mercoledì 7 maggio 2008

Così si muore in silenzio nelle carceri del Belpaese

di Barbara Carcone


Peacereporter, 6 aprile 2008

dalla Redazione del Centro Studi

di Ristretti Orizzonti www.ristretti.it


Dall’inizio dell’anno più di trenta detenuti sono morti nei penitenziari italiani. Di questi, undici si sono suicidati. Sono i dati raccolti nell’ambito del monitoraggio "Morire di carcere", consultabile sul sito internet www.ristretti.it. Aggiornate al mese di aprile, queste stime si basano su informazioni raccolte dai giornali e agenzie di stampa, ma più spesso da comunicazioni di volontari e parenti dei detenuti. Informazioni faticosamente costruite, non ufficiali, né certamente complete. I decessi dei detenuti tendono a sfuggire all’attenzione pubblica e, non di rado, vengono trascurate più o meno distrattamente dalle autorità competenti.


Sandro di Niso è morto in cella all’età di 35 anni, secondo il medico legale, per "errore" mentre si drogava. È svenuto con la testa in un sacchetto di plastica senza riuscire a riprendersi dopo aver sniffato gas da un fornelletto per riscaldare le vivande. Una pratica usuale tra i tossicodipendenti internati. Orazio I. è morto nel reparto di isolamento del carcere di Frosinone per arresto cardiaco. Lo stesso è accaduto nel carcere di Regina Coeli a Stefano M. , deceduto nella notte tra il 22 e il 23 aprile. Entrambi erano in condizioni di invalidità psichica grave. Aldo Bianzino è stato trovato morto nella sua cella di isolamento del carcere di Perugia: un’inchiesta in corso sta verificando le responsabilità della morte, che pare essere stata causata da un pestaggio da parte dei carcerieri.


Overdose, scioperi della fame, violenze, pestaggi, malattie curate male o non curate affatto, stati di degenza mentale e fisica: così si muore nelle prigioni italiane per "cause naturali". Oppure ci si impicca con un lenzuolo. I decessi in carcere sono per buona parte suicidi, quelli che Adriano Sofri ha descritto come la "forma di evasione più diffusa e subdola": un terzo dei 1.200 casi di decesso rilevati dal dossier "Morire di carcere" dal 2000 ad oggi.


L’apparato medico sanitario e le strutture assistenziali che si occupano dei detenuti lasciano molto a desiderare, così come le indagini giudiziarie che dovrebbero chiarire le circostanze di morte nelle prigioni. Spesso messi a tacere o soffocati dall’indifferenza dei media, questi decessi rivelano la presenza di realtà taciute e responsabilità mancate, di chi è colpevole direttamente o comunque non fa abbastanza per impedirle.


In base al Decreto Legislativo 230/99, i diritti di assistenza sanitaria e cure mediche dei detenuti avrebbero dovuto essere equiparati a quelli dei cittadini in stato di libertà, passando dalla responsabilità del ministero di Giustizia a quello della Sanità. Tuttavia in nove anni poco è cambiato e il numero dei decessi per cause di salute sono aumentati progressivamente. "I cittadini privati della libertà sono sotto la responsabilità e la tutela dello Stato ancora di più dei cittadini in libertà", spiega il sottosegretario di Stato alla Giustizia, Luigi Manconi.


Le morti classificate per "cause naturali", spesso per arresto cardiaco, sottintendono situazioni in cui i soggetti in questione verserebbero in condizioni psico-fisiche tali, da concludere che il carcere forse non è il luogo dove dovrebbero trovarsi: "il numero dei soggetti che teoricamente sarebbero adatti alla vita in carcere è ridottissimo: si tratta dei soggetti di comprovata pericolosità sociale.

Tutti gli altri, che soffrono di squilibri psichici o patologie fisico mentali più o meno gravi, e più in generale tutti coloro che non recherebbero danno alla società, non dovrebbero essere internati in istituti di detenzione. Nei fatti il sistema penitenziario accoglie molte più persone di quante possa prendersi cura."


Manconi smentisce tuttavia la trascuratezza nelle indagini giudiziarie per chiarire le morti in circostanze controverse, rilevando una volontà precisa delle autorità in tal senso. A tal proposito porta in esempio la vicenda di Bianzino: "in questo caso specifico, che ho seguito personalmente, le indagini non sono state né frettolose né superficiali. Anche se l’esito non è prevedibile, e le responsabilità penali sono ancora da definire, si evidenziano una serie di comportamenti superficiali e sbrigativi. Questi sono dati di fatto, per fare luce sui quali, gli uffici amministrativi e giudiziari competenti hanno avviato una inchiesta seria".


(nell'immagine) Gianni Maria Tessari - Astratto


1 commento:

Anonimo ha detto...

I problemi del carcere, situazione al tracollo

Alessandra Mura 06/05/2008

Personale insufficiente e detenuti che aumentano in numero esponenziale. Il malessere è diffuso e pronto a trasformarsi in vera e propria protesta se non si arriva ad una soluzione imminente
ALGHERO - Sovraffollamento e unità di polizia penitenziaria insufficiente. Il carcere di Alghero è al tracollo. Aumenta il malessere e il disagio all’interno della casa circondariale, che si vede costretta a gestire un numero di detenuti elevato rispetto alle unità di polizia penitenziaria disponibili.

Dopo lo sfollamento dal San Sebastiano a Sassari per i lavori di ripristino di alcune ale dell’edificio, ad Alghero sono all’incirca 150 i detenuti, mentre superano appena l’ottantina le unità di polizia in servizio. “Bisogna rivedere le piante organiche e integrare il personale” ha dichiarato il comandante di reparto Antonello Brancati, che ha già chiesto agli enti preposti di intervenire per evitare il collasso. Oggi la situazione può solo peggiorare in quanto si va incontro all’estate, e tra le richieste di ferie del personale e il crescente numero di arresti, si rischia di sbilanciare un equilibrio precario.

Tre settimane fa avevamo visto un certo movimento davanti al penitenziario algherese. Sono arrivati detenuti da Sassari per lo più tossicodipendenti e disagiati, una tipologia differente da quelli algheresi, detenuti con una pena sulle spalle per omicidi, rapine e sequestri. La pianta organica del personale era stata elaborata nel 2001 quando il penitenziario aveva una portata diversa e non aveva attuato numerosi servizi che vigono attualmente. Il malessere è diffuso e pronto a trasformarsi in vera e propria protesta se non si arriva ad una soluzione imminente.

Don Ettore Cannavera, riflessioni da "La Collina"

L'Associazione 5 Novembre, ha intervistato Don Ettore Cannavera, fondatore della comunità di accoglienza "La Collina", rivolta a giovani-adulti, di età compresa tra i 18 ed i 25 anni, che vengono affidati dalla Magistratura di Sorveglianza come misura alternativa alla detenzione. Un interessante intervista sui temi della Giustizia, del Carcere, del precariato giovanile e della cultura della Solidarietà e dell'accoglienza.