venerdì 29 ottobre 2010

Una firma per migliorare la vita dei detenuti, parte la petizione delle associazioni sarde


Una firma per rendere il carcere più vivibile. E più a misura d'uomo. Le associazioni "5 Novembre" e "Asarp" (associazione sarda per l'attuazione della riforma psichiatrica) hanno promosso l'iniziativa "Liberiamo gli affetti". Ossia una raccolta di firme per la presentazione di una legge per il diritto all'affettività ai detenuti. L'obiettivo delle associazioni, che hanno trovato il sostegno di alcuni familiari dei detenuti del carcere Buoncammino, è quello di rendere più umana la vita dietro le sbarre per favorire alla fine della pena il reinserimento nella famiglia e nella società. Una proposta di legge già esistente presentata alla camera dei deputati nel 1997 dall'allora deputato Giuliano Pisapia ma fino ad ora rimasta lettera morta. La proposta di legge è composta da quattro brevi articoli che prevedono la realizzazione di locali idonei all’interno degli istituti di pena e in apposite aree all’aperto, dove i detenuti avranno la possibilità di intrattenere rapporti affettivi con i propri cari senza controllo visivo. I permessi potranno avere una durata fino a quindici giorni per ogni semestre di carcerazione e ai detenuti stranieri che non hanno visite da parte dei propri familiari, saranno concessi colloqui telefonici quindicinali, per un tempo più ampio di quello previsto dalle attuali norme. Una mobilitazione che non si ferma qui ma ha un risvolto concreto anche davanti alle strutture detentive. E’ per questo motivo che ogni Lunedì, alle ore 14 le associazioni e i familiari si incontrano di fronte al carcere di Buoncammino per raccogliere le firme di tutti cittadini sensibili ai diritti civili e umani delle persone private della libertà e denunciare le condizioni illegali e anticostituzionali delle carceri sarde. E' da mesi infatti, che le associazioni chiedono al mondo della politica di “rispettare la legge Bindi e predisporre il trasferimento delle competenze della sanità penitenziaria al servizio sanitario nazionale”. Una situazione che, come spiegano i promotori “rischia di generare un disastro sanitario senza precedenti, negando il diritto alla salute e sancendo la disparità di trattamento tra cittadino libero e cittadino detenuto”.
Roberto Loddo

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Don Ettore Cannavera, riflessioni da "La Collina"

L'Associazione 5 Novembre, ha intervistato Don Ettore Cannavera, fondatore della comunità di accoglienza "La Collina", rivolta a giovani-adulti, di età compresa tra i 18 ed i 25 anni, che vengono affidati dalla Magistratura di Sorveglianza come misura alternativa alla detenzione. Un interessante intervista sui temi della Giustizia, del Carcere, del precariato giovanile e della cultura della Solidarietà e dell'accoglienza.