venerdì 2 maggio 2008

Lazio: Stefano, Mihai e Orazio, 3 detenuti morti in sette giorni

Lazio: Stefano, Mihai e Orazio, 3 detenuti morti in sette giorni

Liberazione, 2 maggio 2008


Sono morti nel giro di una settimana all’interno di tre carceri del Lazio, Frosinone, Viterbo e Regina Coeli, ed avevano una cosa in comune: erano affetti da gravi problemi psichici. La notizia del duplice decesso è stata resa nota dal Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti Angiolo Marroni.


Stefano M., 40 anni, invalido al 100%, è morto la notte tra il 22 e il 23 aprile a Regina Coeli dove era da un anno in custodia cautelare. Stefano (con diversi ricoveri in ospedali giudiziari alle spalle) aveva avuto comportamenti aggressivi verso se stesso e verso gli altri e, per questo, dopo essere stato anche ricoverato in osservazione psichiatrica.


Orazio I., 35 anni, tossicodipendente, era arrivato nel carcere di Frosinone, proveniente da Regina Coeli, il 5 aprile scorso. È stato trovato senza vita l’altro ieri mattina nel reparto d’isolamento. Subito dopo essere arrivato a Frosinone, aveva avuto comportamenti violenti e aggressivi, tentando più volte di farsi del male da solo e dando fuoco alla cella.


Si è tolto la vita impiccandosi nella sua cella. È accaduto nella tarda serata di ieri l’altro a Mammagialla. Vittima Mihai, un giovane romeno (era nato il 1° gennaio dell’88) residente nella Tuscia che era detenuto nel carcere viterbese dove doveva scontare un breve periodo di pena per una tentata rapina. Sentenza emessa dal Tribunale di Viterbo alla quale il giovane si era appellato.

Verso le 21 la macabra scoperta. Gli agenti addetti al controllo passando nuovamente davanti alla sua cella e non vedendolo sul letto hanno voluto vederci chiaro. Un ulteriore controllo da un altro spioncino ha permesso di constare che il ventenne romeno giaceva esanime con un laccio ricavato dal lenzuolo intorno al collo.


I soccorsi sono stati immediati ma per il poveretto non c’era più nulla da fare. Dopo le formalità di rito, protrattesi fino a notte inoltrata, la salma del giovane detenuto è stata trasferita all’obitorio dell’ospedale di Civita Castellana dove, su disposizione del magistrato inquirente, verrà eseguita l’autopsia. Un gesto inatteso quello di Mihai che ha colto di sorpresa tutti quelli che lo conoscevano come una persona molto tranquilla. E anche a Mammagialla non aveva mai creato problemi a nessuno.



*(nell'immagine) Donadio Francesca - Paesaggio Astratto


3 commenti:

Anonimo ha detto...

Giustizia: il magistrato; cosa ci aspettiamo dal nuovo ministro

di Aldo Morgigni (Magistrato)



www.radiocarcere.com, 2 maggio 2008



All’indomani delle elezioni anche la magistratura dovrà confrontarsi con un nuovo scenario politico, con una maggioranza più stabile ed un’opposizione più compatta degli ultimi anni. La speranza è che si metta mano ad una riforma della giustizia e non della magistratura.

È in quest’ottica che speriamo si muoverà soprattutto il nuovo ministro della giustizia, che da sempre - anche con il suo staff - è l’interfaccia tra la politica e la magistratura. Le prime dichiarazioni in tema di giustizia saranno determinanti, perché la magistratura non si farà sfuggire nessuna occasione di dialogo nell’interesse del reale miglioramento del servizio che i cittadini si attendono dalla giustizia.

Se ci saranno segnali di distensione anche da parte della politica, si giungerà più semplicemente a riforme rapide, condivise ed utili. Al contrario, il rischio, soprattutto in caso di aperto attacco a valori fondanti dell’assetto costituzionale, sarà quello di una chiusura assoluta ed intransigente verso ogni proposta di riforma, con l’ulteriore pericolo di una nuova stagione di contrapposizioni tra politica e magistratura a danno dell’interesse dei cittadini.

Le ultime due legislature sono state caratterizzate, infatti, da un’ossessiva attenzione per l’ordinamento giudiziario, senza che siano stati adottati provvedimenti efficaci per accorciare effettivamente la durata dei processi e per migliorare le condizioni di lavoro degli operatori della giustizia.

Dopo sette anni di "riforme della magistratura" i magistrati sperano in "riforme del processo", civile e penale. La riduzione dei tempi della giustizia passa per l’unificazione dei riti processuali civili, con un rito semplificato ed uniforme in primo grado, sul modello di quello già esistente per il processo cautelare. È indispensabile l’introduzione di filtri effettivi all’attuale indiscriminata possibilità di agire in giudizio anche per la tutela di pretese manifestamente infondate.

È evidente il fallimento di un sistema di controllo della qualità degli avvocati rimesso solo alle scelte della clientela. Dovrebbero essere introdotte, perciò, serie ed effettive valutazioni di professionalità anche per chi esercita la professione forense, tenendo conto del numero di processi in cui la pretesa fatta valere è manifestamente infondata o temeraria, per responsabilizzare i difensori e ridurre a monte il numero di controversie.

È indifferibile, infine, la semplificazione del sistema delle notificazioni e la stretta individuazione di tutti i motivi di impugnazione, anche per i casi di appello nel merito, per evitare che si abusi del proprio diritto a difendersi al solo fine di comprimere il pari diritto della controparte.

Nel settore penale le pressanti richieste di sicurezza dei cittadini dimostrano che la politica deve assumersi l’onere di individuare casi ulteriori di applicazione "obbligatoria" delle misure cautelari, attualmente previste solo per i reati di mafia ma non per altri gravi reati di elevato allarme sociale. Per il terrorismo, gli omicidi, le violenze sessuali, le rapine a mano armata, infatti, la scelta della misura cautelare - quando ci sono gravi indizi di colpevolezza ed esigenze cautelari - è rimessa interamente al pubblico ministero ed al giudice, che operano sulla base di criteri molto generici in base ai quali è tuttora possibile non applicare alcuna misura cautelare anche a chi ha compiuto delitti gravissimi ed è stato colto in flagrante.

Lo stesso vale nel campo della determinazione e dell’esecuzione delle pene, dove gli spazi di discrezionalità del giudice nell’individuazione della pena da applicare sono amplissimi e dove l’incertezza sull’effettiva espiazione della sanzione irrogata regna sovrana, anche per chi è autore di fatti gravi o di innumerevoli reati.

Tutto questo passa per l’inevitabile, consapevole e condivisa assunzione di responsabilità da parte della politica, che deve concretizzare i programmi elettorali - effettivamente molto simili in materia di giustizia - restituendo efficienza al processo civile e penale e approntando le strutture indispensabili, anche con l’aiuto delle regioni, ormai mature per un salto di qualità anche nell’intervento nel settore dell’edilizia giudiziaria, del personale e dell’informatizzazione.

La magistratura è pronta a dialogare sulle proposte concrete che verranno avanzate, con la lealtà che ha sempre contraddistinto i magistrati che quotidianamente fronteggiano difficoltà operative e rischi personali. I magistrati si aspettano, a loro volta, forti aperture al dialogo da parte di chi dovrà provvedere alle riforme, nella certezza che i risultati verranno solo con un atteggiamento reciproco di serietà e serenità. Sine spe ac metu, cioè senza illusioni e timori.

Anonimo ha detto...

Giustizia: storia di un imputato distrutto da stampa e processo

di Leo Mercurio



www.radiocarcere.com, 2 maggio 2008



Mi è stato insegnato che bisogna difendersi nel processo. Nella mia esperienza professionale ho potuto verificare, però, che non sempre i mezzi a disposizione per la difesa tecnica garantiscono l’accertamento della verità in tempi ragionevoli. Anzi, la lentezza della macchina giudiziaria, le campagne mediatiche, l’opinione pubblica, finiscono per segnare, anche irrimediabilmente, la persona indagata.

È il caso di un imprenditore romano, Enzo Fregonese, titolare della Panaviation una società che operava nel settore del commercio di pezzi di ricambio per aeromobili con più di 15 dipendenti. Nei primi mesi del 2001 un’indagine giudiziaria della Procura di Tempio Pausania porta al sequestro dell’intera attività. Le contestazioni sono gravissime: tentato disastro aereo ed altro. È la prima indagine in Italia che ha ad oggetto la commercializzazione di materiale aeronautico. Gli inquirenti arrivano ad ipotizzare il coinvolgimento della Panaviation in molti disastri aerei nazionali ed internazionali (Genova, New York).

Scattano gli arresti domiciliari per il titolare della società, la figlia e due collaboratori, tutti immediatamente rimessi in libertà dal Tribunale del riesame di Sassari. L’imprenditore settantacinquenne, mai neppure sfiorato da un’indagine penale, protesta la sua innocenza, ma la lotta è impari. La Procura blocca l’azienda. L’imprenditore annaspa sino a quando è costretto a licenziare tutti i dipendenti.

Dopo quasi tre anni di indagini la Procura notifica ufficialmente le contestazioni circa una ventina di capi d’imputazione. Si arriva così alle scelte processuali, tra queste si opta per il patteggiamento. La scelta è quasi obbligata: o si affronta un lunghissimo dibattimento o si chiude. L’imprenditore, con grande sofferenza sceglie il patteggiamento anche perché l’accordo prevede una pena di 1 anno e 3 mesi di reclusione per soli 4 capi d’imputazione mentre le restanti numerose contestazioni vengono archiviate. Vengono, altresì, archiviate le posizioni della figlia e dei due dipendente rimasti coinvolti nella vicenda giudiziaria.

A contorno di tutto ciò, viene disposto il dissequestro di tutto il materiale aeronautico, più di 80.000 pezzi. L’imprenditore vede la luce. Ma non è così! La campagna mediatica ha già prodotto conseguenze irreparabili. Tutti i quotidiani nazionali e le riviste internazionali del settore hanno dipinto Fregonese come "Belzebù". Nessuno gli da più fiducia. Lo sconforto è totale. Più volte Fregonese ha chiesto: "ma che giustizia è questa?", "Perché non ho diritto ad essere processato in tempi brevi?".

La lentezza della macchina giudiziaria è un dato che non accettava. Così come non accettava di essere considerato, dagli addetti ai lavori e dai cittadini comuni, un "appestato". Colui che avrebbe attentato alla sicurezza dei passeggeri. Era un cruccio troppo grande per chi aveva per oltre 40 anni lavorato con grande scrupolo e riconosciuta professionalità. Da tale cruccio Fregonese si è liberato nel momento in cui un terribile male lo ha colpito ed in breve tempo ne ha vinto le residue resistenze.

Mi è stato insegnato che bisogna avere fiducia nella giustizia. Ecco, lo ammetto, in questo caso la mia è stata un’illusione. Ancora peggio, però, è stato constatare come la gogna mediatica a cui è stato sottoposto Fregonese abbia finito per avere conseguenze ben più gravi di quelle prodotte dall’indagine penale.

È stato un continuo riportare, da parte dei mass-media, di notizie attinte dagli atti dell’indagine nonostante il segreto istruttorio. Ipotesi investigative, mai riscontrate, sono state riportate come fatti acclarati. Ed allora, è necessaria una seria riflessione sui rapporti indagine penale e mass-media per evitare che una dannata consuetudine diventi regola generale. Anche perché, diciamola tutta: l’indagine passa, la gogna mediatica resta.

Anonimo ha detto...

Lazio: infermieri penitenziari; "no" ai malati mentali in carcere



Ristretti Orizzonti, 2 maggio 2008



Nel vostro notiziario di ieri, ho letto la notizia di due morti nelle carceri laziali nell’ultima settimana; detenuti affetti da problemi psichiatrici che, a detta del Garante, non avrebbero dovuto essere nelle carceri, sostenendo che le cose avrebbero potuto essere diverse se fossero stati curati dai servizi territoriali e non carcerari, e che pertanto è necessario accelerare il passaggio della Sanità Penitenzieria nel Ssn.

Nel leggere la notizia, sono logicamente rimasto dispiaciuto perché nella mia logica politico-religiosa non mi auguro la morte neanche del mio peggior nemico, ed essendo, oltre che infermiere in attività presso il carcere di Velletri anche un infermiere psichiatrico, tali fatti mi addolorano anche di più, ma non posso fare a meno di obiettare a ciò che ha affermato il Garante per due ben precisi motivi: che non si può addossare la responsabilità di una morte per suicidio ad un Servizio Sanitario di qualunque natura esso sia (Penitenziario o Ssn) e che dovrebbe informarsi di più sui servizi di salute mentale territoriali (specialmente nel Lazio) prima di affermare che avrebbero potuto agire diversamente; che l’individuo dentro il carcere viene messo e tenuto da Giudici, e che pertanto occorrerebbe agire sulle leggi tenendo però ben presente che: o ci sono leggi che non permettano neanche l’accesso in carcere a persone malate, o, altrimenti, è necessario continuare a mantenere ben efficiente l’assistenza sanitaria all’interno del carcere in quanto, con le attuali normative, il malato cui viene privata la libertà entra comunque in carcere e necessita di quanto di meglio in attesa che vengano avviate le procedure, anche di natura medico legale, per rimetterlo in libertà.



Sandro Quaglia, Sindacato Autonomo Infermieri

Don Ettore Cannavera, riflessioni da "La Collina"

L'Associazione 5 Novembre, ha intervistato Don Ettore Cannavera, fondatore della comunità di accoglienza "La Collina", rivolta a giovani-adulti, di età compresa tra i 18 ed i 25 anni, che vengono affidati dalla Magistratura di Sorveglianza come misura alternativa alla detenzione. Un interessante intervista sui temi della Giustizia, del Carcere, del precariato giovanile e della cultura della Solidarietà e dell'accoglienza.