Resoconto
della visita conoscitiva sulle condizioni di vita della comunità
penitenziaria effettuata da Claudia Zuncheddu, consigliera regionale
di Sardigna Libera, Sulaiman Hijazi, portavoce della comunità
mussulmana e Roberto Loddo, associazione “5 Novembre”.
Il
carcere di Macomer è comunemente considerato un carcere punitivo da
parte di molti detenuti, ex detenuti e osservatori del mondo della
comunità penitenziaria. Un istituto dalla “disciplina
più accentuata”. Una
preoccupazione che ha determinato la visita della nostra delegazione.
Macomer
è un carcere di soli uomini e sovraffollato trasformato in un forno
insopportabile dal caldo estivo. Nelle
celle che possono ospitare due detenuti, attualmente vengono
ristretti in tre, con l'aggiunta
di un letto a castello. Alle condizioni invivibili dei detenuti
abbiamo constatato l'elevato utilizzo di turnazioni pesanti e
irregolari da parte del personale. Questo carcere ospita 80 detenuti
comuni, di cui quattro ristretti nell'ala separata chiamata “AS2”
(Alta Sorveglianza). Abbiamo visitato sia la sezione AS2 sia i due
piani della sezione dei detenuti comuni. Abbiamo incontrato i
detenuti e dialogato con alcuni di loro, e ci siamo confrontati con
il direttore del carcere, Gianfranco Monteverdi, il medico, Dott.
Massimo D'agostino, il vice commissario e comandante di reparto
Angelo Giardino e l'ispettore superiore Antonio Cuccu.
Le
zone grigie della sezione dell'alta sorveglianza.
In questa ala del carcere, costruita per ospitare 30 detenuti, sono
presenti quattro persone, di cui due tunisini, un algerino, un
irakeno (un quinto detenuto di nazionalità francese, non era
presente al momento della visita per la partecipazione a un processo)
tutti accusati di terrorismo internazionale e suddivisi in celle
singole. Questo tipo di alta sorveglianza rappresenta un livello di
sicurezza tre volte più alto rispetto ai detenuti comuni ed è
riconducibile ad un circuito di tre prigioni che si trova anche a
Benevento e Rossano (CS). Nel 2009 questa sezione ha ospitato, pur
per poco, un detenuto arrivato dal famigerato carcere di Guantanamo e
trenta persone accusate di terrorismo internazionale. Si sono
verificati in passato episodi di tensione, denunciati nel Giugno del
2009 anche dall'associazione nazionale “Antigone” tra gli agenti
di polizia penitenziaria e i detenuti di religione islamica. L'ultimo
episodio, nel febbraio del 2012 causato da una perquisizione. Gli
sguardi delle persone detenute nella sezione AS2 sono sguardi di
persone terrorizzate, alcuni di loro ci hanno dichiarato di non
sapere come passare il tempo e di soffrire il caldo. Chiedono un
sostegno sopratutto perché il Ramadan sta arrivando, e alcuni di
loro durante la visita ci hanno dichiarato che non possono farsi
inviare ne carne ne datteri, perché sostengono, che 40 euro al mese,
non bastano per comprare nulla.
Il
tentativo di rivolta. Secondo
l'agenzia Adnkronos del 21 Giugno, ci sarebbe stato un tentativo di
rivolta nel carcere, poi sedata dagli agenti della polizia
penitenziaria. Abbiamo chiesto spiegazioni sull'accaduto e il
direttore ci ha dichiarato che non ci sarebbe stata nessuna rivolta.
Il protagonista è un giovane detenuto di nazionalità rumena,
precedentemente detenuto a Sassari e inviato a Macomer in quanto è
presente anche il fratello, che abbiamo incontrato. Il detenuto è un
sofferente mentale che ha rischiato l'invio in Ospedale psichiatrico
giudiziario, e, secondo il direttore, avrebbe inscenato un grave
episodio di autolesionismo. Avrebbe cercato di conficcarsi un pezzo
di forchetta nella testa come estremo gesto di protesta, ma
l'episodio sarebbe stato sventato dagli agenti.
Condizioni
di vita, trattamento, lavoro esterno.
Il direttore del carcere, Gianfranco Monteverdi è presente
nell'istituto due volte a settimana. Da un confronto con la direzione
e il personale del carcere, emerge che il problema del personale
sottodimensionato, (problema certamente più accentuato in molte
altre carceri italiane) a Macomer è ancora tollerabile e gestibile.
Non sono particolarmente rilevanti le percentuali riguardanti
detenuti che vivono l'esperienza della sofferenza mentale, della
tossicodipendenza, della doppia diagnosi e dell'Hiv. Il 60% delle
persone detenute in questo carcere è di origine migrante, in
prevalenza dell'Europa dell'Est. L'ora d'aria è permessa per due ore
al giorno. Attualmente 14 detenuti sono coinvolti in due progetti di
lavoro all'esterno (articolo 21, ordinamento penitenziario). Un
progetto dell'Enap di Ghillarza che coinvolge 7 detenuti in
prevalenza sardi e italiani con corsi di formazione professionale per
ristorazione. Attualmente frequentano lo stage a Santa Cristina. Il
secondo progetto, coinvolge detenuti in prevalenza stranieri, ed
finanziato dalla Cassa delle ammende con 5 mila euro per lavori di
giardinaggio. L'importanza di questi progetti è fondamentale per il
miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti e degli operatori
in quanto con le celle aperte al lavoro esterno diminuirebbero
progressivamente le tensioni e le rivolte. Sopratutto oggi, con il
personale sempre più sottodimensionato e l'invivibilità causata dal
caldo infernale.
Violato
il principio di territorialità della pena.
Da sottolineare ancora l'illegalità strutturata in tutte le carceri
italiane e sarde della “non applicazione” del principio di
territorialità della pena. Totalmente disattesa la legge
sull'ordinamento penitenziario e sulla concreta attuazione del
protocollo d'intesa tra il Ministro della Giustizia e la Regione. Se
sono numerosi i detenuti sardi, in esecuzione di pena o in attesa di
giudizio, rinchiusi nelle carceri della penisola, a Macomer, sono
invece numerosi i detenuti che vengono trasferiti nell'istituto, in
assenza di famiglia e considerati “non più gestibili”.
Anche
a Macomer stenta a decollare l'applicazione della riforma sanitaria.
Il rinvio a settembre dell’effettivo passaggio della sanità
penitenziaria alla Regione Sardegna deve garantire il rispetto del
diritto alla salute dei cittadini privati della libertà personali e
il rispetto delle tutele sindacali delle lavoratrici e dei lavoratori
della salute penitenziaria. Il. Da un confronto con il personale
medico del carcere emerge la preoccupazione del rischio di un
disconoscimento dei ruoli e delle competenze maturate in decenni di
servizio. Sono davvero tanti i problemi legati al definitivo
trasferimento delle funzioni di assistenza sanitaria in carcere
dall’amministrazione penitenziaria al SSN. Il principio
costituzionale della tutela alla salute non viene ancora rispettato,
e il cittadino detenuto continua ad avere una disparità di
trattamento rispetto al cittadino libero.
Claudia
Zuncheddu - consigliera
regionale di Sardigna Libera
Sulaiman
Hijazi - portavoce
della comunità mussulmana
Roberto
Loddo - associazione
“5 Novembre”
contatti:
Claudia
Zuncheddu - 3204270182
Sulaiman
Hijazi - 3476251914
Roberto
Loddo - 3316164008
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