La Bernardini ha ragione. La Giustizia in Italia si trova in uno stato disastroso. Da garantista penso che occorra un maggiore rispetto delle garanzie di tutte le dimensioni della giustizia in Italia: dal cittadino vittima, al cittadino imputato. La magistratura non deve essere sottomessa al potere esecutivo, ma neanche rimanere all'interno di un recinto autoreferenziale e autogestito. Per questi motivi, per l'affermazione dei principi dello stato di diritto, sono favorevole all'attuazione della responsabilità civile anche per i giudici. Per ciò che riguarda lo stato del sistema dell'esecuzione penale, sono straconvinto che l'Amnistia è la ricetta giusta per ripristinare la legalità costutizionale nelle carceri italiane e arginare l'azzeramento quotidiano della dignità delle 64 mila persone detenute. L’attuazione di questo provvedimento, deve necessariamente essere accompagnato dal diritto di associazione dei cittadini detenuti, dalla decarcerizzazione dei malati psichici, tossicodipendenti e sieropositivi, dall’aumento delle concessioni alle misure alternative, dalla riforma del codice penale a partire dall’abolizione dell’ergastolo e dalla depenalizzazione dei reati minori.
Roberto Loddo
Associazione 5 Novembre
di Rita Bernardini
(Radicali Italiani)
Terra, 27 giugno 2009
Lo stato della giustizia in Italia ha raggiunto livelli di inefficienza assolutamente inaccettabili, sconosciuti in altri Paesi democratici. Da anni e in modo permanente l’Italia versa, in una situazione di illegalità tale da aver generato numerosissime condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. Questa denuncia costantemente documentata nel corso dei decenni dai Radicali oggi è riconosciuta ovunque nel panorama politico italiano, ma poco credibili sono i richiami alla riforma di quella che efficacemente Pannella ha definito "la più grande questione istituzionale e sociale del nostro Paese". Oggi Silvio Berlusconi invoca la separazione della carriere dei magistrati e la trasformazione del Csm troppo correntizio, ma nel suo discorso di insediamento alle Camere volto a illustrare il programma di governo, non fece alcun cenno ai temi della giustizia se non legandoli al problema quanto creato ad arte della sicurezza.
Terra, 27 giugno 2009
Lo stato della giustizia in Italia ha raggiunto livelli di inefficienza assolutamente inaccettabili, sconosciuti in altri Paesi democratici. Da anni e in modo permanente l’Italia versa, in una situazione di illegalità tale da aver generato numerosissime condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. Questa denuncia costantemente documentata nel corso dei decenni dai Radicali oggi è riconosciuta ovunque nel panorama politico italiano, ma poco credibili sono i richiami alla riforma di quella che efficacemente Pannella ha definito "la più grande questione istituzionale e sociale del nostro Paese". Oggi Silvio Berlusconi invoca la separazione della carriere dei magistrati e la trasformazione del Csm troppo correntizio, ma nel suo discorso di insediamento alle Camere volto a illustrare il programma di governo, non fece alcun cenno ai temi della giustizia se non legandoli al problema quanto creato ad arte della sicurezza.
Un silenzio significativo che come delegazione radicale all’interno del gruppo parlamentare del Pd non esitammo a censurare in aula, seppure dichiarandoci pronti a dare il nostro contributo nel momento in cui l’attuale maggioranza avesse deciso di elaborare e mettere all’ordine del giorno un piano per una riforma organica della giustizia. È da tempo, infatti, che noi Radicali riteniamo non più rinviabile un intervento legislativo che non solo difenda il "giusto processo", garantisca la "terzietà" del giudice, riformi il codice penale e la legge sull’ordinamento giudiziario, ma che, soprattutto, si ispiri a un’idea organica e moderna della funzione del processo e della pena.
Continuare, invece, a contrapporsi, come fino a oggi è avvenuto, tra destra e sinistra, su specifici interventi settoriali, sulle singole norme, spesso partendo da singoli episodi di cronaca, non è degno della funzione della politica. A parte le considerazioni assolutamente negative sul famigerato Lodo Alfano dove, perlomeno, le intenzioni sono palesi, anche la nuova disciplina sulle intercettazioni telefoniche, approvata alla Camera e attualmente in discussione al Senato, pare ispirata a una visione del legislatore miope e limitata (la necessità di impedire illegittime pubblicazioni di notizie di reato), senza farsi carico di come questo indispensabile intervento legislativo debba inserir si nel più ampio panorama dei mezzi investigativi e della formazione della prova.
Continuare, invece, a contrapporsi, come fino a oggi è avvenuto, tra destra e sinistra, su specifici interventi settoriali, sulle singole norme, spesso partendo da singoli episodi di cronaca, non è degno della funzione della politica. A parte le considerazioni assolutamente negative sul famigerato Lodo Alfano dove, perlomeno, le intenzioni sono palesi, anche la nuova disciplina sulle intercettazioni telefoniche, approvata alla Camera e attualmente in discussione al Senato, pare ispirata a una visione del legislatore miope e limitata (la necessità di impedire illegittime pubblicazioni di notizie di reato), senza farsi carico di come questo indispensabile intervento legislativo debba inserir si nel più ampio panorama dei mezzi investigativi e della formazione della prova.
Da questo punto di vista pei noi Radicali il problema non è tanto (e comunque non solo) di quali tipologie di reati "intercettare" o per quanto tempo, ma della effettività dei controlli sui parametri legislativi che già oggi sono previsti dal codice di procedura penale (il giudice che autorizza l’intercettazione non è infatti un giudice terzo stante la mancata separazione delle carriere). È bene fin da ora chiarire che anche la migliore e ideale riforma, sarà nulla se non si partirà con un azzeramento della situazione esistente: la zavorra dei quasi tre milioni e mezzo di processi penali pendenti, infatti, non potrà far decollare nessuna riforma. C’è dunque bisogno di una amnistia. Era quello che avevamo chiesto assieme a presidente della Repubblica Napolitano con la "Marcia di Natale del 2005" e di cui c’era bisogno per il Paese. È quello di cui hanno bisogno gli stessi magistrati per tornare a lavorare serenamente t in condizioni umanamente accettabili.
Insomma, l’amnistia rappresenta un atto di buon governo ormai necessario e, dati alla mano, assolutamente improcrastinabile. Basti pensare al fatto che a fronte dei quasi 64mila detenuti ogni anno 140mila reati cadono in prescrizione. Ciò vuol dire che all’aumento delle carcerazioni si accompagna un altrettanto vertiginoso aumento delle prescrizioni. Da una parte, dunque, abbiamo l’amnistia strisciante, crescente, nascosta e di classe delle prescrizioni e, dall’altra, il popolo e le cifre dell’esclusione sociale, dei senza avvocati e senza difesa, degli immigrati e dei tossicodipendenti, ultra penalizzati e verso i quali si scarica per intero e inesorabilmente la mano pesante della macchina della giustizia. Mi dà fiducia concludere con una citazione di Nicolò Amato, capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria in anni difficili, durante il recente Congresso Uil penitenziari: "L’utopia alcune volte salva la speranza, perché come diceva un’antica massima, "gli innocenti non sapevano che la cosa era impossibile, e dunque la fecero".
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