mercoledì 4 novembre 2009

La cella ne ha uccisi già centoquarantasei. In un anno



di Valentina Ascione - 3 novembre 2009


All’indomani del suicidio di Diana Blefari Melazzi, mentre il caso di Stefano Cucchi continua a deflagrare in tutta la sua assurdità, si accende inevitabilmente l’attenzione sul mondo delle carceri e sull’umanità dolente che popola i circa duecento istituti italiani. Un universo silente, troppo spesso dimenticato perché percepito come lontano, se non addirittura avulso, dal mondo che gira veloce dall`altra parte delle sbarre. Eppure la popolazione carceraria ha superato da poco le 65 mila unità, sfondando quel tetto indicato come “limite di tollerabilità”, ammesso che sia possibile fissare scientificamente un punto oltre il quale le mura di una galera non riescono più a sostenere la pressione dei corpi e un corpo a sopportare la riduzione dello spazio vitale. Alcune storie hanno la capacità di squarciare, magari per poco, il velo di silenzio che oscura lo svolgersi quotidiano della vita dei detenuti, perché il protagonista è noto alle cronache, o perché cè una famiglia che coraggiosamente ingaggia una battaglia per la verità. Per i pochi casi che finiscono sotto i riflettori, però, ce ne sono moltissimi altri che restano nellanonimato o finiscono nel dimenticatoio.
Nel dossier di Ristretti Orizzonti, “Morire in carcere”, si legge che negli ultimi dieci anni negli istituti di pena italiani sono morti 1500 detenuti e che i suicidi sarebbero più di un terzo. Dall`inizio del 2009 si sono già contati 146 morti, di cui 60 suicidi e i restanti dovuti a morte naturale o a cause non chiare. Chissà come è stata, catalogata la morte di Sami Mbarka Ben Gargi, il tunisino 42enne detenuto nel carcere di Pavia, che a settembre scorso si è lasciato morire di stenti, dopo quasi due mesi di sciopero della fame, per protestare contro la condanna per violenza sessuale. Quella di Nicky Gatti Aprile è stata archiviata come suicidio, anche se la madre non ha mai creduto a questa ipotesi . Il giovane è morto nel giugno del 2008, a soli 26 anni, nel carcere di Sollicciano, dove si trovava con laccusa di truffa informatica. Tutti gli interrogativi su questa morte sospetta, che la madre di Nicky, Ornella, crede essere omicidio, sono raccolti in un blog, così come quelli relativi alla vicenda di Stefano Frapporti. Lo scorso 21 luglio il muratore 48enne di Rovereto viene fermato per uninfrazione stradale da due carabinieri e viene arrestato perché sospettato di spaccio. Pure lui, come Stefano Cucchi, non uscirà mai vivo dal carcere: a poche ore dal fermo i secondini lo trovano impiccato nella sua cella. Anche questa storia è piena di punti oscuri, i familiari di Stefano non riescono a darsi pace e reclamano giustizia. E ieri è tornata a farsi sentire la madre di Marcello Lonzi, per chiedere al ministro Alfano di guardare su internet le foto del cadavere di suo figlio e darle finalmente le risposte che insegue da oltre sei anni. Marcello era recluso nel penitenziario di Livorno per tentativo di furto è lì è stato trovato morto il 12 luglio del 2003.
La prima indagine stabilì che si trattava di morte per cause naturali, ma i segni sul corpo e sul viso del ragazzo, rilevati anche dall`autopsia, sollevavano forti dubbi su questa conclusione. La mamma, Maria Ciuffi, è convinta che il giovane morì in seguito a un pestaggio, la procura ha aperto una nuova indagine nella quale risultano indagati un detenuto e tre agenti. “Non parlo solo per me - ha spiegato la donna - ma per tutte quelle madri che non hanno avuto lo stesso trattamento riservato al caso Cucchi”. La recente morte del 31enne romano sembra infatti aver scoperchiato un vaso di pandora. “Perché non si parla anche delle «strane» morti di cittadini romeni in Italia?” - chiede il Partito Identità Romena che lancia un appello affinché non venga dimenticato la “strana morte avvenuta nella Caserma dei carabinieri di Montecatini di Sorin Calin”, avvenuta a pochi mesi di distanza da quella di Cristian Lupu, a Frosinone, “uscito cadavere da altra stazione dei Carabinieri”. “Non si può mettere alla gogna mediatica una intera comunità e poi tacere quando sono i cittadini romeni ad essere vittime di situazioni incredibili”. Quella dei pestaggi sembra essere una piaga profonda.
E di soli pochi giorni fà la denuncia del quotidiano La Città di Teramo di violenze nel carcere Castrogno: la registrazione di una conversazione tra agenti, recapitata da mano ignota al direttore del quotidiano, getta sullistituto il sospetto di una prassi ormai consolidata. Ecco alcuni frasi impresse sul nastro: “(…) Lo sanno tutti (…) in sezione un detenuto non si massacra, si massacra sotto”. “Abbiamo rischiato una rivolta perché il negro ha visto tutto”. Il dialogo a due voci, secondo quanto scritto da La Città, condurrebbe ad un comandante di reparto degli agenti di Polizia Penitenziaria di Castrogno ed sovrintendente che il giorno del presunto pestaggio, sarebbe stato di turno come capo-posto, ossia come coordinatore delle quattro sezioni in cui sono ospitati i circa 400 detenuti. Il Comandante Luzi ha confermato alla parlamentare radicale Rita Bernardini - autrice di uninterrogazione sul caso, che ieri sè recata in visita ispettiva a Teramo - che la voce del nastro è la sua. “Però - riferisce la deputata ha spiegato che le sue parole sono state estrapolate rispetto ad un contesto diverso da quello che si immagina”. Anche se l`istituto versa in pessime condizioni e il personale è nettamente sottodimensionato, durante la visita i detenuti non hanno fatto riferimento a pestaggi o violenze. La magistratura indaga.

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Don Ettore Cannavera, riflessioni da "La Collina"

L'Associazione 5 Novembre, ha intervistato Don Ettore Cannavera, fondatore della comunità di accoglienza "La Collina", rivolta a giovani-adulti, di età compresa tra i 18 ed i 25 anni, che vengono affidati dalla Magistratura di Sorveglianza come misura alternativa alla detenzione. Un interessante intervista sui temi della Giustizia, del Carcere, del precariato giovanile e della cultura della Solidarietà e dell'accoglienza.