
di Patrizio Gonnella
(Presidente Associazione Antigone)
Il Manifesto, 4 febbraio 2009
"Gentile Augias, ho 49 anni, vivo a Roma, lavoro al Quirinale, ho studiato, leggo buoni libri, mi interesso di politica, leggo ogni giorno 2 quotidiani, guardo in tv Ballarò e Matrix e voto a sinistra, sono stato candidato municipale per la Lista Roma per Veltroni. A 49 anni sto diventando un grandissimo razzista e non riesco a sopportarlo. Non c’è stata una molla scatenante, un atto di violenza compiuto verso di me o la mia famiglia o amici, ma un continuo stillicidio di fatti letti, di violenza vista… di fatti raccontati da persone sconosciute su un tram o una metropolitana. Perché se chiedo l’espulsione immediata dei clandestini violenti e ladri e meretrici e protettori di meretrici vengo immediatamente accostato a Eichmann?". Questa la lettera di Claudio Poverini che Repubblica pubblicò il 7 maggio 2007. Un assist per Walter Veltroni che immediatamente dopo scrisse: "la sicurezza non è di destra né di sinistra". E poi quelli di sinistra se la presero a Firenze coi lavavetri e a Bologna coi punkabbestia. Tutti stranieri. Poi un rumeno uccise Giovanna Reggiani. Veltroni, già candidato a premier, chiese una decretazione d’urgenza contro i rumeni. Repubblica, usando il signor Poverini, sdoganò il razzismo di sinistra. Veltroni assecondò questa perdita di buon senso. Poi sono arrivati Alemanno a fare il sindaco di Roma e Maroni il ministro degli Interni. Ed è partita una crociata violentissima e razzista nei confronti di rom, rumeni, extracomunitari.
Un razzismo istituzionale e sociale che ha avuto già i suoi primi provvedimenti approvati (l’introduzione nel codice penale della circostanza aggravante di clandestinità). L’indiano bruciato vivo a Nettuno è stato arso vivo da tre giovani che hanno pensato, seppur non in piena coscienza, di avere legittimazione istituzionale a bruciare uno straniero povero. In questi giorni il Partito democratico, dopo le ultime violenze sessuali, ha ricoperto le mura di Roma con manifesti del tipo: "Aumentano i reati a Roma. Alemanno che fa?". Pare che la lezione non sia bastata. Si continua a fare propaganda sulla sicurezza proprio nei giorni in cui il Senato sta per approvare un disegno di legge (il famigerato 733) intriso di razzismo e di bestialità. In ordine sparso si prevedono norme del tipo: test di conoscenza della lingua italiana per i soggiornanti di lungo periodo, estensione del periodo di permanenza in un centro di identificazione per immigrati fino a un massimo di diciotto mesi, accordo di integrazione a punti per gli stranieri regolari, istituzione di un registro apposito per le persone senza fissa dimora, istituzione per legge di ronde private, reato di clandestinità punito con una ammenda. Un emendamento leghista vorrebbe negare l’assistenza medica agli irregolari, trasformando i medici del pronto soccorso in delatori di Stato. Ci aspettiamo a questo punto quattro reazioni differenti. Dalle forze di polizia che vedono perdere il monopolio dell’uso della forza. Dalla magistratura che vede il proliferarsi di nuove centinaia di migliaia di processi penali. Dalle forze di sinistra parlamentare che non si facciano prendere da tentazioni bipartisan (fortunatamente la pattuglia radicale in Senato ha sinora svolto una battaglia significativa).
Dalle forze di sinistra extra-parlamentare, che si preoccupino meno del 4% e più del mondo in cui viviamo. D’altronde quando la sinistra è presente nei territori e orienta gli umori popolari accadono anche fatti positivi. Nel quartiere popolare romano di Quartaccio, dopo uno stupro, l’associazione locale storicamente legata alla sinistra, ha organizzato una fiaccolata che si è aperta con uno striscione: "più luce, meno monnezza, uguale sicurezza". Niente caccia allo straniero, niente xenofobia, niente razzismo. Di questa sinistra sociale e politica abbiamo bisogno.
6 commenti:
carceri minorili senza soldi e lo Stato paga solo il vitto
Redattore Sociale - Dire, 4 febbraio 2009
L’allarme del segretario dell’Associazione Magistrati per i Minorenni di Piemonte e Valle d’Aosta. Le carceri per i minori sono senza soldi. In futuro sarà garantito soltanto il vitto.
I tagli alle spese stanno creando gravi problemi agli istituti penali minorili. L’allarme viene dal segretario dell’Associazione Italiana Magistrati per i Minorenni e le Famiglie (Aimmf) di Piemonte e Valle d’Aosta, il magistrato Emma Avezzù.
"A fronte di una popolazione carceraria che, nel 2008, è stata per il 93% formata da ragazzi stranieri, i tagli - osserva il magistrato - non consentiranno di pagare i mediatori culturali che operano in carcere, e la cui presenza consente un minimo di comunicazione, anche linguistica, altrimenti impossibile". Infatti, le attività di aggiornamento professionale e quelle ricreative sono praticate solo grazie "all’intervento degli Enti locali; in sostanza, il Ministero può garantire solo il vitto dei giovani detenuti".
Tant’è, che le difficoltà della popolazione carceraria minorile sono già emerse in diverse circostanze nell’anno appena trascorso e proprio al Ferrante Aporti di Torino. "Mi chiedo come il Governo pensi di poter recuperare i minori senza ricorrere agli operatori culturali la cui presenza negli istituti è fondamentale per una comunicazione con i detenuti - ha detto, intervenendo sul tema, Andrea Buquicchio consigliere regionale dell’Idv -. Se già le attività ricreative sono a carico degli Enti locali, quali sono le competenze del Ministero? È evidente che con un impegno economico ridotto è impensabile mettere in pratica qualsiasi percorso di "umanizzazione" delle nostre carceri".
carceri in condizioni incivili, governo abbia più coraggio
di Bernardo Aiello (Messina)
www.agoravox.it, 4 febbraio 2009
Sul problema delle carceri dobbiamo rilevare una novità assoluta: per la prima volta il governo ha parlato con franchezza del problema.
Ci è stato detto che le attuali strutture carcerarie sono fatiscenti ed insufficienti, ossia che servono nuove carceri che siano anche carceri nuove; perché non si possono porre i detenuti in condizioni lesive della dignità della persona. Ed ancora che parlare di indulto è senza senso: è evidente che l’indulto è una atto di clemenza dello Stato, mentre le iniziative per ovviare alle problematiche delle carceri sono atti dovuti. Insomma, nel Paese del Melodramma e della Sceneggiata, per la prima volta non si è fatta una "messa in scena"; e credo che tutti ci auspichiamo che la cosa si estenda per il futuro a tutta la vita politica nazionale.
Nel merito desideravo portare una testimonianza. Ho avuto modo di conoscere la Casa Circondariale della nostra città per avervi eseguito lavori di manutenzione edile con l’Impresa da me amministrata. Abbiamo lavorato prevalentemente nella sezione "cellulari", dove si trovano ristretti i detenuti più pericolosi, posti in due in ogni cella, ciascuna delle quali è stata sicuramente prevista per una sola persona. Fra intonaci cadenti e tubazioni marce, i letti a castello e i televisori portatili, i servizi igienici erano una semplice tazza ed un lavandino attaccati al muro; e sovente, mentre un detenuto mangiava da un lato, l’altro li utilizzava dall’altro.
Questo succede ancora mentre io scrivo al computer; e succederà anche quando quello che scrivo sarà letto. Forse il governo avrebbe dovuto avere più coraggio; e porsi un obiettivo da raggiungere a breve, quello di far pareggiare capienza e presenze; imitando per analogia quello che ha fatto Obama per risolvere il problema "Guantanamo".
Non credo debba essere molto difficile: esistono anche, e credo siano anche molto utilizzati, gli arresti domiciliari; magari con i braccialetti elettronici. Non vedo difficoltà insormontabili per gestire al meglio il non breve periodo necessario per la realizzazione di nuove carceri. E poi, dove è scritto che l’unica forma di pena debba essere la reclusione nelle carceri?
Roma: Bernardini; i pestaggi ai violentatori stanno continuando
Iris, 4 febbraio 2009
"Ho notizie che mi dicono che anche dopo la mia visita ispettiva a Rebibbia, i pestaggi ai danni dei responsabili della violenza di Guidonia stanno continuando".
Lo ha dichiarato Rita Bernardini, deputata radicale eletta nel Partito Democratico, intervistata da Aldo Torchiaro per Red Tv, a proposito dei presunti pestaggi in carcere ai quattro romeni arrestati per lo stupro avvenuto a Guidonia ai danni di una ragazza.
"La nostra visita di sindacato ispettivo - ha aggiunto Bernardini - non ha avuto alcun carattere solidaristico nei confronti degli autori del barbaro gesto di violenza di Guidonia, che ovviamente condanno nel modo più assoluto. Ma avere detenuti pestati, forse da altri detenuti, non è proprio di nessun Paese civile, ed è diritto-dovere dei parlamentari compiere ispezioni in materia". Alla domanda sulle responsabilità del caso Rita Bernardini ha risposto: "Esprimo soltanto un appello al direttore del carcere di Rebibbia, che è persona che stimo molto, affinché si faccia garante dei diritti di ciascuno".
Nuoro: 120 detenuti tra i banchi della scuola, molti i diplomati
di Luciano Piras
La Nuova Sardegna, 4 febbraio 2009
I detenuti della prima sezione "usciranno" presto con una raccolta di racconti e fiabe per bambini. Cercano un editore disposto a scommettere su di loro e sui loro scritti. E forse lo troveranno. Certo è che il volume, a Badu ‘e Carros, si farà comunque. Soprattutto ora che dietro le sbarre cominciano a prenderci gusto con i libri, i quaderni e le penne.
Soprattutto adesso che i 120 "studenti" della Casa circondariale cominciano a capire che la scuola è una seconda opportunità da non perdere. Un treno che passa due volte. Del resto è proprio questa la filosofia del Ctp, il Centro territoriale per l’educazione permanente degli adulti: dare a tutti una seconda possibilità.
Dentro le carceri, come pure fuori. Il Ctp, infatti, è una struttura a disposizione di chiunque (italiano o straniero che sia) non ha assolto all’obbligo scolastico. La struttura, insomma, è rivolta a tutti coloro che, per un motivo o per un altro, hanno perso il primo treno. Il Ctp, poi, apre le porte anche a chi ha comunque voglia di allargare i propri orizzonti culturali. Unica condizione: essere adulti. Per potersi iscrivere al Centro e frequentarne le lezioni, bisogna perciò aver compiuto i 16 anni.
Ecco perché tra i banchi della scuola media "Maccioni", a cui fa capo l’istituzione, è facile trovare, nelle ore serali, ragazzotti che stanno per diventare maggiorenni, casalinghe sempre indaffarate, badanti romene che ce la mettono tutta pur di coniugare nel modo giusto i verbi, operai in cerca di un futuro migliore, muratori a caccia di una rivincita, vù cumprà alle prese con la grammatica, negozianti cinesi che continuano a ripetere "calo, tloppo calo" anche quando vorrebbero dire "caro, troppo caro".
A Nuoro sono 37 gli studenti del Ctp, 25 sono stranieri, con tanta voglia di conoscere la lingua e la civiltà italiane. Hanno un’età che va dai 17 ai 50 e passa anni, frequentano i corsi di alfabetizzazione primaria e le medie. Pluriclassi, in genere, dove non solo si "impara", ma si "cresce" anche, soprattutto all’insegna dell’integrazione multietnica. Una trentina, invece, sono gli studenti che frequentano le sedi di Siniscola e Irgoli.
È sul fronte del carcere, tuttavia, che il Centro territoriale di Nuoro registra i numeri più alti. A Badu ‘e Carros sono 40 gli alunni delle medie, 47 seguono i corsi di alfabetizzazione primaria e approfondimento culturale, altri 20 i corsi di idoneità. Nella Colonia penale di Mamone, invece, il totale degli studenti è di trenta, mentre nel carcere di Macomer sono 17. Uno di questi è laureato, in Lettere e filosofia. Molti dei detenuti-studenti sono già diplomati.
Eppure non sono soltanto rose e fiori quelle che spuntato nella scuola del carcere. A Badu ‘e Carros, per esempio, delle 22 donne detenute, 16 frequentavano le lezioni: per loro, tuttavia, i corsi sono stati bloccati. Causa: sovraffollamento del penitenziario.
A Mamone, invece, ogni settimana si fa un solo giorno di scuola anziché sei. Il corpo docente del Ctp, poi, non vanta certo grandi numeri. L’organigramma è composto da appena 13 insegnanti di ruolo (tre in meno rispetto all’anno scorso), tutti con esperienza pluriennale nell’educazione degli adulti e con competenze specifiche nell’insegnamento dell’italiano per stranieri. Nove sono docenti della scuola secondaria di primo grado, quattro della scuola primaria. A questi vanno aggiunti i volontari che prestano servizio nella Casa circondariale di Nuoro e che preparano i detenuti ad affrontare l’idoneità alle varie classi delle scuole superiori. -
Immigrazione: Fortress Europe; sono almeno 28 i "centri" in Libia
Redattore Sociale - Dire, 4 febbraio 2009
Le condizioni sono pessime: scabbia, parassiti e infezioni sono il minimo che ci si possa prendere. E non mancano i decessi, dovuti per lo più all’assenza di assistenza sanitaria o a ricoveri tardivi.
Quanti sono i centri di detenzione degli immigrati in tutta la Libia? Sulla base delle testimonianze raccolte in questi anni, l’osservatorio Fortress Europe ne ha contati 28, perlopiù concentrati sulla costa. Ne esistono di tre tipi.
Ci sono dei veri e propri centri di raccolta, come quelli di Sebha, Zlitan, Zawiyah, Kufrah e Misratah, dove vengono concentrati i migranti e i rifugiati arrestati durante le retate o alla frontiera. Poi ci sono strutture più piccole, come quelle di Qatrun, Brak, Shati, Ghat, Khums dove gli stranieri sono detenuti per un breve periodo prima di essere inviati nei centri di raccolta. E poi ci sono le prigioni: Jadida, Fellah, Twaisha, Ain Zarah, prigioni comuni, nelle quali intere sezioni sono dedicate alla detenzione degli stranieri senza documenti.
Anche nelle prigioni, le condizioni di detenzione sono pessime. Scabbia, parassiti e infezioni sono il minimo che ci si possa prendere. Molte donne sono colpite da infezioni vaginali. E non mancano i decessi, dovuti perlopiù all’assenza di assistenza sanitaria o a ricoveri ospedalieri troppo tardivi. Il nome più ricorrente nei racconti dei migranti è quello del carcere di Fellah, a Tripoli, che però è stato recentemente demolito per far spazio a un grande cantiere edilizio, in linea con il restyling di tutta la città. La sua funzione è stata sostituita dal Twaisha, un’altra prigione vicino all’aeroporto.
Koubros è riuscito a scappare da Twaisha poche settimane fa. È un rifugiato eritreo di 27 anni. Viveva in Sudan, ma dopo che un amico eritreo è stato rimpatriato da Khartoum, non si è più sentito al sicuro e ha pensato all’Europa. Da Twaisha è uscito sulle stampelle. Non poteva pagare la cifra che gli aveva chiesto un poliziotto ubriaco. Allora l’hanno portato fuori dalla cella e preso a manganellate. È uscito grazie a una colletta tra i prigionieri eritrei. Per corrompere una delle guardie carcerarie sono bastati 300 dollari. Lo incontro davanti alla chiesa di San Francesco, a Tripoli.
Come ogni venerdì, una cinquantina di migranti africani aspetta l’apertura dello sportello sociale della Caritas. Tadrous è uno di loro. È stato rilasciato lo scorso sei ottobre dal carcere di Surman. È uno dei pochi ad essere stato giudicato da una corte. La sua storia mi interessa. Era il giugno del 2008. Si erano imbarcati da Zuwarah, in 90. Ma dopo poche ore decisero di invertire la rotta, perché il mare era in tempesta. E tornarono indietro. Appena toccata terra furono arrestati e portati nella prigione di Surman. Il giudice li condannò a 5 mesi di carcere per emigrazione illegale. Finiti i quali è stato rilasciato. Gli chiedo se gli fu dato un avvocato d’ufficio. Sorride scuotendo la testa. La risposta è negativa.
Niente di strano, sostiene l’avvocato Abdussalam Edgaimish. La legge libica non prevede il gratuito patrocinio per reati passibili di pene inferiori a tre anni. Edgaimish è il direttore dell’ordine degli avvocati di Tripoli. Ci riceve nel suo studio in via primo settembre. Ci spiega che tutte le pratiche di arresto e detenzione sono svolte come procedure amministrative, senza nessuna convalida del giudice. Senza nessuna base legale dunque, ma solo sull’onda dell’emergenza. Anche in Libia una persona non potrebbe essere privata della libertà senza un mandato d’arresto. Ma questa è la teoria. La pratica invece è quella delle retate casa per casa nei sobborghi di Tripoli.
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