La questione dell’esecuzione penale deve essere prima di tutto una questione culturale. Leggendo i dati del DAP degli ultimi venti anni, difficilmente possiamo considerare il carcere come la soluzione alle criminalità. Chiunque legga questi dati, dai numeri alla composizione sociale, rimarrà sorpreso nel notare che è più facile individuare dentro le percentuali, migranti, prostitute, tossicodipendenti e meridionali. Uomini e donne che per la loro condizione, perdono qualsiasi contatto con la società, o peggio, con la parte più produttiva della società.
Mai come ora, dopo l’indulto il carcere è stato così isolato, ed ha ragione il direttore di “Diritti Globali” Sergio Segio, quando dice che le carceri sono diventate un sovraffollato deposito di "vite a perdere”, in particolare di migranti e tossicodipendenti. Perché chi entra in carcere è un emarginato, ma chi ne esce, in assenza di una politica di inclusione e reinserimento sociale, è emarginato due volte.
Tutto ciò accade mentre i Governi Europei, in assenza di garantismo negli interventi sociali, acquisiscono una percezione della realtà sociale distorta, inquinata da un pensiero intollerante, emergenzialista e giustizialista che nasce delle voci che provengono dagli “stomaci” delle società. Strategie di risoluzione che aumentano solo le disuguaglianze e ci portano ad un nuovo Medioevo. Strategie di contenimento sociale, della volontà di escludere, segregare e nascondere i disagi sociali che la nostra società produce e poi scarica verso il Carcere.
A Cagliari, l’aspetto più drammatico del sistema penale è Buoncammino. Chiamato anche carcere della pazzia, della droga e della malattia, attraverso la testimonianza di Santino, ex persona detenuta, che dalle lettere inviate a Radio Carcere scrive: “Rumore. Urla. Depressione e pazzia. Psicofarmaci. Droga. Vino e valium. Bombolette di gas da sniffare. Lamette da barba per tagliarsi. Sporcizia. Puzza. Topi e scarafaggi. Malati mentali. Tossici. Malati fisici. Chi sta sulla sedia a rotelle. Chi ha l’epatite o l’aids. Chi ha la scabbia, la tubercolosi e la meningite. Ogni tanto, in una cella vedi una cinghia attaccata alle sbarre, e lì appeso uno dei tanti che non ce l’hanno fatta.”
Se il Carcere sembra precipitato in un pozzo senza fondo, se emerge una situazione di vero e proprio sfascio delle legalità, di azzeramento della dignità e rispetto dei diritti umani e civili delle persone detenute, allora come Associazione 5 Novembre, proponiamo una soluzione: L’Amnistia. Indulti e indultini, da soli non bastano, poiché estinguono solo la pena e non comportano una sentenza di assoluzione. L'amnistia estingue il reato e, se vi è stata condanna, fa cessare l'esecuzione della condanna e le pene accessorie.
L'amnistia in Italia è prevista dall'art. 79 della Costituzione, i Decreti del Presidente della Repubblica del 1946 e del 1953, fecero beneficiare dell’Amnistia per la prima volta i condannati per reati comuni, politici e militari. Dal 1992 una riforma costituzionale ha attribuito questo potere al Parlamento. Al mondo della politica chiediamo l’attuazione di questo provvedimento, accompagnato dal diritto di associazione dei cittadini detenuti, dalla decarcerizzazione dei malati psichici, tossicodipendenti e sieropositivi, dall’aumento delle concessioni alle misure alternative, dalla riforma del codice penale a partire dall’abolizione dell’ergastolo e dalla depenalizzazione dei reati minori.
Vogliamo giustizia consapevole: le prigioni sono un invenzione del medioevo, e l’uomo moderno deve individuarne il superamento.
Roberto Loddo
Associazione 5 Novembre "Per i Diritti Civili"
1 commento:
Giustizia: Antigone; le priorità per una nuova politica penale
Associazione Antigone, 21 marzo 2008
Le nostre proposte: una giustizia equa e una difesa pubblica; il diritto penale deve giudicare i fatti e non le storie di vita; i diritti vanno promossi e protetti; la tortura va messa fuorilegge
La percezione di insicurezza che viene sbandierata al fine di giustificare provvedimenti di natura repressiva non trova spiegazioni nella dimensione qualitativa e quantitativa del crimine. Essa va comunque tenuta in considerazione in quanto insoddisfatta è la domanda di giustizia e di tutela dei diritti. La magistratura deve assicurare efficienza attraverso processi dalla durata ragionevole. Un nuovo codice penale di ispirazione garantista, la riduzione del numero complessivo di reati, la depenalizzazione delle pratiche di consumo delle droghe e della condizione di immigrato, oltre ad avere ricadute positive sul sovraffollamento penitenziario avrebbero una immediata ripercussione positiva sul lavoro dei magistrati che così potrebbero concentrarsi solo su questioni di grave portata criminale, riducendo i tempi infiniti della giustizia.
La giustizia non è al centro di questa campagna elettorale. Laddove lo è viene declinata in termini di sicurezza urbana. Non ci si preoccupa oramai più della cifra ignota del crimine, del sistema investigativo che non riesce a risolvere i veri (o presunti) crimini più gravi, della giustizia oramai al collasso, dell’inefficienza dei tribunali, della lentezza e iniquità dei processi. Dopo un quindicennio durante il quale il gioco delle corporazioni e il pro o anti-berlusconismo ha fortemente condizionato le politiche e le parole della giustizia ora è calato il silenzio. Un silenzio che non fa presagire niente di buono.
Noi pensiamo che la giustizia debba essere riformata nel segno della equità, della ragionevolezza, della minimizzazione dell’impatto penale. Non rinunciamo all’idea che il diritto penale debba essere un diritto penale minimo, che la pena carceraria debba essere la extrema ratio, che vada individuata una gerarchia di beni fondamentali da proteggere e che per tutti gli altri vadano trovate forme di protezione giuridica diverse. Riteniamo che la giustizia debba essere un terreno su cui sperimentare un modello di comunità capace di includere, di costruire coesione sociale, di restituire dignità e memoria.
Una giustizia equa e una difesa pubblica
Il sistema della giustizia si presenta fortemente discriminatorio. Il totale delle garanzie è a disposizione dei soli che possono permettersi una adeguata difesa tecnica. I non abbienti sono esclusi da ogni forma di tutela processuale. Il sistema di difesa dell’imputato non può più prescindere dall’istituzione di una difesa pubblica realmente funzionante, complementare rispetto alla libera professione. A questo fine, vanno anche riviste le due differenti figure del difensore d’ufficio e del gratuito patrocinio, a oggi non effettivamente in grado di garantire una difesa usufruibile dalla totalità dei cittadini.
Il diritto penale deve giudicare i fatti e non le storie di vita
Va rivisitato il sistema sanzionatorio, che dopo l’approvazione della legge ex Cirielli sulla recidiva, è definitivamente improntato a giudicare la storia socio-penale degli imputati piuttosto che i singoli e concreti fatti da loro compiuti. Il nostro sistema penale tende a giudicare in modo diseguale due persone che hanno compiuto lo stesso reato a seconda dei precedenti loro contestati, della loro storia personale. La recidiva, la delinquenza abituale, professionale e per tendenza sono oggi causa di pene elevatissime per fatti non gravi. È necessario ritornare al diritto penale del fatto ponendolo in contrapposizione al nuovo e pericoloso diritto penale del reo. È necessario investire nelle misure alternative, come dimostrato dalle statistiche, vero antidoto alla recidiva.
I diritti vanno promossi e protetti
La giustizia penale non può superare un limite invalicabile, quello costituito dai diritti fondamentali della persona. Per questo va prevista l’introduzione di un meccanismo indipendente di tutela delle persone private o limitate nella libertà. Figura necessaria, anche alla luce di recenti obblighi internazionali (protocollo Onu alla Convenzione sulla tortura, firmato nel 2003 ma non ancora ratificato dall’Italia). Nelle carceri, nelle caserme delle forze dell’ordine, nei luoghi di detenzione amministrativa per immigrati in via di espulsione, i diritti sono inevitabilmente e quotidianamente a rischio.
La tortura va messa fuorilegge
A oltre vent’anni dalla ratifica della Convenzione Onu contro la tortura va conseguito l’obiettivo dell’introduzione del crimine di tortura nel nostro codice penale. L’Italia versa oggi in un pericoloso e umiliante vuoto normativo che va urgentemente colmato. La tortura è un crimine contro l’umanità e la legislazione penale vigente è assolutamente insufficiente.
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