All’inizio di ottobre gli è stato diagnosticato un cancro al pancreas: una delle forme di tumore più aggressive e difficili da curare. Lui vorrebbe tornare nel suo paese, in Belgio, per essere seguito da medici di cui si fida e per avere vicini i suoi parenti. Per una persona normale, questo elementare diritto alla salute può essere garantito senza alcun problema. Per chi si trova in carcere, come Jacques De Decker, 62 anni, da due a San Sebastiano, in attesa di giudizio per droga, poter fare le valigie e tornare a casa è molto più complicato.
Il problema è che più tardi inizierà la terapia, meno speranze avrà di guarire. Jacques De Decker, di padre belga e di madre congolese, dal maggio del 2006 è in custodia cautelare in carcere perché accusato di traffico di droga, nell’ambito dell’inchiesta "Uova d’oro" della guardia di finanza. Il caso è approdato da tempo in tribunale e circa quattro volte al mese, in corte d’assise, si svolgono udienze davanti al collegio. All’inizio di settembre, il detenuto aveva iniziato ad accusare dolori nella zona del fegato.
Per questo, si era rivolto al medico del carcere, che aveva disposto una serie di accertamenti. Inizialmente, infatti, si era pensato alla presenza di calcoli biliari, ma durante i controlli, che si sono conclusi alla fine di settembre, è venuta fuori l’amara verità: i medici hanno diagnosticato al cittadino belga un cancro al pancreas. La gravità di questo tipo di tumore è anche dovuta al fatto che solitamente ha un decorso molto aggressivo e la presenza di sintomi è indice di malattia in fase già avanzata. Nell’udienza successiva alla diagnosi, all’inizio di ottobre, De Decker aveva chiesto al collegio giudicante di poter tornare in Belgio per essere curato.
Alla proposta di andare a Verona, lui si era opposto dicendo di voler essere curato da medici di cui si fida. In Belgio, inoltre, vivono i suoi familiari. Il collegio si era così riservato di decidere. Nell’udienza successiva, il 16 ottobre, il detenuto si era di nuovo rivolto ai giudici, per chiedere cosa avessero deciso. E il collegio aveva rinviato ancora la decisione. Il 23 ottobre, sempre in tribunale, gli avvocati di De Decker, Elias Vacca e Giuseppe Onorato, hanno richiesto al collegio di consentire al loro assistito di partire per il Belgio, per farsi curare e di dare il permesso anche alla moglie, anche lei detenuta a San Sebastiano per lo stesso caso (lei si è sempre dichiarata innocente). Venerdì scorso il collegio ha rigettato la richiesta e ha disposto una verifica da parte di un altro medico. Domani dovrebbe essere dato l’incarico a un perito. La diagnosi di tumore non è stata fatta da un medico di parte, ma da quello del carcere. "La detenzione di Jacques De Decker non è la conseguenza di una condanna, ma è una misura cautelare.
Nelle sue condizioni di salute - hanno detto i legali durante l’udienza -, non ci sarebbe il rischio di fuga e comunque De Decker resterebbe nel territorio dell’Unione Europea. Sempre per via delle sue condizioni, non ci sarebbe il rischio di reiterazione del reato, né di inquinamento delle prove". La speranza, per il detenuto, è che il medico incaricato dal collegio presenti al più presto la perizia. Ogni giorno di ritardo nel dare il via alla terapia, rischia di tradursi in giorni di vita in meno per Jacques De Decker.
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