"È assurdo e disumano morire in carcere in stato di gravidanza. Ci indigna e dovrebbe indignare tutte le coscienze la morte di Flor Castello, detenuta venezuelana di 33 anni che era in carcere a Venezia nonostante fosse al sesto mese di gravidanza. Ha raggiunto l’ospedale ormai in coma e con il bambino morto in grembo". A raccontare questa storia è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, associazione per la tutela dei diritti dei detenuti, che afferma come la donna "al giudice, pare, avesse raccontato di aver ingerito ovuli di cocaina per 1.400 euro che le servivano per mantenere gli altri due figli di 2 e 3 anni. Queste - prosegue - sono le storie degli immigrati che tanto ci fanno paura e sulla pelle dei quali si vincono e anche si perdono le elezioni".
La vita umana, secondo il presidente di Antigone, "oramai non conta più niente. Una povera donna disperata incinta viene trattata come una criminale. Che senso aveva l’applicazione della misura cautelare? Quale pericolo per la società poteva costituire una donna incinta al sesto mese?". Per Gonnella, infine, "se si fosse privilegiato l’aspetto sanitario su quello punitivo oggi Flor Castello forse sarebbe viva, e con lei suo figlio, che certo non aveva alcun carico penale. Pretenderemo che si faccia piena luce sulle responsabilità in questo drammatico episodio".
2 commenti:
Lettera: Nuoro; più che persone detenute siamo cose, oggetti
www.radiocarcere.com, 8 maggio 2008
Mimmo, dal carcere di Nuoro, scrive a Riccardo Arena (Direttore di Radio Carcere). Ciao Riccardo, anche se sono di Taranto come sai sono rinchiuso lontano dalla mia famiglia, qui nel carcere di Nuoro. Un carcere dove viviamo in condizioni a dir poco precarie. Siamo rinchiusi in celle fatiscenti, piccole e rovinate. Abbiamo in un angolo, e in bella vista, un cesso alla turca. Così, viviamo e siamo costretti a fare i nostri bisogni senza decoro o dignità. Per il resto qui manca quel minimo di rispetto della persona che anche in carcere dovrebbe esserci. Più che persone siamo cose, oggetti.
Dobbiamo chiedere cose che ci spettano di diritto e come risposta troviamo l’indifferenza. L’indifferenza di una direzione che dice a parole vedremo, faremo, ma che poi nulla combina.
Così ci mettiamo più di un mese a poter avere i soldi che ci arrivano dalle famiglie tramite vaglia postale. Oppure impieghiamo 10 o 15 giorni per poter leggere le lettere delle nostre mogli. Siamo ridotti al nulla e non possiamo fare neanche un po’ di attività sportiva, figuriamoci quella che chiamano attività rieducativa. In una condizione così vorremo solo non perdere la dignità di persone. Ma anche questo a Nuoro sempre impossibile.
La colpa non è certo degli agenti penitenziari, che subiscono come noi le condizioni di vita di questo istituto, quanto della dirigenza. Per farti un esempio, noi non abbiamo un direttore fisso. A dirigere il carcere di Nuoro è la direttrice di Sassari che non può stare sempre qui. Ti rendi conto? È praticamente un carcere senza direttore!
Le conseguenze di tutto questo sono tante, ma ti cito solo un esempio. In cella con me c’è un ragazzo nigeriano. Con la moglie, che sta agli arresti domiciliari, vivono a Sassari. Ora, è più di un mese che stiamo cercando di inviare dei soldi a questa donna per pagare l’affitto di casa e non ci riusciamo perché la direttrice non c’è. Intanto incombe lo sfratto. È solo un esempio dell’indifferenza che ti dicevo prima. Ora ti saluto e dal carcere di Nuoro un enorme grazie per darci voce al di fuori di queste sbarre.
Lettera: Lecce; 3 detenuti nel cubicolo, una cosa vergognosa
www.radiocarcere.com, 8 maggio 2008
Severino, dal carcere di Lecce, scrive a Riccardo Arena (Direttore di Radio Carcere). Carissimo Riccardo, ti volevo dire che l’altro giorno su un giornale locale hanno pubblicato una lettera di un detenuto che invitava gli altro a non votare chi non era contrario all’abolizione dell’ergastolo. Al di là del tema, non credi che si possa creare un movimento dei detenuti che faccia le proprie richieste elettorali? Oppure dobbiamo pensare che i nostri voti e quelli dei nostri familiari non valgono niente?
Carissimo Riccardo, per quanto riguarda la vita qui nel carcere di Lecce ti dico che va sempre peggio. Ora in una cella minuscola, fatta per un solo detenuto siamo chiusi in tre. Tre detenuti dentro un cubicolo.
È una cosa vergognosa. Noi cerchiamo di far finta di nulla, ma la nostra dignità è lesa ogni giorno. Costretti a stare chiusi in questo buco di cella per 22 ore al giorno. Costretti a muoverci a turno dentro la cella. Costretti a non avere un minimo di riservatezza, anche quando uno di noi va in bagno. Cerchiamo di far finta di nulla, cerchiamo di sopravvivere, ma non è questo il modo di trattare della persone anche se detenute come noi.
La sensazione che abbiamo qui in carcere è che di noi detenuti possono fare quello che vogliono perché intanto nessuno pagherà mai per quello che combinano all’interno delle carceri. Ti mando un grande saluto
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