Processo Sud Ribelle: Siamo stati tutti assolti!
da Altrosud, il blog di Francesco Caruso
Trovare parole appropriate per commentare l’intera vicenda, non è cosa facile. Perché sono tanti gli aspetti farseschi e tali le assurdità delle accuse, che rischieremmo sicuramente di dimenticare qualcuna delle illuminanti considerazioni formulate dal PM Fiordalisi.
Chi in questi anni si è trovato a dover costruire solidarietà rispetto alla vicenda, ha dovuto soprattutto difendersi da quella parte di città che, parliamoci chiaro, ci avrebbe voluto vedere in galera. Probabilmente, parte degli stessi che hanno contribuito a montare questo teorema. Ebbene, possiamo finalmente dire che costoro rimangono in un angolo a rosicare. L’assoluzione di oggi è una pesante sconfitta per gli organi inquirenti che hanno confezionato questa inchiesta.
Gli stessi che hanno sperperato oltre tre milioni di euro, sbandierando all’intero paese, una formidabile operazione antiterrorismo, curata nei minimi dettagli e pronta a smantellare la pericolosa nascente cellula sovversiva. Tutto questo, mentre in città si consumavano ben altri misfatti.
Ma ora, sentenza in mano, abbiamo il diritto di sapere: perché questa inchiesta, sebbene scartata da svariate procure, è stata accettata proprio a Cosenza? Quali oscure trame hanno tessuto questo canovaccio? Quali loschi interessi da coprire? Ma soprattutto, abbiamo ragione di pretendere le dimissioni dei vertici inquirenti che hanno guidato questa inchiesta? Che questo “castello” non stava in piedi, la città lo aveva capito da subito e lo aveva ampiamente affermato con calorosa partecipazione alle diverse mobilitazioni costruite nel corso di questi lunghi sette anni, assolvendo di fatto tutti gli imputati e bocciando l’operato della Fiordalisi&Co.
Agli interrogativi sulle reali motivazioni che hanno portato all’apertura di questa inchiesta, ognuno si sarà dato delle risposte, rimane sicuramente il tentativo di criminalizzare un intero movimento con accuse infondate e infamanti, volte a coprire le vere vergogne di Genova: la morte di Carlo Giuliani, i pestaggi e le torture delle forze dell’ordine comandate dai vertici militari e politici. E ancora, di deviare l’attenzione generale dai veri allarmi sociali di cui questa città soffre.
Questa assoluzione giunge a riprova del fatto che la storia di chi rifiuta le logiche neoliberiste e produce conflitto sociale non può essere scritta dentro un’aula di tribunale. E se ce ne fosse ancora bisogno, ribadisce che la libertà di espressione e di opinione devono essere garantite in nome di quelle libertà conquistate il 25 aprile del 1945 e che ancora dobbiamo difendere.
Coordinamento Liberitutti
dal Corriere.it:
Assolti Caruso, Casarini e altri 11 no global
da Repubblica.it
G8 Genova, assolti tutti i no global
5 commenti:
Giustizia: la paura diventa paranoia, la politica diventa polizia
di Anna Simone
Liberazione, 26 aprile 2008
Da dove nasce l’idea del braccialetto antistupro di Rutelli? Dalla paura. Che non si scatena sui problemi reali (sono insicuri il lavoro, il reddito, la casa, la coppia), o sui pericoli veri, ma sulla "percezione del rischio". Molti abitanti di quartieri frequentati da migranti si sentono insicuri pur non avendo mai patito sulla propria pelle crimine alcuno. È la fabbrica diffusa del razzismo. Che ha bisogno della "tolleranza zero".
Non è stato solo il clima pre-elettorale romano a far scatenare l’idea perversa del braccialetto elettronico anti-stupro all’aspirante sindaco Rutelli. Piero Sansonetti ha fatto bene a parlarne sulle colonne di questo giornale domenica scorsa ricordando a tutti noi i dati delle violenze che, come ormai tutti sappiamo, si consumano prevalentemente tra le mura domestiche (solo il 6,2 % delle violenze denunciate avvengono per strada).
Il quid in più da aggiungere, però, concerne due elementi ormai imprescindibili dalla retorica sulla sicurezza: la paura che diventa paranoia pubblica e privata, la crisi del lessico politico-giuridico ovverosia la crisi della politica e del diritto così come li abbiamo conosciuti sino ad un trentennio fa. La paura è un sentimento e quindi, di conseguenza, non può che essere irrazionale. Irrazionale e incancellabile dal momento che non esistono esseri umani e animali che non hanno mai paura.
Tutte le società assolutiste e monarchiche sono state attraversate dalla paura - così come dimostra la letteratura filosofico politica, da Grozio a Hobbes, da Machiavelli a Locke - ma è solo a partire da un trentennio, in pieno repubblicanesimo, che essa diventa paranoia, ossessione, paura percepita e non reale, paura della paura. Perché? La sicurezza, sino a quando è esistito il patto keynesiano, era il semplice contrario dell’insicurezza sociale.
I fautori del lavorismo ci hanno detto per anni (e talvolta continuano ossessivamente a dircelo nonostante il radicale mutamento dei sistemi di produzione) che per sentirsi "sicuri" bastava avere una casa, un lavoro, talvolta un marito. Oggi, però, di lavoro si muore perché non c’è "sicurezza", nelle case si diventa paranoici perché c’è sempre l’ipotesi di un "ladro rom" appollaiato e in agguato dietro le nostre porte e finestre, mentre talvolta si muore sotto l’ascia di un marito italiano, di un padre o di un compagno, così come accade a moltissime donne ogni giorno della settimana. Eppure la retorica politica continua a non intervenire su questo, ma solo sul capro espiatorio che puta caso è sempre un immigrato.
All’indomani dell’omicidio di Giovanna Reggiani, Veltroni propose la cacciata dei rom e dei rumeni insieme dal territorio italiano. Oggi Alemanno propone le stesse medesime cose proposte allora da Veltroni mentre Rutelli, per distinguersi dal suo contendente "fascista", ci dice che è meglio dotare di un piccolo gioiello dell’elettronica tutte le donne italiane e della capitale in particolare (magari incastonandolo di finti diamanti che raffigurano la Lupa).
Cosa sta succedendo? Come mai tanta schizofrenia e confusione sotto al cielo? Quali sono gli anelli mancanti di questo trentennio che hanno trasformato il vuoto di senso della politica contemporanea in un problema di "ordine pubblico", di sicurezza bipartisan? Come si è trasformato il controllo sociale? Come viene definita oggi la "pericolosità sociale"? Perché la logica dei decreti d’emergenza e i programmi di prevenzione hanno sostituito i diritti di libertà, compresi quelli della libertà femminile, conquistati dopo secoli e secoli di lotte?
La crisi dello stato sociale, come tutti sappiamo, ha invalidato l’alfabeto dei diritti conquistati per il tramite dei conflitti sociali ma ha, contemporaneamente, aperto la strada alle politiche neoliberali. Queste non reggono l’impatto violento della mano invisibile dell’economia globalizzata e producono pauperismo, disperazione, incapacità di progetto, impossibilità di arrivare a fine mese per la gran parte degli individui.
Ma produce anche innumerevoli vite di scarto che non hanno mai voluto uniformarsi alla disciplina che richiede qualsivoglia sistema di welfare basato sul lavoro e non sulla possibilità di accesso ad un reddito minimo di esistenza. E il reddito - almeno per quel che mi concerne - non lo si chiede perché si è fannulloni, ma solo perché si presume che scegliere il lavoro che si desidera svolgere senza necessariamente finire in un call center (anche se con un contratto a tempo indeterminato) debba essere appunto una libera scelta e non una costrizione sadica dei sistemi di produzione contemporanei.
Una siffatta situazione, si sa, non può che istigare al conflitto, alla messa in discussione dell’ordine costituito. Ciò che le politiche neoliberali producono non può che rivolgersi contro di loro. Di qui la paranoia sicuritaria anche quando il rischio è solo tale e non costituisce un pericolo reale. Il rischio, infatti, è una probabilità. Il pericolo è un dato di fatto. Eppure il rischio che ormai si calcola attraverso formulette matematiche rintracciabili in quasi tutti i manuali di sociologia spesso viene assunto come un pericolo reale, anche quando non è affatto così.
È la fabbrica del rischio, ci ricordano Robert Castel ma anche altri autori come Wacquant, che costruisce la logica del controllo sociale e anche della "pericolosità" nelle società contemporanee. La nozione di "rischio", inoltre, legandosi alla nozione di "prevenzione" consente di modellare le condotte per addolcirle e sussumerle al sistema politico e sociale come se, appunto, vi fosse una reale ed intrinseca "pericolosità" in tutti gli esseri umani.
Lavorare sulla percezione dei rischi e non sulla pericolosità reale che genera la nostra società, quindi, equivale ad una presa di coscienza collettiva che ancora tarda a trasformarsi in parola da parte di chi ci governa (maggioranza e opposizione insieme). Perché non spiegate ai cittadini che lo stato sociale non c’è più e al suo posto c’è lo stato sicuritario e penale?
Perché non parlate di questo, della crisi del lessico politico-giuridico anziché giocare a fare i poliziotti? La politica sicuritaria dei governi neoliberali del presente restringe moltissimo il campo dei diritti individuali e collettivi, restringe le libertà di movimento e di circolazione utilizzando pratiche poliziesche e sociali di tipo "chirurgico".
In poche parole si tende ad espellere dalla società potenziali criminali e/o criminali reali come se fossero un organo malato di un corpo sano senza mai intervenire su tutto il corpo che invece non funziona per intero e da anni, si interviene sempre sugli effetti senza mettere in discussione le cause. Non esiste un’antropologia criminale innata, di tipo lombrosiano e naturalistico, esiste invece una tendenza a delinquere generata dai sistemi politici, culturali e sociali come, tra l’altro, sostengono da anni sociologi del diritto, criminologi che preferiscono studiarsi un po’ di testi foucaultiani piuttosto che frequentare il salotto forcaiolo di Bruno Vespa. La retorica sulla sicurezza ha avuto non a caso tra i suoi padri fondatori uno statunitense liberale e forcaiolo al contempo, come da copione: Rudolph Giuliani.
Le misure di zero tolerance tendono a prevenire il crimine anche quando questo non è in agguato ma, al contempo, mettono in crisi lo stesso vocabolario del diritto penale il quale oltre a generare la logica del "sorvegliare, punire, rieducare" appoggia il suo agire sui principi della giustizia garantista e sul principio dell’Habeas corpus.
Eppure Genova ci ha dimostrato che non necessariamente la polizia è un’equivalente della sicurezza basata sui principi del diritto, mentre la persecuzione dei lavavetri messa a punto da Dominici e da Cofferati ci dimostra come la politica non si può più distinguere dalla polizia, come se, appunto, tra i due sistemi di potere non vi fosse più alcuna differenza.
Eppure, sino a prova contraria, agli elettori si chiede di votare esponenti di partiti e coalizioni e non poliziotti che aspirano a diventare questori e prefetti. Ma perché la gente ha paura al punto tale da votare in massa la Lega e in buona sostanza anche il Pd che della sicurezza ha comunque fatto uno dei suoi cavalli di battaglia?
Più volte in questi giorni, anche discutendo con amiche e colleghe, mi è stato detto che "la gente ha effettivamente paura" e su questo bisogna interrogarsi, nonché dare delle risposte. Non metto in discussione che questo possa esser vero, altrimenti non mi spiegherei molte cose, ma vorrei anche che questa paura paranoica fosse reale e non solo una "percezione" di cui in molti sono intrisi e ubriachi.
E poi vorrei anche distinguere tra la percezione del pericolo reale e il "rischio" che possa accadere loro qualcosa. Molti abitanti di quartieri frequentati da migranti si sentono minacciati pur non avendo mai vissuto sulla loro pelle crimine alcuno. Questo dato reale la dice lunga su come in questi anni i mezzi di comunicazione di massa abbiano costruito il concetto stesso di "pericolosità sociale" legandolo prevalentemente agli immigrati.
Così come un tempo si faceva con gli abitanti del Sud che per forza di cose erano tutti "terroni" punto e basta. Essere puniti, esclusi e messi alla gogna per "ciò che si è" e non per "ciò che si fa", però, è un dato di fatto ancora più pericoloso della potenziale "pericolosità sociale" precofenzionata dall’ideologia del rischio perché, come dicevamo prima, ci immette in una no man’s land della politica che ha violentemente azzerato tutti i diritti di libertà favorendo la logica della "certezza della pena" senza che vi sia la "certezza del reato".
Chiediamoci pure perché l’operaio della Mirafiori vota la Lega accusando contemporaneamente la sinistra di occuparsi solo di "froci e rom", ma facciamolo dicendoci anche che la fabbrica diffusa del nostro presente non è più quella degli anni ‘70 e del movimento operaio. È la fabbrica diffusa del razzismo, di una disperazione che facilmente diventa paranoia e di una realissima "guerra fra poveri". Ma per questo ci vuole un’analisi della crisi del presente, non un’analisi della crisi di un partito che rischia di ritornare al passato. E la ragione è ovvia: il passato non c’è più.
Giustizia: l'Anm… quando la magistratura scimmiotta la politica
di Riccardo Arena (Direttore di Radio Carcere)
www.radiocarcere.com, 26 aprile 2008
Il rinnovo della giunta dell’Anm. Sabato 19 aprile, verso le 10.30, arrivo trafelato in Cassazione. Sono in ritardo. Alle 10 è fissata una riunione dell’Associazione nazionale magistrati. L’incontro è importante. Si deciderà, forse, il nuovo assetto dell’organo di governo dell’Anm.
L’esito delle elezioni politiche impone un cambiamento. Inutile negarlo. L’avvento di Berlusconi al governo preoccupa, e non poco, molte componenti della magistratura. Soprattutto le correnti di centro sinistra. Si profilano riforme ritenute contro i magistrati. Si preannuncia una stagione di forte contrapposizione tra politica e magistratura. Da qui la necessità di rafforzare la componente di sinistra nell’esecutivo dell’Anm.
Già venerdì 18 aprile, tutte le correnti della magistratura si sono riunite separatamente, facendo le ore piccole. E ora tutto sembra deciso. Si voterà per una giunta composta da Magistratura Democratica, Movimenti e Unicost. Unica esclusa: Magistratura Indipendente, più vicina alla destra, che non vuole fare un’opposizione al governo Berlusconi. Ed ancora. Giuseppe Cascini (Md) sarà il nuovo segretario dell’Anm. Mentre salgo in ascensore per raggiungere il sesto piano della Cassazione, penso che questa previsione indica un primo dato: l’avvento di Berlusconi non unisce la magistratura, ma ne marca le divisioni interne.
Ore 10.35, si aprono le porte dell’ascensore e la mia fretta si placa. La riunione non è ancora iniziata. I magistrati, divisi in gruppi, discutono fra loro. Ogni gruppo, una corrente. La scena è questa. I magistrati dei Movimenti, discutono in terrazza. Quelli di Magistratura Democratica in una stanza, i magistrati di Magistratura Indipendente in un’altra. Nel corridoio discutono i componenti di Unicost. Tutti magistrati, tutti divisi. Divisioni incomprensibili dall’esterno. Di dubbia utilità per la Giustizia.
Ogni tanto, un magistrato si stacca da un gruppo e cerca un’intesa con un’altra corrente. Poi di nuovo ai posti di prima. È la magistratura che scimmiotta la politica. Mentre perplesso guardo la scena, il tempo passa.
Alle 12 finalmente, inizia la riunione. Seguono ore di inutili parole. Parole che ricordano le note suonate dall’orchestra del Titanic, mentre la nave affondava. Magistratura Indipendente presenta una mozione che mira a un rinvio. La proposta viene bocciata e con essa la possibilità di una giunta unitaria. Ovvero un governo dell’Anm composto da tutte le correnti della magistratura.
Alle 14 la riunione è sospesa per la pausa pranzo. In quattro ore non si è fatto ne deciso nulla. Tempo perso inutilmente. Come accade in quelle udienze interminabili di quei processi che non si decideranno mai. La battuta mi sorge spontanea: "Ora ho capito perché i processi durano tanto!" Qualche giudice sorride. Altri no.
Diversi gruppi si formano per l’uscita. Ogni gruppo di magistrati, una diversa corrente. Lo spettacolo è curioso. Ciascuno prende un ascensore diverso. Ogni corrente va in un ristorante diverso. Md prova ad invitare a pranzo i magistrati dei Movimenti, con i quali è prevista l’intesa, ma un garbato "no grazie" preannuncia quello che accadrà nel pomeriggio.
Io, escluso dai pranzi correntizi, ne approfitto per fare una passeggiata. Devo chiarirmi le idee. Sono perplesso. Non riesco a capire. Come è accaduto che tante intelligenze che compongono la magistratura siano così divise, non dai principi, ma dalle correnti? Nella mia ingenuità penso alla Giustizia, al Giudice, al processo e non alla Giustizia di Md, di Mi, dei Movimenti o a quella di Unicost. Correnti che a forza di separare, hanno diviso ciò che è unito. L’efficienza della Giustizia e della Magistratura. Ed ancora. Se L’Anm si comporta peggio dei politici, come può contribuire a una migliore politica sulla Giustizia?
Senza risposte, alle 14.30, torno in Cassazione. La riunione è ancora sospesa. Le varie correnti sono appartate per discutere. Un magistrato vede la mia faccia sbigottita e dice: "Non pensare che sia sempre così!" Un altro ribatte: "Sì, sì, è sempre così".
Alle 16 la riunione riprende. Dico: "bene, ora votano". E invece no. I magistrati dei Movimenti chiedono un rinvio per fissare le priorità che la nuova giunta dovrà affrontare. Ne nasce una bagarre. Qualche mala lingua sussurra: "È solo una questione di poltrone". Interviene Giuseppe Cascini: l’Anm non è un sindacato. Solo la Giustizia ci deve interessare. Se ci vendiamo per un piatto di lenticchie, ci tratteranno come impiegati!
Ore 17.55, la riunione è di nuovo sospesa. Molti magistrati, di diverse correnti, sono delusi. Scuotono la testa. Il senso di frustrazione è trasversale. Ore 18.35, "La giunta dell’Anm è rinviata a mercoledì 23 aprile". Quando, in serata, Giuseppe Cascini diventa il nuovo segretario dell’Anm.
Roma: film "Jimmy della collina" arriva in sala ed è un successo
Roma One, 26 aprile 2008
C’erano anche il regista Enrico Pau e i due protagonisti di Jimmy Della Collina, Nicola Adamo e Valentina Carnelutti, ieri sera alla proiezione del film al Nuovo Olimpia di Roma, nella giornata di debutto in sala per la pellicola tratta dal romanzo omonimo di Massimo Carlotto. Il film (distribuito da Aranciafilm in collaborazione con Lab80 Film) pronto da più da anno e mezzo e premiato in vari festival internazionali, solo ora riesce ad arrivare nei cinema. "Per noi è un traguardo importante, che arriva dopo l’uscita in Sardegna, dove stiamo ottenendo un ottimo risultato.
Ora però è fondamentale il passaparola - ha spiegato Pau -. Avevamo contattato tutte le principali distribuzioni ma ci hanno detto no. Qui non si parla di liceali o universitari innamorati e lo spazio ormai sembra esserci solo per storie come Notte prima degli esami. La nostra invece è più Notte prima della rapina". Secondo Pau "l’unica possibilità che ha il nostro cinema di andare avanti è raccontare il Paese reale.
Per questo sono molto contento che Garrone sia a Cannes con Gomorra, in cui c’é un’Italia non artificiale". Per il regista Jimmy della Collina mette in scena "un adolescente in fuga da se stesso, e da una società in cui ormai i ragazzi hanno come punto di riferimento più i centri commerciali che la famiglia. Quelle del protagonista sono scelte dure, rapidissime, inspiegabili, e possono cambiare una vita. Decisioni che i giovani di quell’età si trovano spesso repentinamente ad affrontare".
Protagonista della storia è Jimmy (il bravissimo 29enne Nicola Adamo, al suo debutto sul grande schermo, perfettamente a suo agio nei panni di un ragazzo di 10 anni più giovane) quasi diciottenne sardo che non si rassegna a una vita da operaio in fabbrica e sogna una vita diversa in Messico. Il ragazzo si fa convincere a partecipare a una rapina ma viene preso e rinchiuso nel carcere minorile di Quarticciu (dove il film è stato girato), vicino Cagliari. Qui, Jimmy, che ha l’idea fissa della fuga, entra in contatto con Claudia (Carnelutti), una volontaria con una storia durissima alle spalle, e la vera realtà de La Collina, comunità di recupero per giovani carcerati creata da Don Ettore Cannavera (interpretato da Francesco Origo).
Pau, che per la pellicola ha vinto, fra gli altri, il Premio Cicae al Festival di Locarno l’Arcagiovani a Giffoni, ha trasportato la storia, ambientata da Carlotto nel nord est, nella natia Sardegna. "Quando ho chiamato Carlotto (che appare nel film in un cameo, ndr) per parlargli del progetto, lui si è subito dimostrato disponibilissimo e ci ha aiutato con molte idee". Prima delle riprese, durate cinque settimane, "abbiamo fatto ricerche per un anno, e abbiamo parlato a lungo con i ragazzi di Quartuccio - ha aggiunto Pau, che ha voluto nel cast anche molti non professionisti tra cui vari giovani detenuti -.
Molte delle cose di cui siamo stati testimoni, o che ci hanno raccontato, sono finite nella sceneggiatura. Certi sguardi malinconici che ho visto dietro quelle sbarre mi resteranno sempre dentro". Quel contatto diretto è stato di grande aiuto anche per Nicola Adamo: "Oltre all’impatto umano profondo, ho potuto conoscere dai ragazzi i rituali della loro vita là, ed avere così una visione molto più realistica di Jimmy". Al film hanno offerto la loro piena collaborazione sia le autorità carcerarie che la comunità de La Collina: "Penso sia importante - ha concluso Pau - far conoscere realtà preziosissime di una qualità umana fondamentale come quella creata da Don Ettore".
Droghe: repressione o inclusione?, confronto tra Italia e Olanda
Redattore Sociale, 26 Aprile 2008
In Olanda tollerata la cannabis, severamente punita la vendita delle droghe pesanti. E il governo si impegna ad allontanare i coffe-shops dalle scuole. L’esperienza romana dell’Agenzia per le Tossicodipendenze: un budget di oltre 7 milioni.
La tossicodipendenza tra repressione e inclusione sociale: questo il nodo centrale del seminario che si è svolto oggi a Roma, presso lo Cnel, sul tema "Interventi sociali per la cura dei tossicodipendenti". A confrontare dati, esperienze e soprattutto buone prassi sono intervenuti rappresentanti ed esperti dell’Italia e dell’Olanda. "Amsterdam è considerata la città di Sodoma e Gomorra - ha affermato Marjolein Verstappen, direttore del Servizio comunale della Salute (Ggd) della capitale olandese - prima fra tutte le città del paese per il numero di coffee-shop, che sono 250.
Il 15% dei ragazzi (18-24 anni) fa uso di cannabis, la cui vendita è tollerata dal governo, il quale tuttavia sta cercando di scoraggiarne il consumo allontanando i coffee-shop dalle scuole. Il consumo delle cosiddette droghe da party si sta riducendo, passando dal 20% del 2003 al 17% del 2005": merito in buona parte proprio del servizio comunale (un servizio sanitario pubblico), che interviene sulle strade e in tutti gli ambienti frequentati dalle persone tossicodipendenti. "Dopo recenti incidenti, il governo ha anche deciso di vietare i funghi allucinogeni, destando qualche perplessità". Tra le misure intraprese dal GGD per contrastare la tossicodipendenza, c’è anche la somministrazione controllata di eroina, "ma solo secondo rigidi criteri selettivi", ha precisato la Verstappen.
Per quanto riguarda più in generale l’Olanda, nella lotta contro le dipendenze il governo si è posto alcuni obiettivi a breve termine, come l’elaborazione di un programma di percorso per ciascuno dei 10.000 senzatetto entro il 2010. "Nel 2008, almeno il 70% di loro dovrà avere una casa", ha riferito Daan van der Gouwe, dell’Istituto olandese sulla salute mentale e le tossicodipendenze. Per quanto riguarda il consumo di sostanze, secondo dati risalenti al 2001 (fonte: European monitoring centre for drugs and drug addiction) il 21% delle persone tra i 15 e i 64 anni fa uso di cannabis, mentre il 3,6% ricorre a cocaina o ecstasy: un dato molto simile a quello dell’Italia dove, secondo la stessa fonte, si registrano rispettivamente il 22% per la cannabis, il 3,4% per la cocaina e l’1,8% per l’ecstasy. Il dato più basso si rileva in Portogallo, dove le percentuali scendono a 8%, 0,9% e 0,7%.
"Ci sono tre patate bollenti con cui dobbiamo fare i conti nel nostro paese - ha concluso van Der Gouwe - cioè la chiusura dei coffee-shop entro 250 metri dalle scuole, la lotta contro il Ghb, cioè quelle droghe facilmente reperibili e spesso assunte involontariamente e la messa a punto di test affidabili". Per quanto riguarda l’Italia, sono state illustrate le esperienze dell’Agenzia comunale per le tossicodipendenza di Roma e dell’Istituto San Gallicano.
"Ci sono 500 Sert in Italia, che assistono circa 160.000 persone, con una varietà di proposte e servizi", ha riferito Guglielmo Masci, direttore dell’Agenzia. "L’Agenzia dispone di un budget di 3 milioni di euro proveniente dal Comune, raddoppiato grazie al fondo sociale della legge 328 e a cui va ad aggiungersi circa 1 milione e mezzo proveniente da progetti ministeriali. Quel che registriamo è la forte divisione tra servizi sociali e sanitari, ma soprattutto la fatica di lavorare con una legislazione e in un clima nazionale non favorevoli, dominato spesso dalla reticenza e dalla paura".
La storia e le attività dell’Istituto San Gallicano e, in particolare, dell’Osservatorio sulle persone senza fissa dimora sono state infine riferite da Aldo Morrone, che ne è il direttore. "Abbiamo seguito fino a oggi circa 7.000 persone, in gran parte stranieri, alcuni dei quali richiedenti asilo. La maggioranza di queste persone non fa uso di sostanze. Ricorrono a droghe il 16% delle persone senza fissa dimora italiane, per lo più al di sotto dei 18 anni".
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