lunedì 14 luglio 2008

Don Ettore Cannavera, riflessioni da "La Collina"

i Blog di Associazione 5 Novembre, Precarinlinea e Precariola -uniti per intervistare Don Ettore Cannavera , fondatore della comunità di accoglienza "La Collina", rivolta a giovani-adulti, di età compresa tra i 18 ed i 25 anni, che vengono affidati dalla Magistratura di Sorveglianza come misura alternativa alla detenzione. Un interessante intervista sui temi della Giustizia, del Carcere, del precariato giovanile e della cultura della Solidarietà e dell'accoglienza.


6 commenti:

Anonimo ha detto...

Sardegna: carceri affollate e pochi agenti, sicurezza a rischio



Dire, 12 luglio 2008



Carceri sarde sovraffollate e pochi agenti per garantire la sicurezza. È la denuncia dei sindacati Fp Cgil, Sinappe Ussp, Osap e Fsa-Cnpp della Polizia Penitenziaria, riuniti a Cagliari nella sede della Cgil, per fare il punto sulla situazione e preparare le prossime battaglie. I sindacati hanno annunciato le prossime mosse per ottenere condizioni di lavoro migliori con l’obbiettivo di trovare un’intesa direttamente con il Governo.

Disagio in carcere: non quello dei detenuti, ma quello delle guardie. Il primo problema da risolvere, hanno sottolineato i rappresentanti delle sigle sindacali, riguarda la carenza di organico. Secondo i sindacati servirebbero almeno 200-250 agenti in più. "La situazione - hanno spiegato i sindacalisti della Polizia Penitenziaria - è rimasta ferma alla pianta organica del 2001. E non ci sembra che stiano per arrivare nuove assunzioni". Ai disagi per i lavoratori, che lamentano molte ferie e giornate di recupero arretrate, si aggiungono i problemi per la sicurezza. Anche perché, hanno denunciato i sindacati, le carceri sarde sono sovraffollate. I sindacati hanno annunciato le prossime mosse per ottenere condizioni di lavoro migliori con l’obbiettivo di trovare un’intesa direttamente con il Governo.

Rifondazione Libera ha detto...

Cagliari: Caligaris (Ps); Comune nomini Garante dei detenuti



Agi, 17 luglio 2008



L’amministrazione comunale di Cagliari, al pari di quelle di Nuoro e Sassari, deve dotarsi di una figura istituzionale in grado di salvaguardare i diritti dei detenuti. È quanto sostiene in una lettera al sindaco Emilio Floris il consigliere regionale socialista Maria Grazia Caligaris (Ps). "Una delle questioni più delicate all’attenzione dell’opinione pubblica e in particolare dei cittadini di Cagliari riguarda - afferma Caligaris che è anche componente della Commissione Diritti Civili del Consiglio ragionale - la condizione di vita dei detenuti.

Il rapporto che la città ha instaurato con la struttura di Buoncammino e la presenza del carcere nel tessuto urbano hanno reso l’Istituto Penitenziario un luogo "familiare" e i detenuti parte integrante del tessuto sociale. Questo positivo rapporto tra cittadini liberi e ristretti, al di là dei numeri - nel carcere di Buoncammino ci sono attualmente 455 detenuti di cui 18 donne e 217 agenti di polizia penitenziaria oltre a medici, infermieri, operatori culturali e volontari impegnati quotidianamente - comporta - sottolinea il consigliere socialista - un’assunzione di responsabilità da parte dell’amministrazione civica".

Rifondazione Libera ha detto...

Giustizia: negli Opg 1.348 internati… in condizioni terribili



Apcom, 17 luglio 2008



Negli ospedali psichiatrici giudiziari in Italia sono internate 1.348 persone, tra cui 98 donne, tutte a Castiglione delle Stiviere. È l’ultimo censimento diffuso ieri dall’Associazione Antigone che ha presentato a Roma "In galera", il V rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia. Ribattezzati dal 1975 "Ospedali Psichiatrici Giudiziari", ma ben noti fin dalla fine dell’800 come "Manicomi Criminali", sono gli istituti dove scontano la relativa misura di sicurezza le persone prosciolte per infermità psichica e socialmente pericolose è la misura di sicurezza. Il 65,1% degli internati in misura di sicurezza negli Opg italiani ha commesso un reato contro la persona, il 15,4 contro il patrimonio, il 4,9% contro la libertà sessuale, il 14% altro.

Gli ospedali psichiatrici giudiziari sono 6 in Italia: Aversa, 164 posti di capienza per 321 uomini internati, Barcellona Pozzo di Gotto, 216 posti per 250 uomini internati, Castiglione delle Stiviere, 193 posti per 237 internati, 139 uomini e 98 donne, Napoli 150 posti per 76 internati uomini, Montelupo Fiorentino 100 posti per 184 internati uomini, Reggio Emilia 132 posati per 280 internati, tutti uomini.

Ma oltre ai numeri l’associazione denuncia le condizioni di vita negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, dove sopravvivono ancora i letti di contenzione e le camere di coercizione. "Condizioni di vita troppo dure, diversi casi di detenzione ingiustificata, eccessivo uso di letti di contenzione, strutture in alcuni casi sovraffollate e sporche", questo il quadro degli Opg tracciato dal rapporto. In tutti gli ospedali psichiatrici giudiziari italiani sono presenti una o più sale di coercizione, con letti con cinghie di cuoio e - a volte - un buco al centro per i bisogni fisici.

"Il dato è preoccupante in sé perché l’uso della coercizione è di per sé una pratica violenta che costringe un soggetto con disagio mentale a essere legato al letto per un periodo di tempo indefinito", denuncia l’Associazione, preoccupata anche per l’assenza di dati relativi ai tempi medi della coercizione.

"Di certo - sottolinea il rapporto - non mancano casi di internati costretti al letto di coercizione sino a 14 giorni di seguito". Ma il problema è che non esiste un protocollo unico di intervento, né un registro apposito che consenta di monitorare l’uso che viene fatto dalla pratica della coercizione, né è possibile stabile in che misura abbia una efficacia terapeutica e in quale sia invece uno strumento di mero contenimento fisico.

In media almeno un internato su sei ha conosciuto l’esperienza, terribile, della coercizione, ma è "un dato sottostimato", dove non risultano, perché non disponibili, i dati relativi a Napoli e ad Aversa. Pertanto - conclude il rapporto - esclusi questi ultimi due istituti, risultano 195 i soggetti coerciti: 84 a Reggio Emilia 84, 47 a Castiglione 47, 32 a Barcellona e a Montelupo. Complessivamente si contano 515 episodi di coercizione: 188 a Castiglione, 123 a Reggio Emilia, 84 a Barcellona, 69 a Montelupo, 51 ad Aversa, 50 a Napoli 50.

Questi i confini di quella che però risulta ancora una "zona grigia", "che andrebbe indagata con maggiore attenzione". E in questo capitolo l’Associazione Antigone apre anche un paragrafo preoccupante sui suicidi nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa. Nel 2004 si sono registrati infatti 2 suicidi (1 ad Aversa, l’altro a Reggio Emilia), ma nel periodo che va dal settembre 2006 al marzo 2008 nel solo ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa ci sono stati 6 suicidi ed un tentativo di suicidio.

"Non è un caso - sottolinea il rapporto - se pensiamo che la struttura di Aversa è arrivata ad ospitare un numero di internati pari al doppio della sua capienza". Un altro episodio che Antigone vuole ricordare riguarda l’Opg di Montelupo Fiorentino: il 22 maggio 2007, Maurizio Sinatti, 42 anni, viene ucciso dal compagno di stanza. La vittima era stata internata da pochi mesi, dopo aver scontato una pena per alcuni furti. Secondo alcune testimonianze tra la vittima e il suo compagno di stanza si erano già verificati degli screzi.

Anonimo ha detto...

Qualcuno ricorda il pensiero di Mario Gozzini?

di Daniela Domenici



Italia Notizie, 19 luglio 2008



Diceva Mario Gozzini, autore della legge sul "pianeta carcere", che da lui ha preso il nome: "Non ci si può limitare a chiedere che i rei siano posti in condizione di non nuocere più: ci si deve innanzitutto interrogare se del reato commesso non esista una responsabilità collettiva, sia pure indiretta, in quanto non abbiamo saputo intervenire in tempo per risolvere un disagio e prevenirne le conseguenze criminose."

In carcere "ci si ammazza": nel 2007 si contano 45 suicidi in cella, diciotto volte di più che all’esterno, 43 uomini, di cui 27 italiani e 16 stranieri, e due hanno donne italiane. E 76 sono i reclusi morti per cause naturali. È il quadro fatto dall’Associazione Antigone che ha presentato a Roma il V rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia. La maggior parte dei suicidi erano imputati perché - sottolinea il rapporto - quello dell’ingresso in carcere "è un momento sconfortante" e perché "si registra un maggior numero di imputati a seguito dell’indulto, che li ha interessati più marginalmente."

I tentativi di suicidio sono stati invece 610, di cui 571 hanno riguardato uomini, parimenti italiani che stranieri (287 contro 284). Quanto alle donne, 22 italiane e 17 straniere. Anche qui a tentare il suicidio sono per la maggior parte tra coloro che non hanno ancora una condanna definitiva. I tentativi di suicidio hanno interessato l’1,35 % della popolazione detenuta presente in media nel corso del 2007.

Cifre molto superiori emergono se si contano gli atti di autolesionismo, che hanno riguardato l’8,14 % dei detenuti e degli internati, vale a dire, in termini assoluti, 3.687 persone, di cui 1.447 uomini italiani, 2.066 uomini stranieri, 117 donne italiane (addirittura il 12,89 % del totale) e 57 donne straniere (solo il 5,29 % del totale). Tra questi detenuti, 2.213 erano imputati (di cui 104 donne), 1.402 condannati (di cui 69 donne) e 71 internati (di cui una donna). Per cause naturali, invece, nel 2007 sono morti in carcere 76 detenuti, tra cui 2 donne. Tra questi, 63 erano italiani (tra cui due donne) e 13 stranieri.

Anonimo ha detto...

I Giovani Avvocati sul reinserimento dei detenuti

Alfonso Quarto (presidente Aiga)



Il Denaro, 19 luglio 2008



Con le modifiche oggi proposte in sei articoli dal Ddl Berselli, la cosiddetta Legge Gozzini, pensata e scritta per rispondere al dettato costituzionale e all’interesse della società civile per il recupero ed il reinserimento dei condannati, verrebbe praticamente svuotata dei suoi contenuti di grande civiltà, rendendola inefficace.

La legge 354/75, con i successivi aggiustamenti, si è rivelata una formula giusta, equilibrata, che in oltre trent’anni ha prodotto indiscutibili successi e molti di più ne avrebbe prodotti se fosse stata applicata in modo più coraggioso. Sono anni, ormai, che i Giovani Avvocati denunciano la necessità di una riforma organica del sistema penale e penitenziario, ma non certamente con le modalità e le modifiche proposte dal Governo.

Avevamo già scritto, proprio su queste pagine, che fin dai tempi dell’Università abbiamo studiato che la pena ha una funzione rieducativa e che la nostra Costituzione prevede all’art. 27 che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".

Tale risultato è stato il frutto di un lungo processo evolutivo della pena che è passata da un significato intimidatorio e vendicativo, proprio dell’epoca pre illuministica - dove il colpevole era punito con vere e proprie pene corporali che potevano portare anche alla morte del reo - ad un valore retributivo, sotto l’influenza dei principi illuministici, per cui essa veniva comminata in maniera proporzionale alla gravità del reato, indipendentemente dall’appartenenza del colpevole a particolari classi sociali.

Ritenevamo che si fosse raggiunta la consapevolezza che credere nella funzione rieducativa della pena, non significa soltanto aderire ad una scelta etica che contraddistingue uno stato di diritto, ma soprattutto scegliere uno strumento di effettiva tutela sociale che, favorendo la rieducazione ed il reinserimento sociale del detenuto, è in grado di liberare la collettività dalla minaccia di doversi difendere dal condannato dopo il confinamento carcerario.

Purtroppo, ci eravamo illusi in quanto la riforma oggi all’attenzione del Parlamento rappresenta un clamoroso passo indietro rispetto al virtuoso percorso proposto dai Giovani Avvocati di potenziare le misure alternative proprio per favorire i processi rieducativi. Si è visto, infatti, che attraverso gli strumenti premiali e la concessione delle misure alternative al carcere, come la semilibertà e l’affidamento, almeno l’80% di chi ne ha usufruito ha abbandonato i percorsi devianti per rientrare nei circuiti di una vita normale ed onesta, mentre la propensione a delinquere permane in chi sconta per intero la pena in carcere all’incirca nella stessa percentuale. Ciò risulta dai dati ufficiali forniti dal Ministero della giustizia e non è certo un’invenzione dei sostenitori della Gozzini.

Eliminando invece - come vuole il disegno di legge Berselli - la liberazione anticipata per buona condotta, allungando e raddoppiando i tempi di espiazione della pena, prima di poter ottenere un permesso premio o le misure alternative, si preclude praticamente al condannato la possibilità di avviare all’esterno un serio percorso riabilitativo, ben sapendo quanto siano peraltro carenti o inesistenti all’interno degli istituti penitenziari strumenti trattamentali, risorse umane e finanziarie.

Inutile parlare dell’intervento sull’articolo 656 cpp, con l’abrogazione di fatto della legge Simeone; tale nefasto intervento provocherebbe il passaggio obbligatorio per il carcere di qualsiasi persona destinataria di un ordine di esecuzione, vanificando tutti gli sforzi precedentemente fatti proprio per evitare che il soggetto in possesso dei requisiti oggettivi e soggettivi per usufruire di una delle misure alternative, venisse inutilmente a contatto con l’ambiente carcerario, certamente criminogeno e contrario a qualsiasi forma di rieducazione soprattutto per reati poco allarmanti.

Non solo. Vi sarebbe un immediato effetto azzeramento dei benefici prodotti dall’indulto con una situazione delle carceri che tornerebbe a ridare al nostro Paese il triste primato del sovraffollamento carcerario, questo si, davvero incompatibile con qualsiasi forma di rieducazione. E se "il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri", secondo il pensiero di Voltaire e Dostoevskij, a distanza di pochi mesi dall’approvazione di un tale provvedimento, l’Italia diventerebbe anche il Paese più incivile del mondo! In realtà, non basta certo a giustificare questo assurdo "giro di vite" il motivo che di tanto in tanto qualche semilibero o affidato torni a commettere reati anche molto gravi. Si tratta certamente di casi che fanno scalpore e che andrebbero attentamente vagliati per evitarne il ripetersi.

Ma è illogico e dannoso far pagare a tutti i condannati le conseguenze di questi fallimenti, perché in realtà gli effetti negativi della fortissima limitazione dei percorsi riabilitativi esterni ricadrebbero più pesantemente sull’intera società. Al riguardo, studi statistici hanno evidenziato che più lungo è il periodo trascorso in carcere e maggiore è il tasso di recidiva; al contrario, il potenziamento dei percorsi alternativi al carcere ha portato ad un significativo abbattimento della stessa.

Ci auguriamo, allora, che il clima di terrore ed ansie che serpeggia nel nostro Paese per i fenomeni di criminalità, troppo spesso oggetto di forzature medianiche, non condizioni le scelte del nostro Legislatore, soprattutto in una materia che richiede la massima ponderazione ed il più esteso dialogo con chi si cimenta giornalmente con tali problematiche.

Anonimo ha detto...

Vi racconto com'è la cella di Del Turco

Da poco sono uscito dalla cella di isolamento del carcere di Sulmona, dove ora è detenuto il presidente Del Turco. E vi racconto quale è la realtà di questa cella perché credo sia un posto poco adatto a una persona che non ha abitudini col carcere.
Sono tre le celle di isolamento a Sulmona. Tre celle messe al primo piano del reparto dei detenuti comuni. Tre celle una uguale all’altra. Celle che spesso vengono usate come magazzini e che all’occorrenza ci mettono un detenuto.
La cella dove sta ora Del Turco, non è più grande di 3 metri quadri.
Una specie di sgabuzzino. Non ci sono finestre in quella cella. O meglio la finestra c’è, ma è murata. Entrando sulla destra c’è una branda di ferro. Branda fissata a terra con dei bulloni. Una branda che non ha il materasso, ma al suo posto una semplice coperta. Sulla sinistra di questa celletta, c’è il bagno, vecchio e rovinato. Un bagno senza porta, fatto di un lavandino e di un water. Il bidè ovviamente non c’è. Se la cella è piccola si immagini il bagno!
Nella cella di isolamento del carcere di Sulmona non hai nulla. Non solo non hai la luce del sole, ma non hai né Tv, né giornali. Il nulla del nulla.
Si sta sempre chiusi lì dentro, tranne che per l’ora d’aria che si fa sempre da soli.
Vi assicuro che vivere lì dentro è veramente dura. E’ dura per chi è già stato in carcere e deve essere terribile per chi in carcere non c’è mai stato, come il Presidente Del Turco.
Franco, dal carcere di Sulmona

Don Ettore Cannavera, riflessioni da "La Collina"

L'Associazione 5 Novembre, ha intervistato Don Ettore Cannavera, fondatore della comunità di accoglienza "La Collina", rivolta a giovani-adulti, di età compresa tra i 18 ed i 25 anni, che vengono affidati dalla Magistratura di Sorveglianza come misura alternativa alla detenzione. Un interessante intervista sui temi della Giustizia, del Carcere, del precariato giovanile e della cultura della Solidarietà e dell'accoglienza.