anedda, compagna di Carlo Parlanti, il manager italiano detenuto in un carcere americano da oltre 3 anni, e si avvale della consulenza legale del penalista romano Gianluca Arrighi e dell’avvocato Emanuela Santarelli.

Lo scopo,come è spiegato in un comunicato dell’associazione, è creare un movimento d’opinione pubblica in favore dei detenuti italiani all’estero e promuovere iniziative a sostegno delle famiglie sia durante lo svolgimento del processo sia nella fase del reinserimento nella vita sociale dei condannati che hanno espiato la pena. "Prigionieri del silenzio" vuole essere espressione di solidarietà in quello che, secondo l’associazione, è un settore nel quale "le istituzioni governative sembrano disinteressarsi in modo preoccupante".

Roberto Loddo ha detto...

Giustizia: sovraffollamento europeo, di Patrizio Gonnella

Italia Oggi, 6 marzo 2007


Sono circa 600 mila i detenuti, definitivi o in attesa di giudizio, ristretti nelle carceri dei 25 paesi dell’Unione europea. Di questi, circa 131 mila sono in attesa di giudizio. Ossia meno di un quarto del totale della popolazione ristretta. In Italia la percentuale delle persone presunte innocenti si aggira invece intorno a un preoccupante 60%.

Un dato che sicuramente è frutto dell’indulto, grazie al quale sono usciti dalle carceri principalmente i condannati, ma è anche un segnale di un uso eccessivo della custodia cautelare, che caratterizza da sempre la giustizia italiana e che le Camere Penali altrettanto da sempre denunciano. Questi sono alcuni dei dati emersi durante un incontro organizzato su scala europea dai sindacati dei pubblici servizi aderenti alla Fsesp (per l’Italia la Cgil Funzione Pubblica) che da Bruxelles sino a Roma, passando per Londra, hanno denunciato nei giorni scorsi il grave sovraffollamento carcerario in tutti i paesi europei nonché le difficili condizioni di lavoro del personale penitenziario.

Circa 30 mila sono le donne detenute nei 25 paesi dell’Unione europea. Esse rappresentano più o meno il 5% dell’intera popolazione carceraria. Un dato analogo riscontriamo in Italia. Le donne delinquono molto meno che gli uomini e commettono in media reati meno gravi. Nell’Unione europea negli ultimi anni in 23 stati su 27 è aumentata costantemente la popolazione carceraria.

Quattordici stati su 27 hanno superato il limite della capienza regolamentare. I paesi con maggiori problemi di sovraffollamento (rapporto tra il numero di carcerati e il numero di posti letto regolamentari) sono la Grecia (168%), la Spagna (140%), l’Ungheria (137%) e il Belgio (117.9%). L’Italia si colloca in un non lusinghiero quart’ultimo posto, appena sotto il Belgio con un 117,8%, nonostante l’indulto abbia contribuito ad alleggerire le nostre prigioni. Senza il provvedimento di clemenza oggi saremmo infatti a circa 70 mila detenuti e contenderemmo all’Ungheria il terzo posto, europeo tra i paesi più sovraffollati.

Tra i 14 paesi che non superano il limite della capienza regolamentare il primato positivo spetta alla Slovenia, seguita da Danimarca, Finlandia, Irlanda e Svezia. I tassi di carcerazione (numero di detenuti ogni 100 mila abitanti) sono anch’essi elevatissimi. Il primato negativo spetta all’Estonia (321,6), seguita dalla Lettonia (285,3), Lituania (237,0), Polonia (229,9), Repubblica Ceca (185,6).

L’ingresso nell’Ue dei paesi dell’Est ha provocato un rialzo dei tassi di carcerazione. Nell’Europa occidentale il primato spetta al Lussemburgo (163,6), seguito da Spagna (146,1) e Inghilterra (145,1). In termini assoluti, e non percentuali, la Polonia è lo stato con più detenuti: quasi 90 mila.

Il paese con il minore tasso di carcerazione è la Slovenia (65,0) seguita da Danimarca (69,2), Finlandia (70,6), Manda (74,3) e Svezia (79,0). Malta con i Suoi 343 reclusi è il paese con il minori numero di detenuti in tutta Europa. L’Italia è sotto i 100 detenuti ogni 100 mila abitanti.

Ma negli ultimi mesi la popolazione reclusa cresce di 1.000 unità al mese, per cui ci si può ragionevolmente attendere il superamento della fatidica quota 100 nel giro di poche settimane. In media vi è un poliziotto penitenziario ogni 283 detenuti. Un dato imparagonabilmente più basso di quello nostrano, dove, al contrario, il rapporto è pari quasi a un poliziotto per ogni detenuto. È anche vero che una percentuale significativa di appartenenti al corpo di polizia penitenziaria svolge compiti amministrativi e quindi non è direttamente impegnata in attività istituzionali.

Roberto Loddo ha detto...

Le detenute e i bambini del carcere di Bellizzi

di G. Santoro (Associazione Antigone)



Ma le detenute godono degli stessi diritti dei detenuti? Una domanda del genere potrebbe apparire superflua e dalla risposta scontata. Da un’analisi che va oltre le apparenze, al contrario, possiamo affermare che le donne nelle carceri italiane sono discriminate. Proviamo a capire perché.

Il primo dato che colpisce parlando di donne e criminalità è rappresentato dal basso numero di reati commesso dalle stesse rispetto agli uomini e la conseguente minor presenza femminile negli istituti di pena - al 31 dicembre 2005, rappresentano il 4,7% della intera popolazione carceraria, costituita complessivamente da circa 60000 persone).

In presenza di questi dati si deve registrare una tendenza delle istituzioni, ma anche degli studiosi, a trascurare un ambito - la detenzione femminile - che non sembra suscitare particolare allarme sociale. Poiché costituita da poche donne questa è di fatto considerata alla stregua di una mera tematica aggiuntiva, secondaria, di cui è facile sottovalutare e ignorare la specificità.

Le carceri italiane esclusivamente femminili sono sette (Trani, Pozzuoli, Rebibbia, Perugia, Empoli, Genova e Venezia), ma in esse è recluso meno di un terzo del totale. Tutte le altre, il 65,5%, sono disperse in 62 piccole sezioni femminili di carceri maschili, dove possono trovarsi anche meno di dieci donne.

Ad Avellino, in occasione della visita effettuata dall’associazione Antigone in data 14 maggio 2005, abbiamo potuto riscontrare che su una popolazione complessiva di 378 detenuti, 28 sono le detenute ristrette in una piccola sezione distaccata.

Ora, considerando la ristrettezza dei fondi destinati alle attività trattamentali finalizzate al reinserimento sociale dei/lle detenuti/e (istruzione, formazione professionale etc.) è intuibile che la maggior parte degli stessi sono destinati ai reclusi piuttosto che alle recluse.

Avviene così, ad es., che mentre nella sezione maschile sono presenti la scuola elementare, media e geometra, al femminile è possibile frequentare la sola scuola elementare; ancora, mentre al maschile si svolge un corso di teatro, uno di filosofia e vi è una biblioteca, al femminile non si svolge nessuna attività significativa e lo spazio adibito a biblioteca non ha neanche un libro. Lo stesso discorso si ripropone a proposito delle attività di formazione professionale: mentre al maschile è possibile frequentare corsi di fotografia, elettricista, decoro d’ambiente, confezioni abiti da lavoro, termo - idraulica, tappezzeria-falegnameria, ceramica, sartoria, gli unici corsi presenti al femminile sono rappresentati da maglierista e confezionista.

Per altro verso, non bisogna infine trascurare la peculiarità dell’essere donna, ad es., per ciò che attiene alle esigenze igieniche e sanitarie - ad es., necessità di visite specialistiche diverse da quelle richieste ed espletabili negli istituti maschili.

A quest’ultimo proposito bisogna ricordare che nel carcere di Avellino uno dei problemi maggiori riscontrati è rappresentato proprio dal fatto che per i ricoveri ordinari nei Centri medici dell’Amministrazione esterni si può aspettare anche 6 mesi.

Tale stato dell’arte, lungi dall’essere una peculiarità avellinese, caratterizza l’intero contesto nazionale, proprio a causa del numero limitato delle detenute e della loro dispersione in 62 mini sezioni (che possono ospitare anche solo 2 detenute) ubicate in strutture maschili.

Nelle carceri invece destinate esclusivamente alle detenute notiamo che - per motivi diametralmente opposti, ossia a causa del sovraffollamento- avviene ugualmente che le attività trattamentali finalizzate al reinserimento sociale delle detenute risultano essere insufficienti.

Prendiamo il caso di un altro istituto di pena campano, il carcere di Pozzuoli, dove su una capienza regolamentare di 90 detenute sono presenti in media 180 ristrette(sic!): in questo carcere i problemi maggiori sono costituiti evidentemente dalla mancanza di condizioni di vita minime - ed accettabili in un paese che ama definirsi democratico - piuttosto che dalla assenza di attività trattamentali significative..

Per avere un’idea di cosa significhi un istituto femminile sovraffollato, riporto la denuncia del del garante dei diritti dei detenuti del Comune di Roma che riguarda donne e bambini detenuti nella sezione di Alta Sicurezza del carcere di Rebibbia femminile. "Quattro madri in attesa di giudizio definitivo, quattro bambini e un’altra detenuta dividono qui la stessa cella; di giorno, per ricavare un po’ di spazio per passare, i lettini dei bambini vengono spostati nel corridoio della sezione, la sera, anche quel minimo spazio scompare, si diventa in troppi, l’ansia e la promiscuità crescono e i bambini le subiscono". I bambini in carcere!?

Sì, anche i bambini sono in carcere, e a Bellizzi in media ce ne sono 8. La legge 40 del 2001 ha cercato di arginare tale aberrazione riuscendovi solo in parte: ogni anno in media negli istituti di pena italiani vi sono una sessantina di piccoli innocenti insieme le loro madri e, in ipotesi eccezionali, anche donne incinta.

La legge sopra menzionata permette di ottenere il differimento obbligatorio della pena (o la detenzione domiciliare) per le condannate definitive in stato interessante o con prole di età inferiore ad un anno; il differimento facoltativo (o la detenzione domiciliare) per le definitive con prole fino ai 3 anni.

Per le detenute in attesa di giudizio definitivo (oltre il 40% delle ristrette) non vale tale regola e il tutto è rimesso alla discrezionalità dell’autorità giudiziaria.

E in questo caso si realizza una discriminazione nella discriminazione, ovvero le detenute più discriminate sono le straniere: infatti per le stesse sarà più difficile, se non impossibile, trovare un sostegno nel mondo esterno (in primis, una casa e un lavoro) tale da poter far ritenere al giudice procedente che non sussistano gravi indizi di possibile reiterazione del reato, o il pericolo di fuga; tali motivazioni, impedendo la concessione della detenzione domiciliare, comportano l’obbligo di trattenere in carcere per motivi cautelari anche chi ha commesso reati di lievissima entità e di scarso disvalore sociale (ad es., furto in un supermercato).

Così più della metà dei bambini in carcere, ad Avellino come nel resto d’Italia, e tutte (o quasi) le donne incinta in carcere sono straniere.

Partendo da tali considerazioni le associazioni Antigone e Zia Lidia Social Club e il gruppo musicale Lumanera hanno cercato, con diverse iniziative, di sensibilizzare l’opinione pubblica irpina sul tema dei bambini in carcere e sulla peculiarità della detenzione femminile (specie delle detenute madri e/o straniere).

Per altro verso, anche grazie alla disponibilità della direzione dell’istituto irpino, si è riusciti a portare nel reparto femminile del carcere spettacoli di animazione e musicali per i piccoli ristretti e le loro madri.

Quel che abbiamo potuto riscontrare in occasione dei nostri sporadici ingressi in istituto è che, nonostante la presenza di un nido spazioso e ben attrezzato all’interno della sezione, l’impegno enorme profuso da parte della direzione, del personale penitenziario e di alcune associazioni che costantemente operano nella sezione femminile, la detenzione per i bambini può essere un dramma irreparabile, che necessita principalmente di interventi sul piano legislativo nazionale, come ad es., la previsione e la creazione di case famiglie destinate alle detenute madri che possano impedire la detenzione di piccoli innocenti, costretti a vivere vedendo il cielo a scacchi, dietro le sbarre di una prigione. Cosa possono fare la nostra comunità e le nostre istituzioni locali?

Quel che è possibile fare subito, sul piano locale, è creare una convenzione tra enti locali, direzione dell’istituto e associazionismo interessato che permetta di portare i bambini fuori dall’istituto almeno una volta a settimana, per non far dimenticare ai piccoli ristretti cosa è la vita fuori dalle mura e dalle celle, per fargli scoprire (o per non fargli dimenticare) cosa è la montagna, il mare, o più semplicemente il corso, il traffico o il mercato di Avellino. Non bisogna dimenticare, infatti, che in altre città italiane ciò già avviene. Da un lavoro intitolato Donne in prigione - curato da Laura Astarita e Marina Graziosi e pubblicato su "Antigone in carcere", a cura di G. Moscone e C. Sarzotti, Carocci Editore 2004 - risulta infatti che nella città di Roma esiste una convenzione con il Comune capitolino grazie alla quale ogni mattina i figli delle detenute che acconsentono, vengono portati agli asili nido presenti nel territorio.

"Questo carcere, inoltre, beneficia dell’attività di una intensa rete di volontariato, tra cui i volontari dell’Associazione "A Roma insieme", che ogni sabato accompagnano i bambini in giro per la città, in gita, al mare o in montagna, offrendo loro una giornata di "vita fuori", di "normalità": la libertà di movimento, la luce del sole, del verde, niente celle che si chiudono, relazioni umane che non siano sempre e solo con le stesse detenute e le stesse agenti di polizia."

Anche a Torino è stata stilata una convenzione con il Comune, grazie alla quale i bambini, 3 volte la settimana, frequentano gli asili nido comunali; in più, una volta la settimana, le educatrici dei nido esterni possono entrare in carcere.

L’esistenza di convenzioni con gli enti locali per poter far frequentare gli asili nido esterni è stata riscontrata anche nelle città di Firenze, Perugia e Venezia.

"Nel carcere di Firenze è stato avviato un progetto con il Consultorio del territorio in cui si trova l’istituto, a tutela della salute delle donne e dei bambini. Grazie a tale iniziativa, ogni bambino ha un medico pediatra che lo segue, scelto dalla mamma tra 5-6 pediatri di riferimento, che si reca in carcere ogni settimana.

Inoltre, la direzione sta cercando di rendere più agevole la comunicazione tra la mamma e il medico, di eliminare gli intermediari, nell’ottica di rendere la chiamata un effettivo primo momento di accoglienza della donna, una sorta di valvola di sfogo che possa servire a un primo calo della tensione e a verificare l’urgenza e l’importanza del problema segnalato.

I bambini vengono anche portati, se possibile con le madri, al Consultorio per le vaccinazioni; sono, in pratica, presi in carico completamente dalla ASL.

Il Consultorio funziona anche per le altre donne, con un servizio di educazione sanitaria, di assistenza ginecologica, di ostetricia."

Da questa breve analisi comparativa con altre città italiane, possiamo giungere alla conclusione che ad Avellino i piccoli innocenti in carcere sono discriminati rispetto ai bambini presenti in altre strutture, perché non hanno la possibilità di accedere al mondo esterno.

Quindi, nonostante l’esistenza di un nido ben attrezzato e l’impegno profuso dalla direzione dell’istituto e da parte di diversi attori della società civile irpina, vi è l’improcrastinabile esigenza di un intervento delle istituzioni locali che, sulla scorta delle esperienze più su citate, permettano di creare le condizioni per alleviare il dramma di un’infanzia in carcere.

Roberto Loddo ha detto...

L'Altra Voce

martedì 11 marzo 2008

Inutile cercare dignità e rieducazione
in fondo al pozzo del carcere
che umilia l'uomo e ne calpesta i diritti

di Roberto Loddo

La questione dell'esecuzione penale deve essere prima di tutto una questione culturale. Leggendo i dati del DAP degli ultimi venti anni, difficilmente possiamo considerare il carcere come la soluzione alle criminalità. Chiunque legga questi dati, dai numeri alla composizione sociale, rimarrà sorpreso nel notare che è più facile individuare dentro le percentuali migranti, prostitute, tossicodipendenti e meridionali. Uomini e donne che per la loro condizione perdono qualsiasi contatto con la società, o peggio, con la parte più produttiva della società.

Per questi motivi, come Associazione 5 Novembre, Arci e Antigone, insieme ad altri movimenti, stiamo organizzando una conferenza per i diritti dei detenuti. Mai come ora, dopo l'indulto il carcere è stato così isolato. Ha ragione il direttore di “Diritti Globali”, Sergio Segio, quando dice che le carceri sono diventate un sovraffollato deposito di “vite a perdere”, in particolare di migranti e tossicodipendenti. Perché chi entra in carcere è un emarginato, ma chi ne esce, in assenza di una politica di inclusione e reinserimento sociale, è emarginato due volte.

Tutto ciò accade mentre i Governi europei, in assenza di garantismo negli interventi sociali, acquisiscono una percezione della realtà sociale distorta, inquinata da un pensiero intollerante, emergenzialista e giustizialista che nasce delle voci che provengono dagli “stomaci” delle società. Strategie di risoluzione che aumentano solo le disuguaglianze e ci portano ad un nuovo Medioevo. Strategie di contenimento sociale, della volontà di escludere, segregare e nascondere i disagi sociali che la nostra società produce e poi scarica verso il Carcere.

A Cagliari, l'aspetto più drammatico del sistema penale è Buoncammino. Chiamato anche carcere della pazzia, della droga e della malattia, attraverso la testimonianza di Santino, ex persona detenuta, che dalle lettere inviate a Radio Carcere scrive: «Rumore. Urla. Depressione e pazzia. Psicofarmaci. Droga. Vino e valium. Bombolette di gas da sniffare. Lamette da barba per tagliarsi. Sporcizia. Puzza. Topi e scarafaggi. Malati mentali. Tossici. Malati fisici. Chi sta sulla sedia a rotelle. Chi ha l'epatite o l'aids. Chi ha la scabbia, la tubercolosi e la meningite. Ogni tanto, in una cella vedi una cinghia attaccata alle sbarre, e lì appeso uno dei tanti che non ce l'hanno fatta».

Se il carcere sembra precipitato in un pozzo senza fondo, se emerge una situazione di vero e proprio sfascio delle legalità, di azzeramento della dignità e rispetto dei diritti umani e civili delle persone detenute, allora come Associazione 5 Novembre, proponiamo una soluzione: l'amnistia. Indulti e indultini da soli non bastano, poiché estinguono solo la pena e non comportano una sentenza di assoluzione. L'amnistia estingue il reato e, se vi è stata condanna, fa cessare l'esecuzione della condanna e le pene accessorie.

L'amnistia in Italia è prevista dall'art. 79 della Costituzione. I decreti del Presidente della Repubblica del 1946 e del 1953 fecero beneficiare dell'amnistia per la prima volta i condannati per reati comuni, politici e militari. Dal 1992 una riforma costituzionale ha attribuito questo potere al Parlamento.

Al mondo della politica chiediamo l'attuazione di questo provvedimento, accompagnato dal diritto di associazione dei cittadini detenuti, dalla decarcerizzazione di malati psichici, tossicodipendenti e sieropositivi, dall'aumento delle concessioni alle misure alternative, dalla riforma del codice penale a partire dall'abolizione dell'ergastolo e dalla depenalizzazione dei reati minori.

Vogliamo giustizia consapevole: le prigioni sono un invenzione del medioevo, e l'uomo moderno deve individuarne il superamento.

Associazione 5 Novembre
“Per i Diritti Civili”

Roberto Loddo ha detto...

Alla Cortese Attenzione
di tutti gli organi di Informazione

Avviso di Conferenza Stampa


Cagliari, mercoledì 12 marzo ’08

Oggetto: Conferenza stampa di presentazione della Giornata per i diritti dei detenuti Sabato 15 Marzo, alle ore 11:30 sotto il Carcere di Buoncammino.


Si informano i giornalisti che Sabato 15 Marzo, alle ore 11.30, sotto il Carcere di Buoncammino è convocata la conferenza stampa dell’Associazione 5 Novembre “Per i Diritti Civili”.

Presenteremo la Giornata per i diritti dei detenuti di Lunedì 17 Marzo. Una giornata che prevede una Conferenza per i diritti dei detenuti, presso il Teatro Nanni Loy alle 16:30. interverranno esponenti politici, esperti e rappresentanti di associazioni e comunità impegnate in difesa dei diritti dei detenuti. L'appuntamento si concluderà con lo spettacolo musicale e teatrale Di respirare la stessa aria di Roberto Pinna e un reading di poesie scritte dai detenuti. Ci sarà anche una mostra di quadri sulla giustizia e la libertà di Federica Carta e Marta Anatra.

Durante la conferenza stampa si terrà un Sit – In, sempre sotto il carcere di Buoncammino per denunciare il mancato rispetto dei diritti civili, umani e sociali dei detenuti, promosso delle associazioni aderenti all’iniziativa.

È prevista un visita all’interno del Carcere di Buoncammino, effettuata dal consigliere regionale Paolo Pisu, componente della commissione diritti civili del Consiglio Regionale. che riferirà durante la conferenza stampa sulle condizioni di detenzione dei detenuti di Buoncammino.

In allegato troverete la locandina della Giornata dei diritti dei detenuti.


Distinti Saluti
Roberto Loddo
Cristiano Scardella
Associazione 5 Novembre “Per i Diritti Civili”

Per informazioni:
associazione5novembre.blogspot.com
associazionediritticivili@yahoo.it
cellulare: 3316164008

Don Ettore Cannavera, riflessioni da "La Collina"

L'Associazione 5 Novembre, ha intervistato Don Ettore Cannavera, fondatore della comunità di accoglienza "La Collina", rivolta a giovani-adulti, di età compresa tra i 18 ed i 25 anni, che vengono affidati dalla Magistratura di Sorveglianza come misura alternativa alla detenzione. Un interessante intervista sui temi della Giustizia, del Carcere, del precariato giovanile e della cultura della Solidarietà e dell'accoglienza.