mercoledì 3 dicembre 2008

L’ergastolo è una pena inumana, è tempo di abolirla


di Giovanni Russo Spena e Gennaro Santoro

(Rifondazione Comunista)
Liberazione, 3 dicembre 2008


L’ergastolo è una pena inumana, che toglie all’uomo la speranza, che confligge in modo inconciliabile con il principio costituzionale della umanità e della finalità rieducativa della pena. L’ergastolo è una pena premoderna che addirittura il codice penale francese del 1791, che pur prevedeva la pena di morte, lo aveva abolito. Del resto, anche autorevoli personalità della nostra storia repubblicana, da Togliatti a Moro, da Ingrao a Dossetti, si sono espressi a favore dell’abolizione del fine pena: mai, perché tale pena contrasta con il principio "personalista" della nostra carta costituzionale, secondo il quale la persona è il fine ultimo del nostro ordinamento e la dignità umana non può essere calpestata: mai.


Per queste ragioni anche quest’anno Rifondazione sostiene attivamente la campagna Mai dire mai, indetta dagli ergastolani di tutta Italia per chiedere l’abolizione della pena perpetua e dei circuiti penitenziari di massima sicurezza. Una campagna iniziata con la presentazione di circa 750 ricorsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo e che oggi prosegue con uno sciopero della fame degli ergastolani e che continuerà fino a marzo 2009 con uno sciopero a staffetta su base regionale che coinvolgerà anche cittadini liberi solidali con la mobilitazione. Una campagna che ha già dato vita ad una prima pubblicazione "Mai dire mai. Il risveglio dei dannati", nella quale gli stessi ergastolani raccontano e valutano la prima parte della loro lotta.


Oggi sono circa 1.500 gli ergastolani in Italia, reclusi in una cinquantina di istituti differenti. Circa 25 sono donne, quasi tutte concentrate in sezioni di massima sicurezza. Solo una metà degli ergastolani reclusi nelle nostre carceri, secondo i dati di Liberarsi, ha accesso a qualche misura alternativa alla detenzione. Dunque i dati smentiscono il mito secondo il quale l’ergastolo in concreto non esiste. Basta accedere al sito "www.informacarcere.it" per scoprire che esistono ergastolani che patiscono la loro pena da più di 40 anni. Rifondazione ha da sempre sostenuto l’abolizione dell’ergastolo sia con la presentazione di disegni di legge sia con la promozione di pubblici eventi di sensibilizzazione. L’anno scorso lanciammo una lettera aperta al mondo dello spettacolo che raccolse decine e decine di adesioni, da Mario Monicelli ad Ascanio Celestini, dal compianto Sandro Curzi a Erri De Luca.


Eppure, l’Italia continua ad essere uno dei pochi paesi in Europa dove continua ad esistere, in concreto, la pena dell’ergastolo. Così come non esiste ancora un Garante nazionale delle persone private della libertà personale e, per altro verso, non esiste ancora un reato di tortura. Tre tristi primati di quella che una volta era considerata culla del diritto e oggi sta diventando sempre più baratro dei diritti umani. La nostra solidarietà agli ergastolani che, come ha ricordato l’Associazione Antigone, hanno dimostrato di credere nei diritti dell’uomo e nella giurisdizione, al punto di servirsene, ben più di quanto non facciano molti funzionari dello Stato.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Buoncammino diventerà un ospedale per detenuti?



La Nuova Sardegna, 5 dicembre 2008



Come Rebibbia e San Vittore: Buoncammino resterà nel patrimonio del ministero di Grazia e Giustizia. Non c’è aria di dismissione per il carcere ottocentesco cagliaritano da dove, non prima di due anni, se ne andranno detenuti e agenti di custodia destinati nell’edificio tuttora in costruzione nelle campagne di Uta.

Potrebbe sorgere qui, infatti, il mille volte richiesto centro clinico per una popolazione carceraria in condizioni fisiche precarie: il 70 per cento dei detenuti di Buoncammino è tossicodipendente, il resto convive con Aids o con malattie psichiatriche. Altra opzione è che nel vecchio carcere restino i detenuti che hanno ottenuto il regime di semilibertà e per i quali la permanenza in centro città renderebbe meglio gestibile le attività di reinserimento sociale.

Infine: Buoncammino rimane un carcere e basta e i detenuti vengono divisi tra vecchio e nuovo edificio con criteri ancora da stabilire. Non è attuale, insomma, l’idea che la struttura possa essere consegnata alla città attraverso la Regione. Comunque per ora non è attuale neppure il tema del trasferimento del carcere in un edificio finalmente adatto ai numeri ormai costanti per Buoncammino dove ogni tre mesi si va ufficialmente in sovraffollamento.

La cittadella deve essere consegnata al committente (il ministero delle infrastrutture) entro il novembre del 2009, poi va resa "abitabile": devono arrivare mobili, letti, attrezzature, impianti tecnologici. Con un po’ di ottimismo, un altro anno è da mettere nel conto. Tempi e scelte sono destinati a scontentare due realtà molto diverse: gli operatori impegnati nel carcere che affrontano ogni giorno i problemi provocati da sovraffollamento e inadeguatezza congenita di un edificio progettato nel corso dell’Ottocento; la comunità cagliaritana che guarda allo spazio liberato dal ministero di Grazia e Giustizia come un’opportunità quasi unica per via della posizione senza eguali.

Il punto è che Buoncammino senza detenuti può essere utile al sistema carcerario e in un modo positivo. Da tempo le associazioni di sostegno dei detenuti e delle loro famiglie chiedono la possibilità di collegare alcuni momenti della reclusione col mondo esterno. La struttura di concezione superata dentro Buoncammino pregiudica ogni cosa: anche le conquiste di civiltà più elementari non trovano facilmente diritto di soggiorno in un carcere vecchio.

Come il nido per i figli delle detenute che non possono essere rimesse subito in libertà, problema finora superato dalla buona volontà della direzione del carcere e dalla sensibilità del magistrato di sorveglianza. O come sale comuni dove trascorrere una parte del tempo in attività di formazione, tanto per fare un esempio.

Una questione spinosa: senza i locali necessari i detenuti ammessi ai corsi professionali devono per forza uscire dal carcere, ma qui ci si scontra con un’altra grossa lacuna dell’amministrazione penitenziaria, vale a dire il vuoto degli organici degli agenti di custodia. Per uscire i detenuti devono essere accompagnati e troppo spesso la direzione del carcere si è trovata costretta a rinunciare a progetti in cui si credeva fortemente.

La costruzione della cittadella vicino a Uta risulta a buon punto: parte dei padiglioni destinati ai carcerati sono finiti, così come altri caseggiati e il muro di cinta. La scelta se fare o meno a Buoncammino il centro clinico dovrebbe maturare nel giro di un anno: se si preferirà allestirlo a Uta bisognerà tenerne conto per arredi, tecnologie e spazi.

Don Ettore Cannavera, riflessioni da "La Collina"

L'Associazione 5 Novembre, ha intervistato Don Ettore Cannavera, fondatore della comunità di accoglienza "La Collina", rivolta a giovani-adulti, di età compresa tra i 18 ed i 25 anni, che vengono affidati dalla Magistratura di Sorveglianza come misura alternativa alla detenzione. Un interessante intervista sui temi della Giustizia, del Carcere, del precariato giovanile e della cultura della Solidarietà e dell'accoglienza.